di LELE JANDON
Sono felice di presentare quest’opera
prima coraggiosa e commovente, idea originale di due attivisti ed artisti,
Luciano Peritore ed Elisabetta Pirro, che hanno realizzato con piccolo
budget un prodotto potente per rompere un
Tema Tabù: quello delle violenze morali sistematiche contro i minori all’interno
delle famiglie perverse.
Un’opera di grande sensibilità e realismo psicologico
sotto la supervisione scientifica di Angela Draisci, psicoterapeuta, che
dovrebbe essere proiettata e dibattuta nelle scuole. E’ un Tema che incontra
così tante minimizzazioni che ho deciso di prepararvi psicologicamente con un
raffinato montaggio di scene che ha selezionato per noi il nostro Antonello
Ghezzi da cinque film, tutti stranieri perché sinora il cinema italiano non ha affrontato questo problema sociale
alla radice di tutte le altre forme di violenze. Dopodiché, ne parliamo con
gli Autori e con gli Ospiti: due avvocati dell’Associazione Valeria, che si
occupa proprio dei diritti delle persone minorenni, Yela Scardellato e Paolo
Pio, il quale insegna anche nelle scuole, e con l’attrice protagonista
Dominique Evoli e con una grande amica de “Il Cinema e i Diritti”, Enrichetta
Buchli, filosofa e psicanalista.
Enrichetta Buchli |
Non esistono solo i maltrattamenti fatti per mezzo delle mani, bensì
con vari gesti: gesti di odio. L’odio è anche la mancanza di compassione, ci
dice la Bibbia ebraica. Le parole, tanto per cominciare: “Le parole sono pietre”,
diceva lo scrittore Carlo Levi.
Mi riferiscono alle svalutazioni, che in certe famiglie apparentemente
perbene e tanto carine ed in realtà disfunzionali, sono all’ordine del giorno:
le frasi-killer (“sei negato”, “non
diventerai mai nessuno”), il sarcasmo (dal greco sarkasmós, che significa ”morso”, parola che a sua
volta deriva dal verbo che indica il “lacerare le carni”).
Vogliamo chiamare le cose col loro proprio nome: “persecuzione del
bambino”, “mobbing familiare”. Come
esiste il mobbing in àmbito
lavorativo, così esiste quello da parte di certi genitori contro i figli.
Genitori che, anziché svolgere il loro dovere di educatori, sfogano le proprie
frustrazioni contro i propri figli, diventandone persecutori.
Tutte queste varie violenze psicologiche sono perpetrate sino all’”omicidio psichico”: erosione dell’empatia,
delle capacità logiche (sicché i figli andranno male a scuola, disattenti e
depressi) e la perversione di
un’eventuale concezione spirituale (questi figli s’immagineranno un divino
che, simile ai loro genitori, è ben lungi dall’essere un dio di giustizia ed
amore).
Simon Baron-Cohen, Professore di Psicopatologia dello Sviluppo a
Cambridge, in Gran Bretagna, nel suo saggio “La Scienza del Male” invoca un’urgente riforma della
psichiatria: deve riunire sotto la voce “disturbi dell’empatia” tutti e tre
questi tipi che ne hanno un grado zero: i sociopatici, i borderline, e quelli
che la vittimologa Marie-France Hirigoyen chiama nel suo libro “Molestie
Morali” i “perversi” narcisisti. I
sociopatici sono pericolosi perché godono nel commettere azioni tremende ancorché
non riconoscibili e punibili sempre dalla legge; i borderline vivono nel terrore dell’abbandono, come
Marilyn Monroe che non riuscì ad apprendere l’arte della recitazione né ad
instaurare relazioni felici perché non aveva avuto una vera figura genitoriale
nella sua infanzia, sballottata da un affido all’altro; i narcisisti patologici
sono dei perversi morali e sono loro spesso quelli che fanno mobbing contro mogli, figli e collaboratori.
"Nell'angolo" (1894) del pittore svedese Carl Larsson |
Ma perché esiste questa forma di male morale? Alla fine torniamo sempre
qui alla radice nel nostro Cinetalk ove parliamo di diritti negati. Non è la povertà né lo stress, dice Alice
Miller, una psicanalista di origine ebrea e polacca, naturalizzata svizzera
che sin da bambina s’era posta il problema del male morale, e ha dedicato tutta
la vita a divulgare la sua geniale teoria che ha incontrato resistenze fra gli
ortodossi freudiani. Tesi che riassumo così: “Tutti i genitori maltrattanti
sono stati a loro volta dei figli maltrattati”. Ne nasce una spirale di
violenza a causa della rimozione: la rabbia contro i genitori viene repressa e
finisce nel subconscio, riemergendo attraverso i brutti sogni ed i
comportamenti inconsulti. Chi maltratta i figli ne ha giuoco facile giacché il
bambino ha assolutamente bisogno di credere che, comunque, il genitore gli
voglia bene, tutto sommato, che, se anche lo maltratta, lo fa per tirarlo su
bene: il bambino tende a colpevolizzare sé stesso anziché il genitore. Un
giorno, si sfogherà contro un capro espiatorio. E negherà anche da adulto,
perché non sta bene parlar male della memoria dei propri genitori. Questa rimozione provoca disturbi
psicosomatici e depressioni ricorrenti da adulti: la storia è piena di
stelle del cinema che, pur avendo ottenuto milioni di dollari e di fans, hanno avuto vite profondamente infelici come
Dalida, suicida a 54 anni, o Jean
Seberg, suicida a 40, o la stessa Marilyn che tentò almeno 3 volte il
suicidio: nessuno diede loro un autentico ascolto attivo, non riconoscendo che
all’origine di quest’incapacità di essere felici c’erano i maltrattamenti
subìti nelle loro infanzie. Che vergogna, che scandalo, quanta miseria d’immaginazione
morale! Quante vite d’artisti spezzate
da queste ferite mai sanate nemmeno dai loro analisti, troppo preoccupati di
non “colpevolizzare” i genitori e far accettare la psicanalisi dalla
società borghese!
Tutti i dittatori (tutti) sono stati bambini maltrattati (il caso più
documentato è quello di Hitler). Tutti
coloro i quali hanno tendenze antisociali sono stati figli maltrattati. Naturalmente,
non è vero il contrario: perché, vi chiederete, non c’è questo destino
ineluttabile? Da cosa dipende? Perché, per fortuna, come abbiamo visto alla mia
rassegna “I Nostri Angeli”, che tornerò a settembre all’Institut Français di
Milano, nella vita ci càpita d’incontrare persone straordinarie, veri e propri angeli umani i quali sono
chiamati da Alice Miller “testimoni soccorrevoli”. Ne basta uno per mutare
il corso del destino: una Nonna, un coetaneo, un insegnante. Proprio come gli
angeli, che, si sa, nelle tradizioni religiose sono anche messaggeri, anch’essi,
i testimoni soccorrevoli, ci recano un fondamentale messaggio: ci testimoniano, col loro ascolto, la loro
accoglienza, la loro comprensione, che nella vita esiste anche un qualcosa
chiamato amore. Proprio come nel gran finale poetico di “Gesti d’amore”. E proprio com’è successo a François Truffaut, del quale vedremo uno spezzone
da “I Quattrocento Colpi” che è la sua
storia e del suo amico fraterno Robert Lachenay: come ha testimoniato
quest’ultimo, diventato poi suo assistente alla regia, “Se non ci fossimo
incontrati, le nostre vite avrebbero preso una cattiva strada”. Sono stati
l’uno per l’altro il proprio angelo umano, il proprio testimone soccorrevole.
Poi, da adulti, c’è la psicoterapia “dello smascheramento” la chiama
Miller: verbalizzare sia questi maltrattamenti sia la rabbia e l’odio. L’odio è
un sentimento Tabù: si sente dire che è sempre velenoso. Ma, pensiamoci bene:
non diciamo forse che è odiosa, un’ingiustizia? Non abbiamo forse visto che Mopsa Sternheim, l’artista che
imprigionata per la sua Resistenza clandestina antinazista ha curato le donne
nel Lager che ho raccontato al Cinetalk sulla Shoah, ha detto che ad averla
ispirata è stato l’odio per la perversione del nazismo? La verità è che l’odio
è pericoloso solo quando è deviato (anziché contro il male) contro un capro
espiatorio. Così è successo con l’Inquisizione, con Milosevic, con Hitler: milioni di tedeschi hanno obbedito
volentieri al sistema perverso del nazismo perché sono stati tutti figli
maltrattati, educati secondo il sistema maltrattante dell’educazione
nazista. Il comandamento che tanto colpevolizza i figli di genitori
maltrattanti e che esonera dalle colpe i genitori dice “Onora il padre e la
madre”, ma manca in tutte le religioni un comandamento che dica di onorare i
figli che oggi ha prodotto la cultura laica: il “diritto del bambino alla
felicità” dice la Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo del 1959.
Dostoevskij, il quale era un credente, ha concluso ne I Fratelli Karamazov che si deve onorare quel padre che si
assume la responsabilità del figlio, non a prescindere da ciò: la religione
letteralista, che prende cioè alla lettera comandamenti come questo, diviene
disumana.
Io credo che noi dobbiamo dare fiducia
alla natura umana: questa che vi propongo è una visione non solo
filosofica, ma scientifica dell’esistenza, suffragata dai dati che abbiamo
oggi. Questa fiducia nella natura umana è stato il fil rouge di tutti i miei Cinetalk.
Aveva fiducia anche Anne Frank, sì, persino lei che aveva testato il
terrore del nazismo, dal suo rifugio segreto, ove scrisse: “Nonostante tutto, io continuo a credere
nell’intima bontà dell’uomo”. Era una povera ingenua, questa giovane
scrittrice 16enne? Io credo di no, anzi la sua intuizione morale è stata
confermata dal grande psicologo di Yale Paul
Bloom il cui saggio ho approfonditamente recensito sul mio Blog: nei suoi
esperimenti, il Professore mostra come i
bambini già di pochi mesi mostrino un’innata tendenza alla collaborazione
spontanea, prim’ancora di ricevere un’educazione alla compassione. Non vi
pare questa una scoperta straordinaria proprio come la teoria dell’attaccamento
di Winnicott? Altro che la dottrina del
peccato originale che fa nascere i bambini già colpevoli, la dottrina del
Limbo che non manda i bambini in Paradiso, del
perverso Agostino, altro che i “figli del diavolo”, come li chiamavano nel
Medioevo certi bambini che picchiavano, altro
che i bambini perversi di cui parlava Freud! Tutti i bambini nascono
innocenti e orientati al bene purché gli si dia amore.
E ha dimostrato una grande fiducia nella natura dei bambini anche
quest’Autore che desidero farvi conoscere oggi: Janusz Korczak. Pediatra di
formazione, ebreo-polacco (proprio come la Miller), amava così tanto il suo
lavoro che decise di non ammogliarsi pur di dedicare tutto il suo tempo ai suoi
duecento bambini de “La Casa dell’Orfano” da lui fondata. E ha dimostrato di crederci così tanto che
quando i nazisti hanno ordinato di trasferirli tutti nel Ghetto ebraico,
ultima tappa prima della spedizione nei campi di concentramento e sterminio,
lui decise liberamente di seguirli a
morte sicura e morì con loro nel Lager di
Treblinka. Una scelta morale eroica come quella del pastore Bonhoeffer, della
signorina Etty Hillesum, del dottor Giuseppe Jona.
Ebbene, è stato il suo libro ad
ispirarmi il titolo dell’Evento di oggi: “Il Diritto del Bambino al Rispetto”, un manifesto di scottante attualità del 1929, pensate! L’errore che si fa,
dice Korczak, che viveva nell’orfanotrofio coi suoi bambini, è pensare che in
fondo sono solo bambini, che verrà un giorno, quando saranno adulti, in cui li
tratteremo come tali: un rinvio ad un domani che chissà se verrà, senza valorizzare ogni
irripetibile momento. I bambini sono già persone e vanno valorizzati in sé, non
in funzione di chissà quale domani! Consiglio a tutti gli educatori di leggere
queste annotazioni ad esempio nel suo libro “Come amare il bambino”, ove egli mostra una tale attenzione ai sentimenti morali dei suoi bambini che non
appena ne arrivavano di nuovi metteva vicini quelli rassomiglianti in maniera
tale da studiarne bene le caratteristiche e memorizzarne volti e i nomi con
cui li chiamavano le loro madri. Così come il medico fa attenzione ai sintomi
vari del corpo, così ogni buon educatore deve fare attenzione a tutte le
espressioni dei loro volti: il riso, il pianto, il sorriso, il sospiro. Per questo mi piace la scelta di tecnica
registica di Luciano Peritore che in questo suo film fa un primo piano in
bianco-e-nero del volto di ciascun bambino dopo il maltrattamento sottolineandone
l’espressione di dolore morale: come dire che gli vengono negati i colori
della vita familiare.
Mi torna in mente un altro immenso filosofo ebreo, sopravvissuto al Lager, Emmanuel Lévinas, il quale dice che l’etica altro non è che un’ottica, che
consiste nel guardarsi in faccia: guardando il volto del nostro prossimo
noi ci rammentiamo di quel comandamento inscritto nel nostro cuore che è “Non
uccidere l’innocente!” Sì, perché come ho detto, sin da piccolissimi, i bambini possono essere uccisi psichicamente
anche da certi sguardi maligni. Mi ha colpito una frase di un lettore della
Miller, che le ha scritto: Non ho mai sentito che mia madre mi guardasse
veramente.
Lancio un appello: torniamo alle relazioni vis-à-vis, da prima che arrivassero questi mezzi che,
se non usati con filosofia, distraggono e distruggono le relazioni umane, spegniamo questi maledetti cellulari e
questi televisori all’ora dei pasti con i bambini e quando siamo a tavola
con amici! Torniamo a guardarci bene in faccia! Lancio questo messaggio da zio,
da educatore, da attivista: prendiamo molto sul serio le emozioni morali dei
nostri amici minori, facciamo grande attenzione. Perché l’attenzione, diceva la
poetessa Cristina Campo, ispirata da Simone Weil, è la forma più grande di
responsabilità perché ogni errore umano è, in essenza, disattenzione.
(questo testo è stato il discorso introduttivo al film)
****
Sono varie le categorie di ingiustizie di cui sono vittime le
bambine ed i bambini che sono dimenticate: dai media, dallo Stato, dalla pubblica opinione. Per esempio, abbiamo
trattato dei milioni di bambini affamati
anche come conseguenza dell’irresponsabile industria zootecnica che destina terre
che possono essere coltivazioni per sfamare gli umani a luoghi di pascolo per cibo
per animali da macello (http://lelejandon.blogspot.it/2016/03/dai-lager-nazisti-alle-industrie.html).
E poi ve ne sono una serie di cui
tratteremo nei prossimi Cineforum, a partire dal recente caso di Legnano della 13enne con autismo (peraltro con grande
autonomia e che già dorme con altre compagne negli scout) le cui compagne di
classe di terza media non volevano
assolutamente stare con lei in camera da letto in hotel in gita scolastica
(ironicamente, al Lager di Mauthausen,
in Austria). La madre ha scoperto la chat
privata fra genitori (una nuova moda fra mamme e papà) che l’hanno esclusa e ha
deciso di scrivere privatamente agli altri genitori, senza ottenere risposta.
Preso atto di ciò, ha deciso di non far partecipare la figlia, senza che la
scuola intervenisse per garantire il diritto allo studio. Poi, ha denunziato il
caso pubblicamente: ne sono nate manifestazioni di solidarietà in Italia, ma
quando è tornata a scuola i compagni e i
genitori hanno fatto finta di nulla: nessuno di queste madri e questi padri
ha ritenuto giusto chiedere scusa. (Episodi simili sono accaduti a Livorno ed
Isernia). Vergognosa l’autodifesa di un’anonima madre di queste ragazzine: “Avevamo
paura che durante la notte i nostri figli avrebbero dovuto affrontare
situazioni difficili”. Quest’episodio gravissimo mostra che siamo di fronte ad
un’emergenza educativa: chiediamoci sin dove porterà questo nuovo stile
genitoriale oggi tanto diffuso che ha paura di lasciar fare qualunque
esperienza (tutt’altro che da evitare, bensì formativa) per i figli, senza
insegnargli il valore della solidarietà. L’Italia è ormai piena di genitori che
deprivano i figli persino delle figure dei Nonni, quando questi s’ammalano,
perché, poverini, “ne soffrirebbero troppo”: non li portano da loro, non li
portano ai funerali, gli nascondono la dimensione della malattia e della morte.
Poi, sono in aumento i bambini
rimasti orfani perché vittime
collaterali dei femminicidi (secondo Sos Stalking, sono 1626 dal 2000 ad
oggi) che vivono uno stress post-traumatico e nella convinzione di non essere
amabili, e inclini a criminalità, prostituzione, droghe; poi ci sono quelli che
sono intrappolati nelle cosiddette case-famiglia. Il giornale d’inchiesta oline
Linkiesta denuncia che in Italia c’è
un business di 35 mila bambini
“parcheggiati” (in media almeno 3 anni) in case-famiglie (nuovo nome degli
orfanotrofi) con costose rette sino a 400 euro di cui non esiste un tariffario
comune sicché “ognuno fa ciò che vuole come se si trattasse di un mercato
qualunque” (e con spese sino a 150 mila euro l’anno per bambino), un affare
così redditizio che spiega l’assurdità delle lentezze burocratiche di concedere
le adozioni alle tante famiglie richiedenti: solo mille su diecimila ci
riescono, una su dieci ed anziché l’extrema
ratio l’abbandono in queste strutture opache diviene la norma (“Orfanotrofi. Umiliati e offesi”: http://www.linkiesta.it/it/article/2016/01/21/orfanotrofi-umiliati-e-offesi/28975/):
sono minori “dimenticati dall’opinione pubblica”. “Niente controlli, niente
trasparenza” (vedasi questi casi estremi scoperti a Roma di sporcizia e di
abusi fisici e sessuali e somministrazione di psicofarmaci: http://m.leggo.it/news/articolo-1631070.html).
Ci sono poi milioni di bambine che
subiscono le mutilazioni genitali ispirate dalla sessuofobia che rende la
religione spietata.
Eppoi ci sono le vittime delle violenze di tipo morale, di cui
trattiamo oggi grazie all’ausilio dell’arte cinematografica, da parte dei loro
genitori, che anziché proteggerli ed insegnargli la fiducia e l’amore, sfogano
su di loro le proprie frustrazioni e li maltrattano così come lo sono stati
essi stessi da bambini.
Il film-shock di due attivisti per i diritti dei minori getta un’ombra
sulle figure genitoriali tanto sacralizzate da una certa vulgata, mostrando un
fenomeno sommerso ed ancora controverso: il mobbing familiare, per il
quale ci ricolleghiamo in parte a quanto
divulgato al cineforum sul mobbing
sul posto di lavoro (http://lelejandon.blogspot.it/2015/04/linvidia-maligna-del-perverso.html).
Oggi, domenica 17 aprile 2016, parliamo specificamente del mobbing da parte dei genitori nei confronti dei figli (esiste anche
quello nei confronti di un coniuge), auspicando una collaborazione e
un’evoluzione culturale verso una società ove i diritti dei bambini siano al
centro, con i nostri Ospiti: a cominciare da una grande amica de “Il
Cinema e i Diritti”, Enrichetta Buchli, filosofa e
psicanalista (diplomata all’Istituto Jung di Zurigo con studio a Milano), la quale ha avuto ed ha molti e molte
pazienti in psicoterapia che hanno vissuto storie di maltrattamenti familiari,
nonché docente di Dinamiche Teatrali nelle Relazioni d’Impresa all’Università
Cattolica di Milano ove applica l’intuizione psicologica di Shakespeare alla
vita di tutti i giorni; da una grande attrice
shakespeariana, Dominique Evoli, che insegna
recitazione proprio ai bambini ed ai ragazzi giovani non solo nei Teatri ma
anche nelle scuole (elementari, medie e superiori); e due avvocati specializzati in diritto minorile e consulenti legali
dell’associazione milanese “Valeria” (Viale Majno, 3) che si occupa anche
di educazione alla legalità nelle scuole (materia di cui urge l’introduzione,
come anche recentemente ha auspicato l’Ocse): Yela Scardellato e Paolo Pio, quest’ultimo anche attore e regista
teatrale. Fra l’altro tre dei nostri Ospiti hanno in comune anche la passione
per Shakespeare: Peritore, che ha studiato il metodo Stanislavskij II, lo
insegna in seminari teatrali, la Evoli lo recita a Teatro come attrice
protagonista, e la Buchli ne insegna il valore psicologico mostrandone
l’attualità delle dinamiche nel mondo del lavoro attraverso il suo corso in
Cattolica.
Violenze morali, le
chiama Hirigoyen nel suo grande classico “Molestie
morali” (http://lelejandon.blogspot.it/2015_04_01_archive.html). Violenze
emozionali, le chiama un’assistente sociale mia amica che ho consultato.
In particolare, è mobbing: mobbing
familiare. Ne esistono due forme: contro il coniuge e contro i figli. Oggi
ci occupiamo della seconda forma, tenendo conto che succede altresì che il
coniuge maltrattato “non riuscendo ad esprimersi con il suo aggressore, riversa
sui figli tutta l’aggressività che non ha potuto sfogare altrove” e “di fronte
alla denigrazione permanente di uno dei genitori da parte dell’altro, ai
bambini non resta che la possibilità d’isolarsi. Perderanno così ogni
possibilità di individuazione o di pensiero autonomo. Ciascuno di loro porta
poi una parte di sofferenza che riprodurrà altrove, se non trova soluzioni in
sé stesso” (Hirigoyen, pag. 35).
“La persecuzione del bambino”, la
chiama Alice Miller nell’omonimo libro.
Violenze, appunto, contro le emozioni
morali dei bambini, fra cui “la mancanza di cure e il fatto di trascurare il
bisogno di contatto e stimolazione caratteristico del primo periodo di vita”, “la
mancanza di rispetto, la manipolazione dei sentimenti” (cioè il giocare sul
fatto che il bambino non può non amare e credere di essere amato dai genitori,
per non morirne), “l’ignorarne sentimenti e bisogni, le percosse, le
intimidazioni, il disprezzo, la derisione”, scrive la Miller (“Riprendersi la vita”, Bollati Boringhieri,
2014, prima ediz. it. 2009, pagg. 129 e 137). Ed annoveriamo altresì le frasi-killer (che mortificano la creatività) come quella della madre
del film “Gesti d’amore” al figlio
(“ammàzzati!”) o ad esempio “sei negato”, “questo regalo ce l’ho già”, le
svalutazioni, le umiliazioni pubbliche e private, gli attacchi all’autostima, il fare del sarcasmo, che deriva dal
greco sarkasmós, σαρκασμός, che significa “morso” (derivato
dal verbo σαρκάζω, "lacerare le carni": il nostro corpo, dice Alice
Miller, mantiene una sua memoria somatica di questi maltrattamenti) e
che fa non meno male delle botte perché, come diceva lo scrittore ebreo italiano
Carlo Levi (1902 – 75), “Le parole sono pietre”. Un esempio da un lettore della
Miller: “dire a un bambino che ha fatto venire un’ulcera allo stomaco alla sua
educatrice” (pag. 125). Già Korczak scriveva che “si può fustigare l’amor
proprio, la sensibilità del bambino, come una volta se ne fustigava il corpo”
(“Come amare il bambino”, Luni
editrice, Milano 2015, pag. 193).
Quando si può parlare di mobbing familiare, di famiglie perverse?
Quando le violenze sono sistematiche.
Dominique Evoli, che insegna
recitazione ai bambini, ci lancia un esempio da quello che ha osservato nelle
scuole elementari: “Perché mai certe maestre usano d’abitudine un tono di voce
gridante contro i bambini? Noi adulti useremmo mai abitualmente un tono del
genere così aggressivo?”
Mi viene in mente un esempio da
un film recente, “Truth – Il Prezzo della Verità” (U.S.A.
2015), storia vera della reporter
Mary Mapes (il Premio Oscar Cate Blanchett), autrice di uno scoop sui favoritismi odiosi ricevuti
dal rampollo George W. Bush Jr per fargli saltare il servizio militare: la
protagonista, dopo il servizio-bomba che svela l’indegnità del Presidente,
subisce l’ennesimo attacco da parte del padre (un rozzo repubblicano
ideologico) il quale, anziché essere
orgoglioso del grandioso lavoro svolto e felicitarsi con lei per il coraggio e la ricerca, le fa una
“sorpresa” e rilascia un commento in TV definendola in senso spregiativo una "liberal” (in bocca ai reazionari,
in America, equivale ad un “comunista” in senso spregiativo). Un suo collega, nel provare a
spiegarne la passione, ricorda che da
bambina veniva punita se faceva delle domande, e da adulta ha reagito
scegliendo di diventare una giornalista d’inchiesta, il cui lavoro, appunto,
consiste nel fare una sfilza di domande-chiave.
Korczak aggiunge con acuta
sensibilità che:
“Esiste anche un
altro modo di punire: un disprezzo costante e un atteggiamento di rassegnazione
volto ad umiliare. “Non hai ancora finito di mangiare? Sei ancora
una volta l’ultimo? Ti sei dimenticato di nuovo?” (“Come amare il bambino”, Luni editrice,
Milano 2015, pag. 195, i corsivi sono miei).
Le Punizioni Sadiche nel Corto-Shock
di Peritore e Pirro
Le Violenze di cui i Bambini si vergognano a Parlare
Nel film d’esordio dei due
attivisti ed artisti Luciano Peritore ed Elisabetta Pirro, che oggi alla Casa
dei Diritti vediamo in prima visione esclusiva, vi sono quattro scorci di vita
familiare di gran realismo ed efficacia per farci comprendere di quale fenomeno
parliamo: violenze molto difficili da
riconoscere e da denunciare.
In uno scorcio vediamo che ad un
padre interessato solo ai messaggini della sua amante segretaria, non riesce di
svegliare la figlia, che come tutti noi da bambini s’intrattiene a letto: egli non
pensa ad andare a svegliarla dolcemente, ma ha l’idea perversa di prendere una
caraffa d’acqua e versarglielo addosso: così impara. Una madre che non riesce
neanche a dare un bacio del buongiorno al figlio, gli getta addosso tutte le
coperte: bel modo d’iniziare la giornata!
Dominique Evoli e Luciano Peritore |
In un altro sketch, una madre (Dominique Evoli) rincasa e trova che la figlia
non ha riordinato la stanzetta. Lei le risponde che lo farà subito, ed
incomincia a mettere a posto i propri vestìti. La madre è impaziente e non è
soddisfatta: allora, la chiude in
terrazza fuori al freddo. Insomma, veri e propri abusi di metodi “di
correzione”, ma, come nota la grande psicanalista e psicoterapeuta Alice
Miller, scomparsa sei anni fa, ciò che viene definito “correzione” può essere
qualificato come assassinio, assassinio
dell’anima” (“Riprendersi la vita”,
Bollati Boringhieri, Milano 2014, prima ediz. It. 2009, pag. 76). Di “omicidio psichico” e “distruzione
psicologica” parla anche la psichiatra, psicanalista e psicoterapeuta Marie-France
Hirigoyen (http://lelejandon.blogspot.it/2015/04/linvidia-maligna-del-perverso.html):
“distruzione morale che può condurre alla malattia mentale o al suicidio” (“Molestie Morali”, pag. XVI,
Introduzione).
Elisabetta Pirro |
Nella quarta ed ultima scena, vediamo
un padre ed una madre litigare fra loro per un debito. Il marito la tratta in
malo modo: Ci penseremo. Sfogheranno subito dopo le loro frustrazioni sui due
figli. (Ma attenzione: Alice Miller dice espressamente che lo stress o i guai
economici non sono la radice delle violenze: si pensi a quelle famiglie povere
eppure felici).
La madre per chiamare i figli a
tavola grida. Il ragazzino scherza con la sorella a tavola, si tirano dei
pezzetti di pane. La madre chiede conto alla figlia delle unghie nere: le odia.
Lei risponde, allora la madre fa il
verso alla figlia, che replica: “Che cosa devo fare? Stare zitta?”. Il padre
è presente fisicamente ma mentalmente assente. Il quale, appena rincasato,
anziché chiedere il bilancio della giornata ai due figli, mostra interesse solo a seguire il tg, e quando il figlio tira un
pezzetto di pane alla sorella, lui pensa bene di alzarsi e spingergli la testa
dentro la minestra davanti a sua madre e sua sorella. (E’ qui che il regista
inquadra sotto il tavolo il dettaglio delle due mani dei fratelli che
s’intrecciano in una stretta che è un inno alla speranza).
Trovo assai efficace la resa degli elementi abusati che distraggono e
distruggono il dialogo (cellulari, televisione): anche la disattenzione è
violenza!
Mi piace anche la Sua scelta
dell'uso del bianco-e-nero nel momento
dell'inquadratura del dolore morale ritratto nel volto di questi ragazzini:
rende bene simbolicamente l'idea di come questi siano deprivati dei colori
della vita, i colori delle gioie che può donare una sana vita familiare.
“Mi sono ispirata al caso della
figlia di miei conoscenti che veniva puntualmente trattata in malo modo”,
racconta Elisabetta Pirro, sceneggiatrice dell’illuminante cortometraggio.
“Quando mi sono permessa di dire alla madre che non lo ritenevo giusto, lei mi
ha totalmente escluso dalla cerchia delle sue frequentazioni: voleva
assolutamente che non vedessi sua figlia.”
Il guaio oggigiorno è anche il
narcisismo di certe famiglie mononucleari le quali si ritengono autosufficienti
ed escludono persino i nonni dall’educazione dei figli quando sono ammalati o
morenti: con la scusa che non vogliono far soffrire i figli, deprivandoli così
di figure educative ed affettive che sono sempre state importanti. In
particolare, delle figure delle Nonne, ho parlato nel cineforum sul film “Un giorno questo dolore ti sarà utile”.
Peritore e Pirro hanno fatto
visionare il loro film in anteprima per testare l’effetto e soprattutto gli
uomini tendono a minimizzare questa forma di violenze. Analogamente, Paolo Pio,
avvocato che si batte per contribuire a sensibilizzare i ragazzini nelle scuole
alla cultura della sensibilità, si trova a combattere contro la minimizzazione
degli episodi di bullismo: “Faccio loro l’esempio di un compagno che ruba la
merenda di un altro, e se la mangia. Questa secondo la legge è una rapina,
faccio loro notare. Loro ridono: “Ma è solo uno scherzo!”, replicano. Non è facile
educare al rispetto della persona a partire da questi piccoli atti di bullismo.”
****
Le Grandiose Intuizioni di ALICE MILLER
“Genitori Sadici furono a loro volta Vittime”
Il Perdono senza il Pentimento del Colpevole nuoce alla Salute
Psicofisica, Ricordare ci fa Guarire”
“L’Odio è Pericoloso solo se è Deviato verso Capri Espiatori”
Alice Miller |
Ma perché un genitore diviene
così “snaturato”, come si diceva un tempo? Perché fa del male alla prima
persona cui dovrebbe naturalmente volere il massimo bene? La pioniera
psicanalista e psicologa Alice Miller
(1923 – 2010), di origine polacca (trasferitasi in Svizzera all’età di ventitré
anni), ha formulato una grandiosa teoria alla cui spiegazione e divulgazione ha
dedicato tutta la vita, e che riassumiamo in queste battute-chiave:
“I genitori sadici non piovono dal cielo; da bambini sono stati trattati in maniera altrettanto sadica” (“Riprendersi la vita”, Bollati
Boringhieri, 2014, prima ediz. 2009, pag. 79)
“Non esiste sulla
faccia della terra un solo individuo che maltratti i bambini, il quale non sia
stato a sua volta maltrattato” (“Riprendersi
la vita”, pagg. 157-8)
“I genitori scaricano sui figli la rabbia che sono
stati costretti a trattenere e a reprimere verso i loro stessi genitori. Il
figlio è stato un semplice catalizzatore
di quella rabbia” (“Riprendersi la vita”,
cit., pag. 98)
“Non è affatto vero che le cause che c’inducono a maltrattare e a
non amare i figli sono la mancanza di tempo, lo stress e la povertà” (“Riprendersi la vita”,
pagg. 139 – 140).
Di conseguenza, dice
Marie-France Hirigoyen,
"La violenza perversa nelle famiglie tende a
trasmettersi da una generazione all'altra" (“Molestie morali”,
pag. 34)
Poi, andando alla radice dei
pregiudizi diffusi nella nostra cultura) invita a non prendere alla lettera, da
fondamentalisti, il quinto comandamento: “Onora tuo padre e tua madre”. Fu lei
per prima, un’analista di origine ebraica e laica, a criticare questo perdonismo,
attribuito dai Vangeli canonici all’ebreo Gesù il quale invitava a perdonare addirittura
settanta volte sette (metafora dell’infinito, e che spiega anche molto delle
storie come quelle del film Premio Oscar “Il Caso Spotlight”) il quale
peraltro teneva in grandissima considerazione i bambini ed anzi invitava a
diventare come loro. Il perdòno facile abbonato a chi non si pente sinceramente
delle proprie violenze è fonte di nevrosi o psicosi:
“Il perdono dei crimini commessi sui bambini
non è soltanto inefficace ma anche nocivo: il corpo infatti non capisce i
precetti morali, lotta contro ogni negazione delle vere emozioni” (“Riprendersi la vita”, Bollati
Boringhieri, Milano 2014, prima ediz. It. 2009, pag. 36)
(Quando ho presentato il film “Philomena”,
la mia personale opinione era che non avrei perdonato nei panni della signora
Lee quelle suore impenitenti e notato che il perdonismo è la degenerazione
della religione, giacché la spiritualità e la vita morale si fondano sulla
libertà, non sui dogmi di chi pretende chissà che cosa dalla nostra umanità. La
stessa interprete, il Premio Oscar Judi Dench, ha detto che lei non avrebbe
perdonato: http://lelejandon.blogspot.it/2015/01/la-sessuofobia-rende-spietata-e.html).
Già lo scrittore russo Dostoevskij (1821 – 81) nel romanzo “I Fratelli Karamazov” dice che un padre
dovrebbe essere amato solo se l’è maritato (benché egli stesso sofferse proprio
di epilessia in sèguito ai maltrattamenti subiti, leniti dall’affetto della
madre).
Miller invita da una parte i
figli a chiedere conto ai genitori, e dall’altra i genitori a chiedergli
perdono perché
“Sono proprio i
maltrattamenti negati a essere riprodotti nella generazione seguente” (pag. 9) +e
distruggono “la capacità di empatia ed il pensiero logico” (pag. 108)
Si guarisce prendendo coscienza con la “terapia di
smascheramento” (pag. 99):
“ricordare” (“in presenza di un testimone empatico”) “i maltrattamenti
subìti in passato porta a far scomparire i sintomi patologici” (pag. 9).
“Abbiamo bisogno di un testimone
che sia totalmente dalla parte del bambino e non abbia timore di condannare”
(pag. 99): ne parla al plurale anche perché lei stessa in prima persona ha subìto
questa forma di violenze. Miller dice che “non sono tanto i nostri sentimenti
in sé a costituire un pericolo quanto piuttosto il fatto di dissociarli da noi”
(pag. 47). L’odio è pericoloso se è
deviato verso i “capri espiatori” (pag. 44, ad es. i pedofili ignari che si
stanno vendicando di quanto subìto a loro volta da bambini). Se io ignoro il
mio odio represso contro genitori che mi hanno negato affetti, soffrirò di un
odio latente che magari devio contro categorie di persone, mentre “se invece
conoscono molto bene” ciò che ho subìto, “non avrò più bisogno di trasferire il
mio odio su altre persone. Col tempo si potrà affievolire, oppure scomparire
per poi essere rinfocolato da nuovi avvenimenti o ricordi. Ma ora so di che cosa si tratta, non devo più far del male a qualcuno
per sfogare il mio odio” (pag. 44). Addirittura, esiste un odio creativo ed
ispiratore (ricordate che al cineforum sull’olocausto vi ho detto che fu l’odio
contro i nazisti ad ispirare le azioni di solidarietà di Mopsa Sternheim?): “Se
odiamo la falsità, l’ipocrisia e la menzogna, ci riterremo in diritto di
combatterle ovunque ci sia possibile e di sottrarci alle persone che si
affidano alla menzogna” (pag. 46). Peraltro, “la compassione del bambino non
cambierà nulla nella depressione della madre” e “la premessa per una vera
compassione verso l’altro è solo provare empatia verso il proprio destino”
(pag. 89, cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/11/the-help-lezione-sulla-compassione_14.html).
“Molte persone hanno paura di smettere di amare i propri genitori” ma “io non
ci vedo una perdita, ma piuttosto un guadagno”: infatti, mentre “l’animo del
bambino aveva bisogno dell’amore dei suoi genitori per sopravvivere e aveva
necessità d’illudersi”, “l’adulto però può vivere con la sua verità, e il suo
corpo gliene è riconoscente” sicché “non solo è possibile, ma in certi casi è
assolutamente necessario perdere quest’”amore”” (pagg. 88 – 89).
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La Vittimologa Massima Esperta del Mobbing Familiare
Hirigoyen: “Chiamiamoli col loro Nome: “Perversi Morali” Provocano un
Omicidio Psichico”
La vittimologa Marie-France Hirogoyen ha dedicato un
saggio, "Molestie
morali. La violenza perversa nella famiglia e nel lavoro" (Einaudi, Torino 2000, mia ediz. del 2015,
traduzione italiana di Monica Guerra, titolo originale francese "Le harcèlement moral: la violence perverse
au quotidien", éditions La Découverte et Syros, Paris 1998) in cui teorizza
che certi individui maltrattanti sono dei perversi
morali. Anche lei concorda con la Miller che costoro sono stati a loro
volta vittime di genitori maltrattanti. La
psichiatra tratta anche del mobbing
contro le compagne, qui noi oggi ci focalizziamo sul mobbing contro le figlie ed i figli.
"Manipolare i bambini è
facilissimo", spiega Hirigoyen, perché "la loro tolleranza non ha
limite, sono pronti a perdonare tutto ai loro genitori, ad assumere su di sé la
colpa" (si pensi a Michael Hess che
immagina di essere stato chissà che cattivo quando gli raccontano la menzogna
che la madre l'aveva abbandonato, cfr. il mio saggio sul libro "The Lost Child of Philomena Lee": http://www.lelejandon.blogspot.it/2015/01/la-sessuofobia-rende-spietata-e.html).
Citando
Bernard Lempert: “Il disamore è un sistema distruttivo; non si tratta di una
semplice mancanza d’amore, ma dell’organizzazione, al posto e in luogo
dell’amore, di una violenza costante che il bambino non soltanto subisce ma
che, per di più, interiorizza” (Hirigoyen, pag. 42).
Ricorderete quando avevo citato, fra le cause per cui
viene inibita la creatività (creando così la nevrosi detta dell'artiste manqué), le "frasi-killer" di certi cattivi maestri
che dicono che non sei "portato" per un determinato campo, che
"sei-negato" mortificando così la tua creatività (cfr. il mio
articolo "Il Coraggio Creativo è la
Risposta Radicale alla Noia dei Giovani": http://lelejandon.blogspot.it/2015/03/il-coraggio-creativo-e-la-risposta.html):
ecco, queste frasi sprezzanti possono essere pronunziate da un perverso, ed il
perverso genitore snaturato dice cose così, trovando pretesti per mortificare
suo figlio:
"bistratta
il bambino perché è maldestro e non è come si deve; lui diventa sempre più
maldestro e sempre più lontano da come il genitore lo vorrebbe. Non lo si
svaluta perché è maldestro, è diventato maldestro perché lo si è svalutato. Il genitore che rifiuta cerca e trova
inevitabilmente una giustificazione (una pipì a letto, un cattivo voto a
scuola) alla violenza che sente dentro, ma a scatenare tale violenza è
l'esistenza del bambino, non il suo comportamento" (“Molestie morali”, pag. 42).
Il perverso è invidioso persino di suo figlio:
"Succede anche che un bambino abbia qualcosa in
più rispetto a suo padre o a sua madre: è troppo dotato, troppo sensibile,
troppo curioso. Si cancella quello che ha di meglio per non vedere le proprie
lacune". "Poiché non si può uccidere davvero il bambino fisicamente,
si fa in modo che non sia niente, lo si uccide psichicamente. Si può conservare
così una buona immagine di sé" (“Molestie
Morali”, pag. 45).
"I
bambini vittime di aggressioni perverse hanno come unica via d'uscita
meccanismi di scissione protettiva e si ritrovano portatori di un nucleo psichico morto. Tutto quanto
non è stato metabolizzato durante l'infanzia viene riprodotto in età
adulta", "su sé stessi o sugli altri" (“Molestie morali”, pag. 47).
La vittimologia
francese cita vari esempi dai casi dei suoi pazienti fra cui il rinfaccio dei
sacrifici fatti per i figli o i dolori del parto per giustificare una
stanchezza cronica, od ancora il caso di una
ragazza che dice al padre d’essere stata violentata e lui, per tutta risposta,
le dice: “Faresti meglio a non parlarne a tua madre. Poveretta, questa
faccenda le causerà una preoccupazione in più”.
Io ho sentito casi di
persone che informando della propria omosessualità i parenti, la risposta è: “E
che cosa penserà la gente?” (sic). Un classico esempio di etica eteronoma
rispetto ad un’etica autonoma, adulta.
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La Teoria del grande psichiatra Simon Baron-Cohen:
“I Narcisisti hanno Zero Empatia, come i
Sociopatici.
Ma non sono abbastanza studiati”
Dunque secondo
Hirigoyen gli autori del mobbing familiare sono dei narcisisti. Ebbene, lo psichiatra Simon Baron-Cohen, docente
di Psicopatologia dello Sviluppo a Cambridge (Gran Bretagna) nel suo libro
"La scienza del male. L'empatia e le
origini della crudeltà" (Raffaello Cortina editore, Milano 2012, pag.
38), pone il tipo narcisista (tipo N) assieme al tipo borderline che ha
una scissione ove non ha stabilito il suo vero sé ed ha un’estrema paura dell’abbandono e presentano un’amigdala più piccola
(come Marilyn Monroe che da bambina, avendo la madre divorziato ed essendo
stata ricoverata in ospedale psichiatrico, non ebbe mai una vera figura
genitoriale e fu sballottata da un affido all’altro, tentò tre volte il
suicidio e morì a 36 anni) ed al tipo psicopatico (sociopatico, vedi mio
articolo "Senza pietà. Come riconoscere i sociopatici"
http://lelejandon.blogspot.it/2014/02/senza-rimorso-colpa-o-pieta-come.html)
nel grado zero-negativo dell'empatia:
"Raggruppo queste categorie di persone
indicandole come "zero-negative" perché non hanno nulla di positivo
di cui vantarsi"
"Il grado
zero dell'empatia può indurre a commettere atti di crudeltà, a essere
insensibili verso gli altri (...). Per chi entri nell'orbita di una persona con
un'empatia così impoverita esiste il rischio concreto di essere oggetto
d'insulti verbali, attacchi fisici, o di vivere uno stato di mancanza di
attenzione e di considerazione. In breve, rischia di farsi male" (“La scienza del male”, pag. 38)
Purtroppo, dice Cohen criticando la psichiatria,
"a
differenza dei tipi P o B, la ricerca
sul tipo N è stata scarsa, una lacuna che dev'essere colmata" (pag.
76). "La psichiatria raggruppa questi tre modi di essere zero-negativi
sotto l'etichetta "disturbi della personalità", cosa che ovviamente
sono. Ma a mio parere la caratteristica evidente che hanno in comune è il grado
zero dell'empatia (pag. 77). "Indipendentemente che il difetto porti al
tipo B o al tipo P, sono interessati gli stessi circuiti neurali. Possiamo
predire che anomalie simili nel circuito dell'empatia verranno trovate anche
per il tipo N, anche se questi studi sono ancora tutti da fare." (“La scienza del male”, pag. 78).
Perciò, come commenta Baron-Cohen, invitando a
ripensare la psichiatria,
“stupisce
che nel curriculum scolastico o
genitoriale l’empatia compaia a stento o non compaia affatto e che in politica
o negli affari, nei tribunali o in polizia venga considerata raramente, se non
addirittura mai” (pag. 132): “la conclusione più ovvia è che il sistema medico
e psichiatrico di classificazione richieda a gran voce una categoria
chiamata “Disturbi dell’empatia” (pag. 137).
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Gli Effetti della Rimozione
Quei Suicidi dei VIP del Cinema, Mai Amati da Bambini: Negavano a Sé
Stessi i Maltrattamenti Subiti
Dalida |
Molti seppelliscono nel
subconscio questi maltrattamenti che riemergono sotto forma di disturbi
psicosomatici, gastriti, bulimia ed anoressia, insonnia, mal di testa.
Può darsi addirittura il caso che
riaffiorino solo nel sogno, anziché
nei ricordi (Alice Miller, “Riprendersi
la vita”, pag. 133) come nel film “La bestia nel cuore” (Italia 2005)
di Cristina Comencini ove la protagonista (il Premio David di Donatello
Giovanna Mezzogiorno) rivela al fratello degl’incubi ricorrenti e lui le rivela
che sia lui che lei sono stati abusati dal padre.
Jean Seberg |
Il guaio è, secondo la
convincente teoria psicologica della Miller, che molti hanno delle paure di
ammettere a sé stessi e agli altri di aver subìto del male, e tendono a parlare
in termini indulgenti e comprensivi nei confronti della memoria dei propri
genitori, ammalandosi di depressioni ricorrenti nel corso della vita.
La depressione è la ribellione
del corpo: è “come se il corpo protestasse contro questo tradimento nei
confronti di sé stessi poiché esso non può vivere senza sentimenti autentici” (“Riprendersi la vita”, pag. 26).
Ecco perché, secondo la sua
teoria, persino coloro i quali, come i divi di Hollywood, hanno un enorme
successo, sono sofferenti di depressione e non parlano dei traumi dei
maltrattamenti subiti dai genitori: “L’idea
di non essere stati amati dai propri genitori mi pare risulti insopportabile
alla maggior parte delle persone” (pag. 27). Ad esempio, l’attrice Dalida (1933 – 87), suicida a
cinquantaquattr’anni, era stata cresciuta dalle suore nei cui collegi all’epoca
imperavano i maltrattamenti psicologici, o l’attrice icona della Nouvelle Vague Jean Seberg (1939 – 79), anche lei suicida (a 40 anni), il cui
padre non seppe mai congratularsi con lei, e “non appena un uomo si comportava
in maniera non distruttiva nei suoi riguardi, lei lo lasciava” (pag. 26) o come
si vede nel film “Mammina Cara” (U.S.A. 1981) sulla vita del Premio Oscar Joan Crawford (1904 – 77), tratto dal
libro della figlia maltrattata e mai aiutata da nessuno. E a proposito di
cinema: la Miller cita anche i casi di pseudo-artisti, magari registi di
successo, che in realtà non si rendono nemmeno conto di proiettare sul grande
schermo i propri fantasmi con film sadici e violenza gratuita (pagg. 14 – 15).
Miller cita la nostra ingenuità
ed ignoranza quando visitiamo i castelli fatti costruire da Ludwig II di Baviera (1845 – 86) e dove
lui nemmeno mai dimorò: nessuno si pone il problema di quali traumi infantili
abbia subìto questo re che non trovò accoglienza presso i genitori che lo
consideravano uno sciocco e lasciarono in mano ai domestici. Dal momento che
“rispettava i genitori, come si conveniva, non gli era mai consentito di lasciar
spazio al sentimento della frustrazione” e ne sofferse anche da adulto.
L’Asimmetria: “Naturale e quotidiano strattonare. Ma quando mai lo
faremmo con gli adulti?”
Già l’educatore ebreo polacco
Janusz Korczak notava il male del picchiare i bambini, notando come i “grandi” hanno giuoco facile nel ricorrere
subito alla forza: “Se non ascolta, io ho la forza dalla mia parte. (…)” Ma
“chi di noi e in quali singolari circostanze s’azzarderebbe a strattonare,
spingere o colpire un adulto? Quant’è invece quotidiano e naturale uno
sculaccione dato al bambino, una strattonata energica per il braccio. (…)
Educhiamo a non rispettare il più debole” (“Il
diritto del bambino al rispetto”, edizioni dell’Asino 2011, pag. 26).
E se non tutti coloro i quali sono vittime di tali violenze
divengono antisociali, è vero che
“alla radice della tendenza antisociale c’è sempre una deprivazione”
(Donald Winnicott, “La famiglia e lo sviluppo dell’individuo”,
Biblioteca della Mente, direttore Vittorino Andreoli, Rizzoli-Corriere della
Sera, Milano 2011, pag. 130; prima edizione inglese “The Family and Individual Development” 1965): la Miller dice che
tutti i dittatori (nonché i serial-killer)
sono stati maltrattati da bambini.
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Ferenczi, Miller ed Hirigoyen Concordi nella Critica a un Certo
Vecchio Modo di fare Analisi:
“L’Analista dev’essere Empatico, sennò il Paziente rivive il Gelo del
Genitore Maltrattante”
Sandor Ferenczi |
Alice Miller ha dato poi un altro
grandioso contributo, smontando il dogma di Freud secondo cui l’analista
dovrebbe restare neutrale: ella stessa, quando ha provato questa “neutralità”,
è rimasta addolorata come i colleghi che avevano fatto la loro analisi
didattica (pag. 81). Come ho già ricordato, fu lo psichiatra (ed anch’egli psicanalista ebreo)
ungherese Sándor Ferenczi (1873 – 1933) il primo a osar smontare questo
dogma che Freud aveva inventato per rendere più accettabile la psicanalisi, ed
evitare ai genitori di venire rimproverati dai figli per i loro maltrattamenti (Ferenczi, "Confusione delle lingue tra adulti e bambini"
apud "Fondamenti di psicanalisi",
vol. III, Guaraldi, Rimini 1974; ediz. originale tedesca 1932). L’analista,
quindi, dev’essere simpatico, empatico col paziente, altrimenti la vittima rivivrà
il gelo subìto dal trauma (http://lelejandon.blogspot.it/2015/04/linvidia-maligna-del-perverso.html).
L’analista
deve partecipare attivamente con quella compassione che lo psichiatra di
origine ebraica Eugène Minkowski (1885 - 1972) chiamava “simpatia”:
"La simpatia è
quel dono meraviglioso che portiamo in noi di far nostre le gioie dei nostri
simili, di farcene penetrare interamente, di sentirci in perfetta comunione, di
essere un tutt'uno con essi (...) è
quanto c'è in noi di più naturale, di più "umano" (...) la
base stessa della vita sentimentale" ("Il Tempo vissuto.
Fenomenologia e Psicopatologia", Rizzoli, Milano 2011, pagg. 68 – 69).
La Convenzione Internazionale dei
Diritti del Bambino, approvata dall’ONU nel 1989, “considera maltrattamenti
psicologici contro i minori:
-
La
violenza verbale
-
I
comportamenti sadici tesi a sottovalutare
-
Il
rifiuto affettivo
-
Le
pretese eccessive o sproporzionate rispetto all’età del bambino
-
Le
consegne e le ingiunzioni educative contraddittorie o impossibili”.
(da
Marie-France Hirigoyen, “Molestie Morali”,
pag. 34)
Il Caso delle Madri Pentite, che hanno
ceduto alle Pressioni degli Stereotipi:
La Freddezza che Provoca un Attaccamento
Insicuro
A proposito dei danni che
l’anaffettività provoca ai figli, Enrichetta Buchli ha rilasciato
un’intervista-shock al settimanale
“F” (pagg. 25 - 26) ove pone il caso di quelle donne che sono diventate madri
non per una libera scelta, bensì perché si sono sentite obbligate dal peso di
uno stereotipo che gravava su di loro, e così scoprono di essere pentite:
“Hanno certamente un attaccamento verso i figli, ma rifiutano la funzione
materna” sicché “è importante che riconoscano questa loro difficoltà per
evitare che i figli crescano pieni di problemi.” Infatti, “tantissimi disturbi
degli adolescenti dipendono da madri che hanno rifiutato i figli anche se li
hanno nutriti, li hanno portati a scuola. Il punto è che lo hanno fatto
meccanicamente, non c’era empatia. Questo crea un attaccamento insicuro. Da
adulti i loro bambini saranno persone che penseranno di non aver diritto di
esistere.”
“Le madri oggi- prosegue la
psicanalista- non lasciano liberi i figli che sono oggetto del loro narcisismo.
Pensi alle mamme apparentemente molto orgogliose dei loro bambini, che li
espongono quotidianamente su Facebook. In realtà si tratta di una
compensazione. Più c’è rifiuto dei figli e più si cerca di farli diventare
degli specchi, prolungamenti di sé stessi, qualcosa da esibire. Ma se voglio
bene ai miei figli li proteggo dallo sguardo degli altri, non li mostro su un
palcoscenico.” Sorge dunque la domanda: “Una mamma pentita può permettersi di
dirlo ai suoi figli?” Risponde la sagace filosofa: “Non in modo diretto. Il
pentimento può essere trasformato in un chiedere scusa, nel riconoscere i
propri limiti.” E per finire, un’illuminazione dalla Bibbia ebraica: “Quando
Dio dice ad Abramo: vattene dal Paese di tuo padre, dà un’indicazione per la
crescita spirituale, che è poi ripresa in tutti gli scritti dei grandi saggi.
Dire vai, lascia la tua famiglia, rende liberi i figli ma anche i genitori”.
6 Film per Approfondire il Tema
In occasione di quest’Evento
pionieristico nel suo genere, il nostro Antonello
Ghezzi ha realizzato un raffinato montaggio da vari film stranieri per
introdurci al tema ed alimentare il dibattito in Sala.
La Citazione/1: Cenerentola
L’Immaginario Popolare: la Sapienza delle Fiabe
L’Invidia Maligna è Forte ma infine vincono “Gentilezza e Coraggio”
Cenerentola è una fiaba
antichissima, che risale al nono secolo a.C. e di cui abbiamo due versioni: una
di Perrault ed una dei fratelli Grimm. E’ la fiaba non solo più famosa ma anche
la più amata dai bambini. Nella versione di “Cenerentola” (U.S.A.
2015) di Kenneth Branagh, con protagonista
Lily James, la voce fuori campo riassume che “la matrigna e le sorelle
incominciarono a maltrattarla e a considerarla, anziché una sorella, una serva,
e così finì per occuparsi di tutte le faccende di casa”: come nel mobbing sul luogo di lavoro, viene
dunque demansionata, declassata. Una volta che la vedono sporca di cenere in
viso per via dei lavori domestici appunto, una delle sorellastre suggerisce il nomignolo di “Cenerentola” con la benedizione della matrigna (il Premio Oscar
Cate Blanchett) la quale tenta di demolirla quando la ragazza si ricrea da sé,
di propria iniziativa, un bell’abito da sera (appartenuto alla defunta adorata
madre) per il ballo indetto dal principe: “Mi dispiace dovertelo dire, ma i
gusti di tua madre erano discutibili”. In realtà, è evidente invidia per
l’eleganza innata della ragazza, ereditata dalla madre, di contro alla palese
volgarità degli abiti delle due figlie (che lei definisce i propri “cavalli in
gara”: non pensa alle figlie, ma a sé, è lei colei che infine vuol “vincere” il
potere in palio). Poi, chiamandola “una servetta stracciona”, una “lurida
servetta senza famiglia”, le strappa l’abito per impedirle di presentarsi al
gala. Quando scopre che il principe
cerca lei, “Cenerentola”, le fa un ricatto: sarà lei, la matrigna, la regina de facto asserendo che lei è inadeguata
per la sua età: “E tu chi sei? Come pensi di governare un regno?”. A quel punto
la fanciulla chiede: “Ma perché? Perché siete così crudele? Non riesco a
crederci” (come molte vittime di mobbing).
“Sono stata sempre gentile con voi. Anche se nessuno andrebbe trattato come voi
avete trattato me. Perché lo fate? Perché?” E la matrigna rivela l’origine
della sua Schadenfreude, l’invidia
per ciò che non può avere: “Perché? Perché tu sei giovane e innocente e…buona…e
io…”, e se ne va chiudendola a chiave nella sua stanza (la soffitta a cui è
stata relegata sin da subito dopo la morte del padre). Ex bellissima, due volte
vedova, un secondo matrimonio senz’amore, e ora sfoga tutte le sue frustrazioni
contro la figliastra. Chesterton (1874
– 1936), che amava le fiabe grazie alla Nonna, scrisse che “le favole non
insegnano ai bambini che i mostri esistono: questo lo sanno già. Le favole insegnano ai bambini che i
mostri possono essere sconfitti.” Grazie
all'insegnamento della madre, Cenerentola non si snatura, mantiene il suo carattere. Nella vita reale dei bambini e delle bambine
maltrattate, è grazie a quella figura che Alice Miller chiama il “testimone soccorrevole” che s’impara
che esiste anche l’amore autentico (come nel film “Gesti d’amore”).
Ed Enrichetta Buchli
in Sala ricorda che
“nella versione
originale la figura maligna che mobbizzava Cenerentola era la madre, non la
matrigna.”
****
La Citazione/2: Ken Park
La Bimba Abbandonata davanti alla TV-Babysitter
Il Disgusto di un Padre vs il Figlio perché ha Diversi Gusti:
il Disgusto Fisico Irrazionale mascherato da Disgusto Morale
Ma non esistono solo le “matrigne”,
bensì anche i “patrigni”, per usare la metafora delle fiabe. Nel film-shock iperrealista “Ken Park” (2002), un
ragazzino assiste il padre nell’allenamento nel cortile di casa, lo incita
motivarlo come fa un buon compagno d’allenamento, gli dà man forte, gli rimette
a posto il bilanciere, gli porge l’asciugamano: insomma, fa di tutto per
rendersi amabile. Il rozzo padre a questa gentilezza risponde con le sue esigenze,
le sue proiezioni, e il suo disgusto fisico che maschera con un disgusto morale
per quelle che considera le sue “scelte” (in realtà preferenze naturali).
Insiste che provi il sollevamento pesi, dunque che lo imiti, ma il ragazzo non
è interessato e gli risponde, con tutto il rispetto, che preferisce lo skateboard al sollevamento pesi:
“Certe volte ti guardo e mi vergogno da morire. Non
sai neanche mettere i pantaloni” (il ragazzino li indossa alla moda degli skaters) “Vedere te mi dà il voltastomaco. La mattina mi alzo, ti vedo e so
che sarà una brutta giornata perché mi vergogno.”
Insomma, un padre (comportandosi
come un “patrigno” per così dire) vomita in faccia al figlio il proprio
disgusto per le sue preferenze sportive, insinuando che sia omosessuale (peraltro
il figlio non è gay).
Usa un linguaggio da match televisivo (vincere, perdere:
infatti, vedremo, segue proprio un genere di programmi-trash ove vince chi strilla più forte e s’impone per mezzo della
violenza verbale): “Ti faccio una domanda. Tu ti consideri un vincente?”. Come
dire che il figlio è un “perdente”: nel suo sistema di “valori” chi non ha le
sue preferenze e il suo modo di fare sarebbe un fallito, uno “sfigato”.
Questo padre che non vuole
accettare le preferenze di suo figlio un giorno, mentre lo vede che si esercita
goffamente ma con perseveranza nella sua passione alla tavola, in un attacco di
disgusto irrazionale, pretestuosamente spacca
la tavola con una pedata davanti ai suoi occhi perché “fa rumore e disturba
i vicini” ed è “un giocattolo da imbecilli, non è uno sport” (peraltro non lo
è, se è per questo, nemmeno il bodybuilding,
e il giuoco, che appartiene a tutte le età, come ricorda l’antropologo Ashley
Montagu, non dev’essere necessariamente uno sport), “sembri un deficiente”. Il
figlio reagisce con rabbia dandogli uno spintone: “Mi hai rotto la tavola!”,
protesta. “Stai zitto, non fare la lagna!”, dice il padre usando un linguaggio
che riproduce quello dei partecipanti agli show-spazzatura
televisivi che segue. Lo colpisce con una sberla, poi un pugno, infine l’avvertimento
(in realtà una minaccia): “E se ne vedo uno nuovo, ti spezzo pure quello, non fare lo stronzo con me, perderai sempre”.
Per lui essere padre è proiettare il suo
modo d’interpretare secondo uno stupido stereotipo machista l’essere maschio
(fare muscoli) ma chi vorrà vedere tutto il film poi a casa propria scoprirà che
tipo d’invidia che c’è dietro quest’atteggiamento perverso: lasciamo alla
visione del film, che è per un pubblico adulto. Addirittura, in un momento di
“dialogo” con la moglie (una che fuma in gravidanza) davanti alla TV in cui
guardano programmi-risse ove vince chi urla più forte come nell’antica Sparta
medita di cacciarlo di casa (“buttiamolo
fuori, sono stufo, non lo sopporto più”) ma lei non pare indignarsi
abbastanza prendendo provvedimenti dinanzi alla gravità di questi pensieri di
abbandono del minore, limitandosi a dire “non te lo permetterò” e a guardarlo
profondamente male. Fa il verso alla compagna: “E’-così- sensibile!” “Sì, dagli
una scusa per essere ancora più effeminato!”. (Proprio pochi giorni fa, un papà
proprio della California ov’è ambientato Ken Park, ha ammazzato suo figlio
perché aveva orrore del suo essere gay; il figlio poco prima aveva postato un
video ove il padre lo chiama pervertito e dice che merita la castrazione). Un procuratore ha raccontato che un ragazzo di
Reggio Calabria stava per essere ucciso dal padre ma grazie all’opposizione
della madre si è salvato e cita anche un precedente di un padre che ha
effettivamente ucciso il figlio perché gay e la cui madre è diventata attivista
antimafia in sèguito a questo crimine (http://www.huffingtonpost.it/2015/01/02/boss-ndrangheta-figlio-gay_n_6406384.html).
E Silvia Manzani, la giornalista che è stata nostra Ospite a raccontarci le storie delle famiglie con due babbi o due mamme, ha raccontato di un caso-shock di una madre-stalker nei confronti del padre di suo figlio, la quale ha detto a quest'ultimo a mò d'insulto sprezzante riferito ad entrambi: "Diventerai gay come tuo padre" (http://www.romagnamamma.it/2016/03/a-undici-anni-la-mamma-lo-mise-alla-porta-vattene-da-tuo-padre/).
Nello stesso film, una bimba è lasciata in soggiorno dalla
madre (che nel frattempo è occupata nell’intrattenere una segreta relazione
extraconiugale al piano di sopra col fidanzatino della figlia) davanti ad immagini inappropriate dinanzi
alla TV babysitter: torna anche qui la presenza inquietante della
televisione come “luogo” ove scaricare i bambini indesiderati.
****
La Citazione/3: Violenze a Tavola
La Matriarca che ignora una delle Figlie (e Maltratta Tutti)
La Derisione dei Sentimenti Morali della Nipote Vegetariana: Umiliata
per la sua Sensibilità
Nel film “I Segreti di Osage County”
(2013, da una pièce teatrale del Premio Pulitzer Tracy Letts “August: Osage County”), la figlia del
Premio Oscar Julia Roberts (Abigail Breslin), un’adolescente che si trova a
disagio nell’ipocrisia del pranzo familiare ove la nonna maltratta tutti eppure
pretende la preghiera pre-pasto, è interrogata da un perplesso zio intorno al
suo essere vegetariana, e spiega volentieri ai convitati: “Quando ingerisci
l’animale ingerisci la paura”, dice spiegando la reazione chimica scatenata dal
macello. E a quel punto interviene l’odiosa matriarca (il Premio Oscar Meryl
Streep) che chiede: “La cosa? La verdura?”. E lei: “La paura!”. A quel punto
quasi tutti scoppiano a ridere senza
ritegno, sguaiatamente, senza riguardo al ragionamento morale della ragazzina e
ai suoi sentimenti morali. Mentre la madre (la Roberts tace, con
un’occhiata di odio verso la madre) solo due dei presenti (Delmot Mulroney e
Benedict Cumberbatch), che sono esterni alla famiglia (essendo solo il
fidanzato di una delle figlie) prova a prendere le difese della ragazza così
umiliata proprio per la sua sensibilità. Mentre lo zio fa la battuta: “Quindi
ho mangiato paura tre volte al giorno per sessant’anni” e qui di nuovo tutti
ridono, e a questo punto la capofamiglia
(la Streep) cambia completamente discorso senza prendere in considerazione
l’opinione della nipote che potrebbe invece suscitare un dibattito che la
coinvolga appassionatamente (lei sinora isolata dagli stupidi discorsi
degli “adulti”): “Non era una pubblicità che diceva: “Dov’è la carne?”, e l’ultima delle figlie (quella ignorata e
disprezzata, la bella Juliette Lewis) la corregge ridendo per provare
disperatamente a risultare finalmente simpatica per una volta alla madre:
“Dov’è il manzo?” ma viene subito
zittita dalla matriarca che abbaia: “La carne, dov’è? La carne dov’è?” (lei
se la ricorda così, quindi è così, punto e stop:
guai a contraddirla!).
Nel corso dello stesso pranzo,
c’è un altro episodio di violenza morale: l’indifferenza verso una delle
figlie, evidentemente odiata. La Bibbia
ebraica ci dice che l’odio è anche la mancanza di compassione, oggi diremmo,
nel linguaggio della scienza, di empatia (http://lelejandon.blogspot.it/2014/09/la-via-della-compassione-creativa.html).
La solita protagonista madre di famiglia
lancia il tema del mobilio di cui si vuole disfare e lo offre solo a due delle
figlie, ignorando l’interessamento da parte della terza (Juliette Lewis) che
interviene ogni tanto sommessamente (“è così carino”, “è davvero grazioso”),
come al solito bistrattata: il suo commento di apprezzamento della credenza,
timido modo per dire che le piacerebbe averlo lei, viene completamente ignorato,
come se non esistesse.
****
La Citazione/4: The Help
“Sei Tu la mia Vera Mamma!”: è la Tata di Colore a dare Autostima alla
Piccola
Nel film “The Help”, che ha inaugurato
la mia prima edizione della rassegna “Il Cinema e i Diritti” (http://lelejandon.blogspot.it/2014/11/the-help-lezione-sulla-compassione_14.html,
scene-clou su https://www.youtube.com/watch?v=7TBG3_Xls28),
e che ho presentato anche nel mio Evento “Parole che Nutrono” ad Expo Milano
2015 (http://lelejandon.blogspot.it/2015/05/speciale-cineforum-in-expo-milano-2015.html,
http://lelejandon.blogspot.it/2015/05/my-special-cineforum-in-expo-milan-2015.html,
scene-chiave su https://www.youtube.com/watch?v=HW9WvZndkJw) è la tata di
colore Aibileen (il Premio Golden Globe Viola Davis), a fare le veci della madre, che è diventata mamma troppo
giovane ed è impegnata fra party,
parrucchiere e bridge con le amiche.
E’ lei che le insegna il toilet training, e le due volte che la bimba informa felice la mamma che ce l’ha fatta a fare la pipì, la madre o la ignora o la sgrida (per averla fatta all’aperto). Inoltre, la madre è anaffettiva, e solo una volta al giorno la prende in braccio (anche quando prende, nella scena finale, in braccio l’altra bambina, è gelida): è proprio questa freddezza, di cui parlava la professoressa Buchli, che rischia di creare un attaccamento insicuro.
il Premio Golden Globe Viola Davis |
E’ lei che le insegna il toilet training, e le due volte che la bimba informa felice la mamma che ce l’ha fatta a fare la pipì, la madre o la ignora o la sgrida (per averla fatta all’aperto). Inoltre, la madre è anaffettiva, e solo una volta al giorno la prende in braccio (anche quando prende, nella scena finale, in braccio l’altra bambina, è gelida): è proprio questa freddezza, di cui parlava la professoressa Buchli, che rischia di creare un attaccamento insicuro.
“Sei tu la mia vera mamma”, le dice la piccola Mae Bo, in uno
slancio affettuoso. E’ lei, la domestica nera, che le dà i fondamentali
insegnamenti di vita, ripetendole (specie quando viene punita, sculacciata
senza riguardo dalla madre) il mantra
che le dona autostima e protezione: “Tu
sei carina, tu sei brava, tu sei importante”. Eppure, anche per lei vige la
segregazione razziale che la considera meno umana dei bianchi.
La stessa tata, alla fine, una
volta licenziata pretestuosamente con una falsa accusa architettata dalla
migliore amica della madre della piccola, ragiona: “Dio dice che bisogna amare
il nostro nemico, ma è difficile”, e dice
invece di essere confortata da un’altra frase attribuita all’ebreo Gesù dice che “La verità vi farà liberi”
(una frase che l’ebreo Sigmund Freud sottolinea alla base della nuova scienza
umana da lui fondata). Anche la psicanalista Alice Miller fa questo tipo di
critica alla dottrina cristiana del perdono perché ciò genera una sofferenza psicofisica
tale da fare ammalare in maniera inguaribile.
***
La Citazione/5: I 400 Colpi
L’Amicizia Fraterna fra Truffaut e Lachenay, Bambini Maltrattati
“Mia Madre non Tollerava Rumori: allora io mi rifugiavo nella Lettura”
Nel premiato film “I
Quattrocento Colpi” (“Les Quatre
Cents Coups”, Francia 1959), primo lungometraggio del Premio Oscar François
Truffaut (1932 – ‘84) che fu
fra i fondatori della Nouvelle Vague,
il protagonista è un 12enne (Jean-Pierre Léaud, all’epoca già 14enne) la cui
madre (il Premio César Claire Maurier) non gli vuole bene e lo maltratta sino a
mandarlo (per liberarsi di lui) col pretesto di qualche marachella che in
realtà è fatta per attirare inconsciamente l’attenzione degli educatori
(furtarello, bugie, assenze da scuola), in un riformatorio ove, nel corso
dell’intervista fattagli da uno psichiatra, emergono le vessazioni, ad esempio
quando la madre “come punizione” per un suo furtarello vendette il libro che
gli era tanto caro perché regalatogli dalla Nonna. “Mi sgridava sempre per
niente, per delle sciocchezze” dice il bambino, e “se sono nato lo devo alla
Nonna”. (Quando, per giustificare un’assenza da scuola, che aveva marinato con
il compagno ed amico, dice al maestro che la madre è morta, questa si presenta a
sorpresa in classe e lo umilia picchiandolo davanti a tutti). La scena finale è
un fermo-immagine del suo dolore morale quando fugge verso il mare.
La storia è ispirata proprio all’infanzia del regista: la madre si era
ritrovata incinta senza volerlo ed essendo cattolica praticante e non potendo
abortire, lo fece allevare dalla nonna (che gli trasmetterà anche l’amore per
le buone letture), sinché questa morì (ed andò a vivere col nuovo compagno
della madre che però fu tale solo legalmente). Come egli stesso ricorderà:
“Mia madre non sopportava i rumori e
m’impediva di muovermi e di parlare per ore ed ore. Allora io leggevo: era
la sola occupazione a cui io potessi dedicarmi senza disturbarla.
Conobbe Robert Lachenay (1930 – 2005), futuro assistente di regia nonché
critico cinematografico, che lo comprendeva perché aveva una situazione
familiare simile, come testimonia egli stesso nei Cahiérs du Cinéma del 1984 dedicati all’opera dell’amico fraterno:
“L’incomprensione che i suoi genitori
manifestavano per lui era simile a quella dei miei. Ciascuno di noi non aveva
che l’altro a far le veci della famiglia. Se non ci fossimo incontrati e
sostenuti a vicenda, certamente ci saremmo avviati entrambi su una brutta
strada”
Insomma, Lachenay fu per lui il suo “testimone soccorrevole”, per dirla
con Alice Miller. E viceversa, Truffaut lo fu per lui.
****
La Citazione/6: L'Ospite d'Inverno
Il Discorso del Bambino
Filosofo: Ricatti Emotivi e Abbandoni
“Perché mai ci mettono
al mondo se non ci dedicano un Minimo di Tempo né sono Felici?”
Ne “L’Ospite d’Inverno” (“The Winter Guest”, U.S.A – G.B. 1997),
il poetico film intreccio di storie di tre generazioni, in una memorabile
scena, anche il regista (il Premio Golden Globe Alan Rickman), come Truffaut,
ci presenta il punto di vista puro dei bambini (che hanno circa la stessa età
del protagonista de “I quattrocento colpi”)
in un momento di dialogo fra due amichetti
che, anche loro come ne “I Quattrocento
Colpi”, marinano la scuola. Due bambini che, nonostante il duro clima
familiare, sono capaci di tenerezza, di entusiasmarsi perché la gattina neonata
gli lecca la faccia, e capaci d’indignarsi a morte per quei due gattini
abbandonati a una morte sicura sulla spiaggia (crimine che fanno solo gli
adulti), e che essi tengono con sé per diventarne amorevoli curatori.
Il primo spiega perché gli
conviene arrivare a casa ad un orario credibile, anche quando salta la scuola, che per i suoi genitori è un
parcheggio ove scaricarlo:
“Non ho mai saltato
un giorno di scuola, anche con la polmonite mi ci hanno mandato con gli antibiotici
in mano.” Se arriva tardi, ecco subito la madre pronta a rivolgergli dei ricatti emotivi:
“Sei-tutta-la-mia-vita-e-mi-hai-infilato-un-coltello-nel-cuore” (fa
il verso della madre) “Ma io non ho mica chiesto di nascere! Ecco a che punto
ti fa arrivare: non te l’ho mai chiesto! E allora incomincia a raccontare gli orribili dolori del parto che ha dovuto
sopportare per te e quanti punti le hanno messo per richiuderli.
Non-l’hai-chiesto?!-Hai-ragione-tu-non-hai-chiesto-di-nascere-Non-l’hai-chiesto:
l’hai-preteso!” (di nuovo, scimmiotta la madre ricattatrice).
E dunque, ond’evitare queste sceneggiate con simili ricatti emotivi,
lui arriva a casa puntuale.
L’altro bambino ha anche lui di
che lamentarsi dei propri genitori: coglie la contraddizione fra il mettere al
mondo i figli salvo ben presto abbandonarli in giro e non coltivare del tempo
per loro: giocare con loro, dialogare con loro, persino crescere con loro. Non
gli riesce di comprendere la ragione di mettere al mondo figli, dato che non si
dedica loro tempo adeguato. Ecco il suo lucido ragionamento:
“E’ un mistero del
cazzo questo cazzo di vita: non sei
ancora nato che già ti buttano fuori di casa: asilo nido, scuola
materna…per quale cazzo di motivo? Loro
lavorano e tu studi. E non sono mai felici. Non li ho mai visti felici. Poi
il college, l’università e il lavoro, il lavoro…: ma perché ci mettono al mondo? Tanto non stanno mai con noi.
Su-avanti-ubbidisci!-Non-posso-stare-con-te-devo-lavorare. Io sono disperato:
cazzo, lasciatemi vivere!”
Poi (proprio lui, così sensibile
ed intraprendente) non riesce ad immaginarsi un futuro creativo per evidente
effetto delle frasi-killer tutt’altro
che incoraggianti degli “educatori”:
“Io finirò per fare
il garzone da Safeway” (la catena di supermarket inglese, ndr) “Me l’ha detto
il professor Crockett e l’ha detto a mamma: Mi-hai-molto-deluso” (fa il verso
alla madre) “Era così incazzata ed ora prendo
ripetizioni da uno che ha le chiavi di casa: ha le chiavi di casa mia!!!”
Insomma, non solo si ritrova a
dover subire la violenza di trovarsi un estraneo in casa, ma non ha nemmeno alcuno spazio nell’arco della sua giornata
“lavorativa” per il giuoco, lo svago, il rapporto d’intimità con i
genitori. Facendo i conti, definisce una “tortura” questo regime familiare:
“Scuola dalle 9 alle
4, ripetizioni fino alle 6, còmpiti fino alle 9, e poi a letto. 9 e 4, 4 e 6, e
poi a dormire…Ma che cazzo vogliono? Mia
madre mi tortura e io devo dirle grazie, sennò si mette a piangere. Io non
lo so, non lo so…”
Anche oggigiorno ci sono genitori
che riempiono le “agende” (!) dei figli con sport, corsi di varie attività
integrative che la scuola conservatrice non insegna, per colmare il vuoto non
già e non solo d’istruzione delle scuole ma anche d’affetto e di tempo per i
propri figli, sicché i bambini non hanno di fatto del tempo spensierato: sono bambini
deprivati del tempo libero. A
proposito del tempo libero, mi viene in mente un’osservazione di Korczak che
cita come negativo anche quando il genitore “impone” al bambino di giocare
senza chiedergli se ne ha voglia:
“I genitori
intelligenti provano una spiacevole sensazione quando ordinano: “Gioca” e con
dolore ascoltano la risposta: “Sempre e soltanto giocare e giocare”, “Come amare il bambino”, pag. 103).
****
Lo Scrittore Svedese della Prima Metà del Novecento
“Non rinunziare alla propria Creatività: non sfogare la propria Frustrazione
sui Figli”
Eppoi vorrei annoverare altresì
un errore opposto: il genitore stesso che rinunzia al proprio tempo per sé, per
la propria creatività. All’origine dello sfogo di frustrazioni contro i figli
c’è stata una rinunzia al proprio spirito creativo. Lo scrittore svedese Stig Dagerman (1923 – 54) anche lui
come Korczak della prima metà del Novecento e come lui poco noto in Italia, parla poi della violenza morale di rinfacciare ai
bambini delle proprie rinunzie, attraverso una “parabola” che parla di un
padre che suonava il contrabbasso ed aveva la stoffa per diventare un
eccellente suonatore sinché un giorno gli nasce un bambino. E poiché al bambino
pareva non piacere lo strumento (dato che piangeva sempre), il padre smise di
suonare (anche se il bambino seguitò a piangere) e stava sempre col suo
figlioletto: “Il piccolo viene prima di tutto”. “Si vergognava di fronte a suo
figlio, gli sembrava che il contrabbasso si frapponesse tra loro come un
rivale.” Sinché dopo un incubo una notte “ammazza” a colpi d’ascia il
contrabbasso.
“Perché è stato ucciso il contrabbasso? Per amore, viene facilmente da
dire se si guarda a tutta la faccenda dal punto di vista dell’idillio, del
quadretto natalizio”: “il giovane padre che cerca di nascondersi il volto
nel travestimento di Babbo Natale”. “E’ realmente necessario assassinarlo? Non
è che è sia sempre necessario scegliere, checché ne dicano gli esistenzialisti.
Anzi, ci sono casi in cui scegliere è pericoloso, perché le cose tra cui
dovremmo scegliere, ben lungi dall’essere opposte tra loro, col tempo in realtà
si completano. Chi crede che si debba scegliere tra il bambino e il
contrabbasso un giorno se ne pentirà. Quanti poveri bambini, mezzo ammazzati
dall’amore, sono stati coccolati con tanta di quell’amarezza da rimanerne
emotivamente danneggiati per il resto della vita? Quanti assassini di
contrabbassi hanno amorevolmente sussurrato all’orecchio dei loro figli: “Pensa cosa sarei diventato se non fossi
nato tu. Non hai idea di quanto ero bravo a suonare il contrabbasso prima
che tu nascessi. Ma poi sei nato. E naturalmente tu eri più importante, bambino
mio”. E allora bisogna cercare “l’arte di trovare un equilibrio”: “quello che
deve fare il contrabbassista non è, naturalmente, assassinare il suo strumento,
ma farlo conoscere ai suoi figli, introdurre a poco a poco i bambini nel suo
mondo” (“Perché uccidere il contrabbasso?”, in “Perché i bambini devono ubbidire?”, Iperborea, Milano 2013, pagg.
43 - 48).
"Il bambino cattivo" di Pupi Avati |
Ci sono poi padri come quello
(interpretato dal Premio David di Donatello Luigi Lo Cascio) del film-TV “Il
bambino cattivo” (Italia 2013 del Premio David di Donatello Pupi Avati),
che, separatosi dalla moglie, ammalata di “psicosi alcolica”, ora è realmente
interessato solo a (com) piacere (al)la nuova compagnuccia, che gli suggerisce
di abbandonare il minore: così il giudice dichiara lo “stato di abbandono” (!)
e il bambino finisce in una casa-famiglia, in attesa che una coppia lo adotti.
Quell’orribile uomo non si rende conto delle violenze che fa al figlio quando,
ad esempio, con la madre del bambino che
si trova sofferente psichica in ospedale, lo obbliga con un ricatto ad una
cenetta romantica con la nuova fiamma per fare bella figura con lei, senza
curarsi dei suoi sentimenti morali. Così come altrettanto violento è il
padre del protagonista del film “Né Giulietta né Romeo” di Veronica
Pivetti (che ho presentato in Sala Alessi a Palazzo Marino con Ospite la
regista) che vuole psicanalizzare egli stesso suo figlio per il suo
orientamento sessuale e sottoporlo ad una sorta di terapia riparativa
dell’omosessualità.
****
La Fiducia nella Natura Buona Originaria
Alice Miller: “i Tedeschi seguirono Hitler perché Maltrattati
dall’Educazione Nazista”
Ad ispirarmi il titolo che ho
voluto dare all’Evento di oggi è stato un libro del pediatra ebreo polacco Janusz Korczak, “Il diritto del bambino al rispetto” del 1929 (che, come scrive Giuliana
Limiti nella sua introduzione a “Come
amare il bambino”, opera del 1918, “è il manifesto di una rivoluzione che
si compirà, il riscatto dei diritti del bambino contro la moltitudine degli
obblighi che, per pregiudizio o ignoranza o comodità personale, gl’infliggiamo,
derubandolo di tempo di vita realizzato nel possesso della sua vitalità, in
nome di un domani che non capisce”, pag. 10). La sua figura e la sua storia mi hanno molto
commosso. Figlio di una famiglia ebrea progressista, pediatra, educatore,
scrittore e drammaturgo, era stato anche alla guerra durante il conflitto
contro il Giappone nel 1905. Egli amava così tanto i bambini che fece due
scelte:
-
la prima
fu di non ammogliarsi, ond’evitare qualunque rischio che la follia del
padre (morto suicida) potesse trasmettersi per una componente genetica ai suoi
eventuali figli, ed al fine di potersi
dedicare completamente ai suoi bambini della Casa dell’Orfano da lui
fondata (Lettera a M. Zybertal, 30.3.1937) senza ricevere compenso ma anzi
dando piccole remunerazioni ai bambini per i lavori svolti a rotazione;
-
la
seconda fu quella di rimanere in Polonia durante la guerra e la Shoah per condividere il destino dei
suoi, proprio come fece il pastore luterano Dietrich Bonhoeffer (che restò
in Germania ove fu impiccato nel Lager di
Flossenburg) e come l’olandese Etty Hillesum (che morì con la famiglia ad
Auschwitz) o come l’ebreo veneziano Giuseppe Jona che restò al Ghetto per essere d’aiuto al suo popolo
oppresso (e che, quando gli chiesero i documenti coi nomi dei suoi
correligionari, preferì uccidersi): nel 1940 seguì i 170 bambini
dell’orfanotrofio trasferiti (e radunati assieme a tutti gli ebrei prima di
essere spediti nei Lager) al Ghetto ebraico, che, come si sa, è l’ultima
tappa prima del campo di concentramento. Fu arrestato varie volte dai nazisti
(per aver voluto esigere la restituzione di un carico di patate destinato ai
bambini e per essersi rifiutato di recare il bracciale che era il contrassegno
degli ebrei). Il 22 luglio 1942 parte assieme ad altri tre colleghi educatori
con i suoi duecento bambini verso il Lager
di Treblinka, a 60 KM da Varsavia, ove trova la morte. Sulla sua vita il
regista polacco Premio Oscar Andrzej Wajda ha girato il film del 1990 “Dottor Korczak”(tit. orig. “Korczak”).
Era così attento
ai sentimenti dei bambini che ideò delle strategie per impararne prima
possibile i nomi (mettendo vicini quelli rassomiglianti per studiarne i
particolari e memorizzarli), li chiamava con i nomi familiari con cui erano
chiamati dalle loro madri, si preparava per una settimana prima di pronunziare
davanti a loro un discorso, e rivedeva i suoi sbagli (ad esempio si accorse del
nonsenso di forzare i bambini troppo diversi fra loro a stare vicini). Era
empirista, e nonostante i tanti libri di psicologia infantile letti, ha
riveduto i suoi metodi sulla base dell’esperienza di vita con loro: “regna la
morale” (cioè il moralismo, ndr) “e non l’esperienza”, denunciava (“Come amare il bambino”, Luni editrice,
Milano 2015, pag. 235). Scoprì per esempio che le domande banali su come stiano
i genitori di casa non sono amate dal bambino perché “non vede né un vero
interesse né la possibilità di rivolgerci una domanda”: “ti serba rancore per
la falsità dell’apparente interessamento per la sua persona; egli non vuole
essere liquidato in due battute” (pagg. 228 -9). E soprattutto, invita a
rinunziare alle proiezioni: “Non trasformerò nessuno dei bambini in qualcosa di
diverso da ciò che egli è” (pag. 223). Scrisse:
“Il
bambino pensa con il sentimento, non con l’intelletto. Per questo è difficile
comunicare con i bambini, per questo non c’è un’arte più difficile che parlare
ai bambini.” (“Come amare il bambino”,
pag. 306)
Anne Frank |
D’idee liberali progressiste, era
contrario ai bambini “trattati con il guinzaglio”. Aveva studiato nella città
natale del pedagogista da lui ammirato Pestalozzi
(1746 – 1827), Zurigo, e come Rousseau, ispiratore di Pestalozzi, e come Alice
Miller, credeva nella compassione e nella bontà originale del bambino (“nessun ragazzo è difficile o cattivo, ma lo
diventa perché è infelice. Dovere dell’educatore è scoprire che cosa lo
tormenta”), proprio come Anne Frank (1929
– 45), la quale scrisse, pur avendo lei fatto esperienza del male assoluto, nel
suo “Diario”:
“Nonostante tutto,
credo ancora nell’intima bontà dell’uomo”
(cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/amsterdam-la-storia-gli-eroi-i.html)
Anche Alice Miller (la cui tesi è stata appoggiata anche dal grande
antropologo Ashley Montagu, 1905 - 1999) crede nella bontà originaria:
“Ogni essere umano viene al mondo senza cattive intenzioni, con il
forte, chiaro e non ambivalente bisogno primario di mantenersi in vita, di
poter amare ed essere amato” (“Riprendersi
la vita”, op. cit., pag. 60) “Il bambino viene al mondo già con la storia
che ha vissuto nel grembo materno. Nasce comunque innocente ed è pronto ad
amare. Il bambino può amare molto di più di quanto non riescano a farlo gli
adulti” (pag. 157).
E conclude che il male nasce
dall’erosione dell’empatia provocata sui bambini dai loro caregivers:
“Tutti i fiancheggiatori di Hitler erano stati bambini puniti con
brutalità e umiliati che hanno in sèguito scaricato su degl’innocenti i
loro sentimenti repressi, la loro rabbia impotente, perché con la benedizione
di Hitler potevano finalmente farlo senza rischiare di essere puniti” (“Riprendersi la vita”, pag. 43).
Come documentato dalle
testimonianze dei suoi fratelli, Hitler riceveva da bambino “castighi
quotidiani” e “al minimo pretesto erano botte”: “Non sapeva che cosa doveva
fare, né come comportarsi per mantenere il diritto di esistere in quella
famiglia. A 11 anni, disperato, volle scappare, ma fu riacciuffato dal padre,
che lo derise” (pag. 50). Si rifugiò nelle sue fantasie, immaginando un giorno
di diventare un potente distruttore. Un delirio di grandezza che lo portò a
vendicarsi su innocenti, complice anche il latente antisemitismo covato dalla
Germania: “Fu proprio la storia delle umiliazioni sistematiche patite
nell’infanzia a metterlo in condizione di trascinare
con sé tutti coloro che nell’infanzia avevano vissuto una storia analoga” è
la sua tesi-shock (“Riprendersi la vita”, pagg. 51 –
52). Certo,
“per fortuna non
tutti i bambini picchiati diverranno dei dittatori; ma tra i dittatori”
(Stalin, Mao, Hitler) “non ne ho trovato neppure uno che non fosse stato
pesantemente maltrattato nell’infanzia” (“Riprendersi
la vita”, pag. 163)
Come già notava Korczak:
“Dimmi chi ti ha
generato, ti dirò chi sei. Ma non è sempre così. Dimmi chi ti ha cresciuto, ti
dirò chi sei: anche questo non va bene” (“Come
amare il bambino”, pag. 76)
Infatti, secondo la Miller, basta un “Testimone soccorrevole”: così lei
chiama quell’angelo umano che può essere
“un insegnante, una
vicina, un collaboratore domestico o anche la nonna” che “offre un po’ di simpatia o d’amore al bambino” maltrattato e
“grazie a questo testimone il bambino
apprende che al mondo esiste qualcosa come l’amore” (“Riprendersi la vita”, pag. 43):
nel gran finale del film “Gesti
d’amore” c’è, appunto, quest’happy
ending con la stretta di mano sotto il tavolo da pranzo, della sorella col
fratello, segno di solidarietà ed amore: del ruolo possibile di un fratello
come testimone soccorrevole c’è testimonianza anche in un lettore che scrive ad
Alice Miller (“Riprendersi la vita”,
pag. 134).
Poiché ad avallare come copertura
ideologica i maltrattamenti contro i bambini ci sono sempre state cattive
ideologie pessimistiche sugli esseri umani (persino di teologi/riformatori
religiosi) o mode ideologiche (come quella dei pedagogisti anni Cinquanta in
America che vietavano gesti di calore verso i bambini negli orfanotrofi!), per fondare il rispetto del bambino,
secondo me, ci dev’essere il sentimento di fiducia nei confronti della natura
umana: dimostrò questa fiducia Korczak, che aveva scritto fra le varie
altre opere anche un libro dal titolo “Gli
uomini sono buoni” (nel 1938). Nel nostro Blog e nel nostro Cinetalk
abbiamo già trattato delle conclusioni dello psicologo americano Paul Bloom, che
con i suoi esperimenti coi bambini
piccoli, ha mostrato che nasciamo già portati alla compassione, già orientati alla
collaborazione spontanea (http://lelejandon.blogspot.it/2014/08/le-intuizioni-morali-innate-come-i.html):
altro che peccato originale e limbo,
come predicava Agostino, o i figli del diavolo, come si predicava nel Medioevo,
o le teorie degli ortodossi freudiani come Edward Glover (che descrisse
così il bambino normale: “egocentrico, possessivo, sporco, violento e
collerico, distruttivo…tirannico e sadico”, citato in Alice Miller, “Riprendersi la vita”, pag. 158).
L’etologo americano Frans De Waal
dice nel suo libro “L’Età dell’Empatia”
che “l’empatia ha bisogno di una faccia” e infatti Korczak invita proprio tutti
i vari educatori a fare attenzione alle
espressioni del volto del bambino (e qui torna in mente il grande filosofo
ebreo Emmanuel Lévinas e la sua etica del volto umano).
Egli stesso medico-pediatra, usa una similitudine col medico: così come il dottore fonda la sua osservazione sui sintomi del corpo, così il buon educatore in generale fonderà la sua osservazione sul volto dei suoi bambini e ragazzini il sorriso, il riso, il rossore, il pianto, lo sbadiglio, il grido, il sospiro. Ad esempio, a proposito di rimproveri brutali:
Emmanuel Lévinas |
Egli stesso medico-pediatra, usa una similitudine col medico: così come il dottore fonda la sua osservazione sui sintomi del corpo, così il buon educatore in generale fonderà la sua osservazione sul volto dei suoi bambini e ragazzini il sorriso, il riso, il rossore, il pianto, lo sbadiglio, il grido, il sospiro. Ad esempio, a proposito di rimproveri brutali:
“Vi esorto vivamente
a osservare l’espressione del viso di un
bambino che sopraggiunge di corsa tutto allegro e nella sua intemperanza dice o
fa qualcosa di sconveniente e all’improvviso viene investiti brutalmente da un
adulto” (“Come amare il bambino”,
pag. 112)
Per Korczak è violenza anche aver
imposto l’educazione intellettualistica, mortificando il lato destro del
cervello: la creatività. Oggi sarebbe d’accordo con l’attivista sociale Matthew Fox, che ha inaugurato la
nostra rassegna “Il Cinema e i Diritti” esortando a costruire tutti insieme una
società che metta al centro le varie forme di spirito creativo (http://lelejandon.blogspot.it/2015/03/il-coraggio-creativo-e-la-risposta.html).
Come con gli animali (il paragone è mio), anche con i bambini si è
fatto storicamente l’errore di considerarli in funzione di un modello (l’uomo
adulto e formato, cioè ciò che eventualmente saranno in sèguito) che fonda le
basi per non averne adeguato rispetto:
“Gli studiosi hanno
sentenziato che l’uomo maturo segue le motivazioni, il bambino gl’impulsi,
l’adulto è logico, il bambino irruento; secondo un immaginario illusorio,
l’adulto ha carattere, una moralità ben definita, il bambino s’intrica nel caos
degl’istinti e desidèri. Analizzano il bambino non come una diversa entità
psichica, ma come inferiore, debole, povera.” (“Il diritto del bambino al rispetto”, pag. 64). “E’ un ambiguo uomo
primitivo. Sembra docile, innocente, in realtà è furbo, infido” (“Il diritto del bambino al rispetto”, pag.
34). “E’ sempre la stessa mancanza di rispetto indulgente, grossolana, brutale.
E’ soltanto un moccioso, un bambino, in
futuro sarà una persona, non ora. Allora sarà veramente.” (“Il diritto del bambino al rispetto”, pag.
32). “L’irrequieta attesa di quello che verrà fa in modo che non rispettiamo
veramente quello che abbiamo ora.” (“Il
diritto del bambino al rispetto”, pag. 29) E invece dobbiamo valorizzarli
in sé: “Non consegnare alla schiavitù del domani, non mettere fretta. Dobbiamo
rispetto a ogni singolo momento, poiché scomparirà e non si ripeterà mai più” (“Il diritto del bambino al rispetto”, pag.
53).
Fa degli esempi concreti di maltrattamenti, di clamorose
disparità di trattamento quando si sbaglia senza volerlo:
“Quando papà rovescia il tè, la mamma gli dice – non importa. A me
invece sgrida sempre“
(“Il diritto del bambino al rispetto”, pag.
51)
“I bambini non ci
possono criticare. Vogliamo sembrare perfetti” mentre “tutti possono invece
denudare impunemente un bambino e metterlo alla gogna” (“Il diritto del bambino al rispetto”, pag. 44).
E poi le proiezioni, ad esempio: “Non è permesso che il figlio di genitori
ricchi faccia l’artigiano” (“Come amare
il bambino”, pag. 9) “Se l’educatore cerca quegli aspetti del carattere e
quelle qualità che ai suoi occhi sembrano i più positivi e preziosi, se tenta
di formare i bambini secondo un unico modello, a spingerli tutti nella stessa
direzione, verrà presto ingannato: molti
faranno solo finta di rispondere ai suoi auspici” (pag. 42) per compiacere
i caregivers, creeranno un falso sé,
come avrebbe detto Winnicott (emblematica la storia del figlio di Philomena,
cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2015_01_01_archive.html). “Richiedo una Magna Charta Libertatis dei Diritti del
Bambino”, scrive, fra cui “il diritto del bambino ad essere quel che è” (“Come amare il bambino”, pag. 37). Come
dice Alice Miller, alla domanda su quale sia l’amore autentico:
“Amo i miei figli se
riesco a rispettarne i bisogni e i sentimenti autentici e se cerco di
soddisfare al meglio quei bisogni. Non
li amo invece se non li considero come esseri umani aventi i miei stessi
diritti, ma come oggetti da correggere” (“Riprendersi la vita”, pag. 174)
L’avvocato Paolo Pio cita la
Convenzione ONU per i diritti del fanciullo del 1989 ratificata anche da noi e
che parla del diritto a vivere in un clima familiare di felicità.
Continua Korczak:
“Dobbiamo rispetto
alla sua ignoranza. Abbaiamo, combattiamo con i bambini, li rimproveriamo,
sgridiamo, puniamo invece d’informare cordialmente” (pag. 50).
Korkzac poi, con acume
psicologico, parla dei bambini usati come pupazzi: “Ti stringo, perché sono
triste. Dammi un bacio e ti darò.” Egoismo, non tenerezza”, commenta (pag. 46).
Per concludere il nostro discorso sui bambini (“Come amare il bambino”, pag.131):
“Dobbiamo insegnare al bambino non solo ad apprezzare la verità, ma
anche a riconoscere la menzogna, non solo ad amare, ma anche a odiare, non solo
a stimare, ma anche a disprezzare, non solo ad acconsentire, ma anche a indignarsi, non solo a
sottomettersi, ma anche a ribellarsi”
Simone Weil |
La morale che possiamo trarre
oggi dagli spunti che ci vengono da questi film e da questi libri è che abbiamo il dovere morale di educatori di
prendere molto sul serio le emozioni morali del nostro prossimo, in particolare
dei minori, di fare attenzione ai loro sentimenti morali perché, come
scriveva la filosofa ebrea Simone
Weil (1909 - 1943) in un'epistola al poeta Joe Bousquet
"L'attenzione è la forma
più rara e più pura di generosità"
("L'amicizia pura",
1940-1942, a cura di Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito, Castelvecchi, Roma 2013)
Una traduttrice della Weil, Cristina
Campo (1923 – 1977) aggiunse:
"L'attenzione è la forma più pura di
responsabilità poiché ogni errore umano è, in essenza, disattenzione".
LELE JANDON
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