domenica 1 ottobre 2023
Da Budapest a Praga: le Colpe di Napolitano
di LELE JANDON
Dopo gli unanimi onori (con tanto di concessione dei funerali di Stato) a Berlusconi, ecco i panegirici a Napolitano come se fosse anch’egli “Cavaliere” senza macchia.
Ma Giorgio Napolitano non era affatto un giusto (per quel che può valere questa parola in un Paese semianalfabeta che legge Vannacci e dove regna l’ingiustizia di parlare sempre e solo bene di chi è morto senz’analizzarne le colpe).
Non l’ho mai stimato a causa della sua incapacità di ammettere le gravi, orribili colpe del suo passato, per il suo giustificazionismo e quindi il suo narcisismo.
Da giovane universitario era iscritto ai GUF (Gruppi universitari fascisti) e solo nel ’44 s’iscrisse al PCI (Partito comunista italiano).
La sua vita politica era chiaramente ispirata al machiavellismo e cioè all’avere sempre più Potere e ad esercitare Potere sugli altri.
Infatti disse “Niet” alla giusta linea etica dello “splendido isolamento” del segretario del PCI Enrico Berlinguer e disse Sì alla linea dura contro i veri progressisti di Budapest e Praga che chiedevano democrazia.
Nell’autunno del 1956, quando aveva già 31 anni (non 17), parlando all’VIII Congresso del PCI col suo stile (che egli stesso definiva con autocompiacimento) “atarassico” non solo giustificò la repressione coi tank di Mosca nella Repubblica socialista d’Ungheria per stoppare i manifestanti (che definì «teppisti fascisti e spregevoli provocatori») ma addirittura la elogiò («ha contribuito a salvare la pace nel mondo»). “L’Unità”, quotidiano del PCI, titolò che i manifestanti erano “anarchici e terroristi”. 2652 furono gli ungheresi uccisi. Il quotidiano progressista “Repubblica” ha stampato anni fa un bel libretto su questa vicenda.E il sottotitolo di un libro di storia sull'argomento ("Budapest 1956, la macchina del fango") sottolinea che fu "un caso esemplare di disinformazione".
Che quella di Napolitano non fosse l’unica linea possibile (perché uomini coraggiosi ci sono sempre) lo dimostrò il gesto delle dimissioni del buon Pietro Nenni (un uomo che era nella Resistenza già nel ’43).
Solo nel 2005 (ben 49 anni dopo!) nello stile tipicamente falso dei narcisisti Napolitano scrisse nella propria autobiografia ciò che dagli sbrigativi giornalisti venne spacciato per “autocritica”: «Bisognava stare da una parte della barricata, in quegli anni».
Il libero giornalista progressista Corrado Augias nota: «Fu il grande fallimento del Partito comunista, che perse l’occasione di tagliare con Mosca e diventare un partito socialdemocratico europeo». Già. Quindi Napolitano era un fallito, ma restò sempre un fallito di successo.
Nel 1968 fu la volta dei cechi e anche in questo caso i carri armati sovietici entrarono a stoppare la Primavera (72 uccisi): il 43enne Napolitano fu di nuovo ostinatamente contro la democrazia e votò, da membro del Comitato centrale del PCI, per l’espulsione dal Partito dei giornalisti del quotidiano “il manifesto” che osarono titolare “Praga è sola”.
Come ha detto ai funerali sua nipote, nel suo stile Marie Antoinette, Napolitano aveva un’enorme considerazione di sé. Un grande stratega tedesco dell’Ottocento, il generale von Moltke, diceva giustamente che non esiste forse peggior pericolo di questo tipo umano: lo “stupido volenteroso”. Proprio a causa di questa presunzione, da “stolido volenteroso” fece disastri anche con le sue manovre a Destra. Essendo fatto della stessa pasta (carrierista e affamata di cariche) di Luciano Violante e Giuliano Amato (altro ritardato che, facendo una gran confusione di ben sei anni, si è ricordato solo pochi giorni fa che Craxi fece la spia con Gheddafi tradendo gli alleati), è sempre stato “dialogante” con tutti, oltre che coi preti potenti anche con la destraccia: infatti fu proprio la Banda dei Berluscones a volerlo presidente a tutti i costi. A lui, narciso com’era, piacque farsi così tanto implorare.
Nello sconcerto internazionale Napolitano, presunto eroe della democrazia, ebbe la faccia tosta di nominare presidente del consiglio (e tollerarlo così colpevolmente a lungo) Silvio Berlusconi, e dopo il legittimo pressing delle democrazie mature trovò solo lo spread (schizzato addirittura a 570!) come tardivo pretesto per costringerlo alle dimissioni (creando un altro mostro: l’orribile governo Monti, un tipo caratterialmente assai simile proprio a sé, inguaribile narcisista che mai ammetterebbe una minima colpa). Anche qui Napolitano perse il treno della Storia: oramai Berlusconi aveva già fatto troppi danni, coi suoi milioni aveva comprato senatori e giornalisti ed infangato la reputazione delle Istituzioni a livello mondiale (tanto che il governo Draghi chiese i danni), mentre proprio lui, il presunto eroe democratico Napolitano, avrebbe potuto farlo dimettere già in occasione dell’uscita di Fini dalla coalizione. L’ennesima sua colpa storica! Una delle tante.
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