di LELE JANDON
Il mio appello per una Pasqua senza sangue |
Fra poco è Pasqua (sinonimo di
agnello sacrificale preso alla lettera da una tradizione stupida) e mentre la deputata ed attivista Michela Vittoria Brambilla raccoglie firme per un ddl che vieti l'abbattimento, la macellazione e persino l'importazione di cuccioli (www.nelcuore.org) e "Le Monde" ha pubblicato varie inchieste sugli orrori dei macelli, vorrei
tematizzare una questione rimossa dai media
e dalle scuole: le conseguenze del mangiare carne sull’umanità e le nostre
corresponsabilità nel trattamento degli animali ridotti a bestie da macello nei
cosiddetti “allevamenti” intensivi (industrie zootecniche).
Lo faccio recensendo il libro di
Jonathan Safran Foer “Se niente importa”
(sottotitolo: “Perché mangiamo gli
animali?”, del 2009), integrandolo con citazioni da un altro saggio-shock, “Ecocidio” (di otto anni prima) dell’economista ed attivista
(anch’egli americano) Jeremy Rifkin (già autore de “La Civiltà dell’Empatia”, che ho già citato nel mio Blog).
Animato dallo stesso spirito di
profonda ricerca come i personaggi dei due suoi commoventi romanzi, per tre anni
ha svolto personali ricerche sull’industria zootecnica del suo Paese ed ha
scoperto gli orrori e le atrocità di questa potente Lobby che quantomeno non può lasciarci indifferenti.
Ancorché commosso dallo scoprire
che esistono (sia pure come eccezione che conferma l’odiosa regola) fattorie ecosostenibili
(come il “Niman Ranch”, fondata da un ebreo come lui, Bill Niman) che garantiscono
sia una buona vita sia una morte (diciamo così) facile agli animali (benché
impossibile senza torture occasionali), ha mostrato che il dolore è
ineliminabile ed è “diventato vegetariano convinto” (pag. 259). Questi fattori
e fattrici sono “persone straordinarie” che ”dovrebbero essere tra coloro che
il presidente consulta quando sceglie il ministro dell’agricoltura, e le loro
fattorie sono quello che voglio che i nostri eletti s’impegnino a creare e che
la nostra economia sostenga.” (pag. 259).
****
Ebreo newyorkese, Foer è già
autore dei romanzi (anch’essi editi da Guanda) “Ogni cosa è illuminata” (2002, storia del proprio viaggio alla ricerca dello shtetl
ucraino ove vissero i suoi avi e spazzato via dalle carte geografiche dai
nazisti) e “Molto forte, incredibilmente vicino” (2005,
storia di un ragazzino speciale che perde in diretta TV il padre l’Undici
Settembre ed intraprende una ricerca indagando su una misteriosa chiave trovata
nella giacca del papà ucciso), donde sono stati tratti due bei film: uno del
regista (ed attore), anch’egli ebreo americano, Liev Schreiber (quello de “The Manchurian Candidate” del Premio
Oscar Jonathan Demme) ed il secondo coi Premi Oscar Tom Hanks e Sandra Bullock.
Laureato in filosofia, lo scrittore ha composto qui un saggio di ricerca di
profondo valore filosofico, appunto, sull’inedita questione del vero
trattamento che gli USA riservano agli animali: tacchini, mucche, maiali,
pulcini.
L'attivista Michela Vittoria Brambilla |
Non credo sia un caso che tanti
fra i grandi filosofi animal friendly
siano stati ebrei: dagli attivisti Henry Spira, Rachel Hirschfeld e Richard H.
Schwartz all’antropologo Lévi Strauss; dagli scrittori Franz Kafka, Romain Gary
(primo scrittore ecologista con “Le
radici del cielo”) ed Isaac Singer ai filosofi Peter Singer e Jacques
Derrida; dallo psicanalista Erich Fromm sino alle filosofe Roberta Kalechofsky
e Martha Nussbaum. O comunque o sono di famiglia ebraica (come Paolo De
Benedetti) o hanno avuto amici e maestri ebrei (come il reverendo Matthew Fox
che ha inaugurato la mia rassegna “Il Cinema e i Diritti” parlandoci proprio
della compassione verso gli animali) o hanno studiato seriamente la Bibbia
ebraica (come Mario Canciani).
Un dipinto del danese Hans Ole Brasen |
Mentre il cattolicesimo istituzionale
(come denuncia lo stesso Paolo de Benedetti) ha un vuoto e non ha nulla da dire
in proposito (mentre ne ha sempre, per fare un esempio, contro i diritti delle
persone gay e delle donne intorno a cui Gesù non disse contro nulla) e gli
autori cattolici amici degli animali non sono noti al grande pubblico.
Animato dalla grande serietà
etica tipica dell’ebraismo liberal (progressista)
americano, Foer parte da una frase storica di grande ispirazione dell’amorevole
Nonna, cuoca di famiglia: una sopravvissuta alla Shoah che, correndo il rischio
di morir d’inedia, rifiutò un pezzo di carne di maiale da un brav’uomo compassionevole
“se niente importa,
non c’è niente da salvare”.
"Her Little Lamb", dell'artista americano contemporaneo Morgan Weistling. |
Parte altresì dalla sua ricerca
di neopapà che si pone il problema “che cosa do da mangiare al mio figlioletto?”.
Memore anche dei periodi in cui è
stato vegetariano (durante gli studi di filosofia, durante il fidanzamento),
Foer si è posto in maniera approfondita
“l’imbarazzante
problema che gli animali costituiscono per noi”
(come dice citando la psicologa
milanese Emanuela Cenami Spada, pag. 55). E per farlo si è persino introdotto
di notte in un “allevamento” guidato da un’attivista animalista scoprendo le
crudeltà persino sui pulcini. (Ha inviato una cortese lettera alla Tyson Foods,
la più grossa produttrice di carne del mondo, ma non è stato degnato di
risposta).
"Just Kids", dell'americano contemporaneo Morgan Weistling. |
Con questo grandioso libro, Foer
risveglia le nostre intuizioni morali, ricordandoci che da sempre l’uomo che
allevava gli animali voleva loro bene e che oggi i moderni Lager sono i cosiddetti “allevamenti” intensivi. Arrivando ad
immaginare un Thanksgiving Day senza
tacchino: perché no?
Il suo importante saggio
s’inserisce perfettamente nel mio orientamento di fondo (filosofico e
psicologico) intuizionista: più che i ragionamenti morali si rivelano decisive
per le nostre scelte etiche le nostre intuizioni morali, ciò che noi sentiamo. Per
farvi l’esempio di un autore a me noto, anche Tolstòj parla di una intuizione:
“non uccidere” l’innocente fu inscritto nel cuore di ogni uomo ben prima di
esser scolpito su delle tavole sul Sinai”, “i sentimenti indicano la
direzione”, “Perché sono vegetariano”,
pag. 16 e 21, concetto ribadito a pag. 84). Ma lo sentiamo purché abbiamo il
coraggio morale di vederlo. Infatti dice Foer:
“Tutti abbiamo forti
intuizioni su ciò che significa soffrire” (pag. 86)
Mi viene in mente la frase di quel genio di Jeremy Bentham, il grande
filosofo liberale progressista inglese:
“la domanda da porsi non
è se sanno ragionare, né se sanno parlare, ma se possono soffrire”
E quando Foer dice
che
“Nella formazione
delle nostre abitudini più della ragione contano
le storie che raccontiamo a noi stessi e che ci raccontiamo a vicenda”
(pag. 16),
io vi ricordo che è un altro
ebreo americano, lo psicologo Jonathan Gottschall, a definire l’essere umano
uno “Storytelling Animal”: un animale
che ama raccontare ed ascoltare storie (cfr.: http://lelejandon.blogspot.it/2014/08/le-intuizioni-morali-innate-come-i.html).
Dipinto del pittore norvegese Per Krohg (1889 - 1965) |
Come vi ho raccontato al mio
Cineforum sul film “Greyfriars Bobby – Il
Cucciolo di Edimburgo”, il buon Foer non aveva mai pensato di prendere un
cane, ma un sabato s’imbatté in un cucciolotto con la scritta ADOTTAMI:
“io non credo
nell’amore a prima vista o nel destino, ma sentii di amare quel maledetto cane”
(Foer, pag. 29)
(Foer, pag. 29)
Il cane
“come me, teme il
dolore, cerca il piacere, brama non solo il cibo e il gioco, ma la compagnia.”
(Foer, pag. 32).
(Foer, pag. 32).
Ed è proprio l’esperimento
mentale di provare a pensare il cane al posto di un maiale od un tacchino che
stimola la nostra immaginazione morale, estendendo il nostro cerchio di
simpatia.
Volendo ricollegarci a quello
stesso precedente articolo, Foer fa appello al principio innato di protezione,
lo stesso che ci rende sensibili ad attivarci quando troviamo un bambino che
soffre: uno dei princìpi individuati da un altro grande intellettuale
americano, lo psicologo Jonathan Haidt.
LA BIBBIA: FARAI
RIPOSARE L’ANIMALE
GLI ANIMALI che
CURIAMO sono IL NOSTRO PROSSIMO:
I NOSTRI DOVERI DIRETTI
verso gli altri ANIMALI
Anzitutto, quello cosiddetto
intensivo non può più chiamarsi “allevamento”: è ormai un’industria zootecnica
come una
“catena di
(s)montaggio con una serie di “còmpiti alienanti”.
“In un mondo di
questo genere, ci sono ben poche occasioni per onorare la creazione, essere in
sintonia con le altre creature” (Rifkin, “Ecocidio”, Mondadori, Milano 2001, pag.
322).
Dice la moglie di Bill Niman,
l’allevatore ebreo fondatore del Niman Ranch (fattoria dai metodi umani):
"Nel corso della storia, la maggior parte degli
allevatori sentiva l'obbligo pressante di trattare bene gli animali. Oggi il
problema è che alle cure tradizionali si sono sostituiti i metodi industriali:
la familiarità personale che un allevatore tradizionale ha con ogni singolo
animale della sua fattoria è stata abbandonata a favore di grandi sistemi
spersonalizzati” (pag. 222).
Questo senso di familiarità è
espresso anche nel secondo libro di Samuele (12, 1 – 7) ove si parla di un uomo
povero che aveva come unico animale di casa un agnellino che aveva acquistato:
“L’aveva allevata ed
era cresciuta con lui e con i suoi figli; dal suo boccone mangiava e dal suo
bicchiere beveva, dormiva nel suo grembo ed era per lui come una figlia”
E vorrei illustrarvi questo senso
di essere famiglia con i nostri animali domestici con questo quadro a fianco: come
ha ricordato il Premio Oscar Roberto Benigni nella sua conferenza-show, la dicitura completa del
comandamento ebraico è “non farai alcun
lavoro (…) né il tuo bue né il tuo asino né alcuna delle tue bestie” il
giorno di Shabbat cioè Sabato (Decalogo
del Deuteronomio 5, 12 – 14): gli animali domestici nostri collaboratori sono
il nostro prossimo, i nostri vicini per cui vale il comandamento “amerai il
prossimo tuo come te stesso” che l’ebreo Gesù considerava il più importante. E
mentre gli umani non possono fare più di duemila passi quel santo giorno, gli
animali debbono esser lasciati liberi di andarsene a spasso quanto lontano
desiderino! L'ebreo Gesù fa l'esempio di un asino intrappolato in un pozzo per dire che anche nel giorno di Sabato si ha il dovere morale d'intervenire se si tratta di salvare il nostro prossimo, dunque anche gli animali: affermando così che, fra le due, è più importante la legge morale rispetto la legge rituale. Perciò, quell'asino in fondo al pozzo va tirato su, anche se è giorno di riposo.
Altresì la legge del Profeta Mosé vieta (Deuteronomio 22, 10) di arare un campo con un bue ed un asino aggiogati insieme, perché hanno diversa forza e ne soffrirebbero; e si fa lo scrupolo di vietarci di mettere la museruola al bue mentre trebbia perché ha diritto di partecipare al frutto del suo lavoro. E come ricorda il teologo Matthew Fox, secondo un midrash fu proprio in virtù della loro compassione verso gli animali che sia Mosé sia David furono eletti come leader spirituali del loro Popolo. Ci sono, poi, malintesi clamorosi nelle traduzioni dalla Bibbia ebraica: come già diceva nel Seicento il filosofo Locke, radah non vuol dire “dominio”, come è stato tradotto male da chi aveva un pregiudizio anti-animale, bensì “custodia”.
Altresì la legge del Profeta Mosé vieta (Deuteronomio 22, 10) di arare un campo con un bue ed un asino aggiogati insieme, perché hanno diversa forza e ne soffrirebbero; e si fa lo scrupolo di vietarci di mettere la museruola al bue mentre trebbia perché ha diritto di partecipare al frutto del suo lavoro. E come ricorda il teologo Matthew Fox, secondo un midrash fu proprio in virtù della loro compassione verso gli animali che sia Mosé sia David furono eletti come leader spirituali del loro Popolo. Ci sono, poi, malintesi clamorosi nelle traduzioni dalla Bibbia ebraica: come già diceva nel Seicento il filosofo Locke, radah non vuol dire “dominio”, come è stato tradotto male da chi aveva un pregiudizio anti-animale, bensì “custodia”.
Dio creò per primi gli animali
ben prima degli umani, e fu Adamo a nominare i primi animali, e Dio concesse di
cibarsene, coi dovuti limiti, solo dopo il Diluvio universale, castigo per la
rottura dell’ordine (non possiamo leggerlo come un avvertimento che la natura
stessa, se ne rompiamo l’equilibrio, si rivolta, come suggerisce anche il film
del regista ebreo americano Darren Aronofsky “Noah”?). L’ebraismo, come già altre religioni, aveva abolito i
sacrifici umani, e dopo un primo periodo vegetariano, aveva posto dei limiti agli
umani per cibarsi di animali:
“Secondo quanto mi
hanno insegnato alla scuola ebraica e a casa, le leggi alimentari ebraiche
furono concepite come un compromesso: se noi esseri umani dobbiamo proprio
mangiare gli animali, dovremmo farlo in modo umano, rispettando le altre
creature, e con umiltà. Non infliggere agli animali che mangiamo sofferenze non
necessarie, sia nel corso della vita sia durante la macellazione. E’ una
concezione che da bambino mi faceva sentire orgoglioso di essere ebreo, e che
continua a rendermi tale” (pag. 78)
Ed ecco una favola ebraica narrata nel Talmud babilonese (Bavà Mezi’a 85 a):
C’era una volta un
vitello che, condotto al macello, intuendo la sua fine, andò a nasconder la
testolina in grembo a Rabbi Giuda il Santo (II – III sec.), ma il maestro non
si scompose: “Và, ché per questo fine sei stato creato”. Allora il Cielo
decretò che per questa mancanza di compassione gli capitassero sofferenze per
tredici anni sinché un bel giorno una serva stava spazzando, assieme alla
sporcizia, i cuccioli di una donnola (che allora teneva il posto del gatto). E
allora il rabbino, ravveduto, le disse: “Lasciali stare, ché sta scritto nel
Salmo (145, 9):
“buono è il Signore
verso tutti,/verso tutte le Sue opere è la Sua tenerezza”.
L’INDIFFERENZA del VATICANO verso i dolori degli animali
I GESUITI NEMICI STORICI DEI DIRITTI ANCHE DEGLI ANIMALI
Viceversa, il cristianesimo
fondato da Paolo di Tarso (la religione forse più antropocentrica e specista) non
si pone assolutamente il problema: Paolo scrisse ai Greci di Corinto “mangiate
pure tutto quello che trovate dal macellaio”, e Agostino (uno a favore della
schiavitù, ideatore della dottrina antiebraica del peccato originale che
giustificava le ingiustizie sociali, e che ideò la perversa dottrina secondo
cui i bimbi senza battesimo erano destinati al fantomatico "Limbo") colpevolizzava l’umanità per
il presunto peccato originale ma (paradossalmente) ha sradicato dal cuore
cristiano ogni senso di colpa per le sofferenze degli animali, dicendo, in uno
dei suoi sproloqui in una lettera privata, che forse quei “corpi senz’anima”,
sono macchine: tesi ripresa dal cattolico Cartesio (come giustificazione
ideologica alla vivisezione iniziata nel suo secolo), non a caso uno che studiò
dai padri Gesuiti, i nemici numeri uno dei diritti degli animali. Sentite cosa
scriveva nel 1850 il co-fondatore de “La
civiltà cattolica”, la rivista dei Gesuiti, padre Luigi Tapparelli
d’Azeglio:
“se fra gli esseri
irragionevoli e l’uomo passasse una relazione morale, per cui l’uomo avesse
verso di loro dei doveri morali (ciò sarebbe) assurdo. (…) Il padrone non ha
dovere verso il servo.”
Ed ancora nel 1999 quella stessa
rivista reazionaria scriveva:
“Parlare di diritti
degli animali è senza senso”
E solo quattr’anni
dopo i grandi difensori della fede cattolica non avevano mutato opinione:
“Gli animali non
hanno diritti. L’uomo non è un animale”
Papa Pio IX disse No a chi
chiedeva la creazione di una sede romana della società per la protezione degli
animali perché “gli animali non hanno un’anima”.
Come ricorda anche l’economista
ed attivista Jeremy Rifkin nel suo libro “Ecocidio”,
storicamente furono la vanità dell’aristocrazia inglese (che faceva della carne
uno status symbol della loro classe
sociale) e l’invenzione del vagone frigorifero (nel 1879) ad essere decisiva
per unire Ovest ed Est degli Stati Uniti e l’Inghilterra sempre più affamata di carne. (Rifkin cita anche
l’orrore del nuovo sport nato all’epoca: comprando un biglietto, si poteva
sparare liberamente ai bisonti, come mostra quest’illustrazione.)
L’INTELLIGENZA dei
MAIALI
IN MEZZO ALLA MERDA
DELLE PORCILAIE INDUSTRIALI,
CASTRATI
(SENZ’ANESTESIA): AGLI AMERICANI PIACE LA CARNE di CASTRATI
Gli allevamenti intensivi
producono il 95% dei maiali degli USA (Foer pag. 179). L’unica catena di
ristorazione che li alleva in maniera non intensiva è la Chipotle. L’industria
più perversa è la Smithfield (che “da sola uccide ogni anno 31 milioni di
animali”), mentre l’allevatore più umano è Paul Willis che
nella sua fattoria a Thornton, in Iowa, coordina la produzione di carne suina
di altri 500 piccoli allevatori per la Niman Ranch Ed ha coniato il termine
“free range pigs” (maiali allevati in libertà).
Il suo eroe è Wendell Berry, il
poeta e scrittore americano, attivista ambientalista profeta del ritorno ad
un’agricoltura umana e sostenibile. E anche se castra i maialini di un giorno
senz’anestesia e sottopone a lunghi viaggi verso il mattatoio i suoi maiali,
comunque, tutto sommato è una sofferenza breve rispetto alla
“mutua gioia
prolungata che Paul e i suoi maialini condividono quando lui li lascia liberi
di correre a grufolare al pascolo” (pag. 183) mentre nelle porcilaie
industriali sono come i nostri cani rinchiusi in un armadio (pag. 211).
“Le scrofe e
scrofette (giovani femmine non ancora montate) sono alloggiate in gruppi e
gestite in modo da promuovere una gerarchia sociale stabile” (pag. 184). Ma
resta il fatto che “anche gli allevatori più premurosi talvolta non pensano
sino in fondo al benessere dei loro animali” (pag. 213) e “sono costretti a
mandare i loro animali in mattatoi su cui hanno un controllo solo parziale”. Ed
inoltre, quelli del Niman Ranch ritengono necessaria (a causa dei furti di
bestiame, che da noi si chiama “abigeato”) la marchiatura mediante
“cauterizzazione dell’abbozzo corneale con ferri roventi o paste chimiche e la
castrazione” (pag. 240) e il loro bestiame “trascorre gli ultimi mesi in un
recinto da ingrasso” (pag. 240)
“La suinicoltura
industriale è tuttora in espansione in America, e a livello mondiale la
crescita è ancora più aggressiva” (pag. 180).
“Molti maiali
impazziscono per la reclusione e masticano ossessivamente le sbarre della
gabbia, schiacciano di continuo i flaconi dell’acqua o bevono urina” (pag.
201). “Altri danno prova di comportamenti luttuosi che gli etologi descrivono
come “impotenza appresa”. Molti maialini nascono deformi” (palato fesso,
ermafroditismo, capezzoli invertiti, atresia anale” cioè senza l'ano, “zampe
divaricate, tremori ed ernie”) corrette chirurgicamente quando sono castrati
(nei primi dieci giorni senz’anestesia perché “i consumatori americano
preferiscono la carne di animali castrati” (pag. 202). E sono “così stressati
che persino un trattore che passi troppo vicino ai capannoni in cui sono
rinchiusi può uccidere gli animali” (pag. 172)
Svezzati a 12-15
giorni, ancora incapaci poverini di digerire il cibo solido (per cui gli
somministrano farmaci anti-diarrea), sono infilati in spesse gabbie metalliche
impilate una sopra l’altra, e feci ed urina cascano sui maiali sottostanti.
Poi, reclusi nei recinti angusti e sovraffollati
perché bruciano meno calorie ed ingrassano con meno mangime: conviene. I maiali
che non crescono abbastanza in fretta, sono “presi per le zampe posteriori,
fatti dondolare e sbattuti per la testa sul pavimento di cemento” (pag. 203).
Naturalmente, molti di loro sono malaticci, e “i veterinari non lavorano più
per la salute ottimale, ma per la redditività ottimale; i farmaci non servono
per curare le malattie, ma per supplire a sistemi immunitari distrutti”.
Foer invita a partire dalle
rassomiglianze con i nostri amici a quattro zampe e con noi stessi animali
umani:
“Gli altri animali sono fatti di carne,
sangue e ossa, proprio come noi. Possiedono i nostri stessi cinque sensi. (…)
come gli esseri umani, provano piacere e dolore, felicità e tristezza. Chiamare “istinto” l’intero complesso delle
loro emozioni e dei loro comportamenti è stupido” (pag. 228)
I maiali sono “altrettanto
intelligenti” dei cani,
“sono capaci di
riportare oggetti, correre e giocare, fare i dispetti e ricambiare affetto”
(pag. 33)
e come sapevano gli allevatori di un tempo,
“imparano ad aprire i saliscendi delle recinzioni” (pag. 73)
“I maiali accorrono
se qualcuno li chiama, giocano con giocattoli” (pag. 74)
Wendell Berry |
E se io vedo il mio cane
tremante, lo porto subito dal veterinario, dice Foer: perché il maiale che
trema forse per la paura della macellazione non ci fa compassione? Il fatto è
che noi lo troviamo già in pezzetti al super o in macelleria: come una cosa. Eppure
i maiali sono in mezzo alla loro stessa merda:
“così tanta che cola
nei fiumi, nei laghi e nei mari, uccidendo la fauna selvatica ed inquinando
l’aria, l’acqua e la terra” (pag. 189): “singoli allevamenti possono produrre
più rifiuti organici della popolazione di alcune città”, dalla “forza
inquinante 160 volte superiore ai liquami urbani non trattati” (come i gas
velenosi: ammoniaca e acido solfidrico che evaporano): “quando quei pozzi neri
grandi come campi da calcio sono sul punto di traboccare, la Smithfiled, come
altre industrie, irrora i liquami sui campi. O si limita a spruzzarli dritti in
aria, un geyser di merda che spande un aerosol di feci creando vortici gassosi
capaci di provocare gravi danni neurologici. Le comunità che vivono nei pressi
lamentano epistassi persistenti, otalgie, diarree croniche” e focolai ai polmoni (pag. 191) e “c’è troppa merda perché le colture possano assorbirla”:
la merda “è diventata un problema quando noi americani abbiamo deciso che
vogliamo mangiare più carne di qualunque altra società nella storia e pagarla
storicamente poco” (pag. 192)
UNA TERRIBILE STORIA VERA
UNA TERRIBILE STORIA VERA
“Nel Michigan un operaio mentre effettuava una
riparazione a un lagone, svenne per il tanfo e ci cadde dentro. Suo nipote
di 15 anni s’immerse per salvarlo ma svenne; il cugino dell’operaio andò dentro
per salvare il ragazzo ma svenne, il fratello più vecchio dell’operaio
s’immerse per salvarli ma svenne e infine entrò anche il padre dell’operaio.
Morirono tutti nella merda di maiale” (pag. 193)
“Eppure quasi non
esistono impianti di trattamento dei rifiuti organici per gli animali
d’allevamento”. “Ogni maiale produce dalle 2 alle 4 volte la merda di una
persona” (pag. 190)
Ricordo che per l’orribile
filosofia stoica tutti gli animali sarebbero (proprio come per il cattolicesimo
istituzionale) in funzione dell’uomo, e “quanto al maiale, non fu generato che
per essere ucciso”.
Anche
nell’allevamento-modello, “Non è raro che i maiali in attesa della macellazione
abbiano un attacco cardiaco o che smettano di deambulare. Troppo stress: il
trasporto, il cambio d’ambiente, le manipolazioni, le strida oltre la porta,
l’odore del sangue, le braccia dell’addetto allo stordimento che si muovono”
(pagg. 174 – 175).
Le TACCHINE e le GALLINE
FRANK REESE l’ultimo
avicoltore: I SUOI TACCHINI VOLANO
"Chicken Coop", dell'artista americano contemporaneo Morgan Weistling. |
“Gli uccelli hanno capacità
cognitive equivalenti a quelle dei mammiferi” (pag. 75). Eppure le tacchine e
le galline le tengono al buio 24 h su 24 per 2-3 settimane con dieta da fame,
poi accendono le luci 16-20 ore al giorno per simulare la primavera, con dieta
iper-proteica. Dopo un anno di iper-produttività, le uccidono perché non
produrrebbero altrettante uova (pag. 69).
Foer ha incontrato Frank Reese,
“l’ultimo avicoltore” dei bei vecchi tempi: fa un elogio dei tacchini, del loro “portamento solenne”, della loro
“maestà” (pag. 121): “ho sempre amato la loro personalità. Sono così curiosi,
così giocherelloni, così simpatici e pieni di vita” (anche il filosofo David
Hume diceva che i tacchini hanno un orgoglio). Anche la pittrice Séraphine
amava il piumaggio dei tacchini e lo metteva come piume dei suoi alberi:
l’Albero della Vita, l’Albero del Paradiso, come ho raccontato al mio Cineforum
della rassegna “I Nostri Angeli”
(cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2015/12/i-magici-mix-misteriosi-della-pittrice.html).
Continua Reese: “Conosco il loro
vocabolario”, quando bisticciano, sono terrorizzati od eccitati da qualcosa di
nuovo. I suoi tacchini sono liberi di volare anche in cima al tetto o
all’albero. “Una volta in America erano milioni i tacchini allevati così (…)
ora sono l’unico” (pag. 122).
Quelli delle industrie, non sono
liberi di avere rapporti sessuali, non sanno camminare normalmente, sono pieni
d’antibiotici ed ormoni della crescita:
“I bambini di oggi
sono la prima generazione che cresce con questa roba, e noi li usiamo come
cavie. Non è strano quanto s’arrabbi la gente per qualche giocatore di baseball
che prende gli ormoni della crescita, quando facciamo queste cose con gli
animali che mangiamo?” (pag. 123)
Lui non manipola la
luce, non li affama per fargli avere un ciclo innaturale. “Li faccio
trasportare di notte, quando sono più calmi” e non in camion stracarichi. Li fa
stare in piedi, “mai appesi a testa in giù” (pag. 125)
Il Premio Nobel per la
letteratura Albert Camus (1913 – ’60) ricorda nel romanzo autobiografico “Il primo uomo” (Bompiani, Milano 2001,
pagg. 193-4) l’esperienza-shock di
quando, da bambino, la nonna gli ordinasse di portargli una gallina e gli facesse
vedere l’uccisione:
“Jacques guardava
inorridito (…) come se quel sangue fosse il suo e se ne sentisse svuotato” e
lei “la sgozzava adagio”:
da uomo, diventò attivista contro
la ghigliottina, come già lo era stato un altro scrittore francese, Victor Hugo
(1802 – ’85).
Dipinto del pittore danese Peder
Mørk Mønsted (1859 – 1941)
|
Per parte mia, aggiungo che da noi in Europa ci sono iscritti sulle uova i codici per riconoscerne il tipo: lo zero indica un uovo generato da una gallina allevata con metodo biologico (cioè senza sostanze chimiche che sono invece abusate negli allevamenti intensivi); il numero 1 che le galline sono state allevate all'aperto; il 2 a terra; ed il 3 in gabbia. Il primo tipo d'uovo, richiedendo naturalmente più personale, è più costoso.
I POLLI INDUSTRIALI:
“come BIMBI da 150 KG”
“come BIMBI da 150 KG”
“Dagli anni
Cinquanta, non ci fu più un solo tipo di pollame, ma due: uno per le uova, l’altro
per la carne” (pag. 117): “immagina un
bambino che a dieci anni arrivi a pesare 150 KG mangiando solo barrette di
cereali ed integratori vitaminici” (pag. 118)
"Olivia's Coop", del pittore americano contemporaneo Morgan Weistling. |
“Volatili che non
sono in grado di volare, maiali che non sopravviverebbero all’aperto, tacchini
incapaci di riprodursi naturalmente- hanno sostituito le figure familiari che
un tempo affollavano l’aia” (pag. 119) sono la conseguenza della modificazione genetica dei polli.
****
La PESCA è GUERRA: ALLEVAMENTO INTENSIVO sottomarino
I CAVALLUCCI “DANNO COLLATERALE” nella CATTURA dei TONNI
LO STRASCICO è come IL DISBOSCAMENTO
“Per nessun altro
animale abbiamo rivisto così in fretta e radicalmente le nostre conoscenze”:
“stringono relazioni monogame, cacciano in cooperazione con altre specie, usano
supporti, si riconoscono a vicenda come individui, prendono decisioni
individuali, tengono in conto il prestigio sociale” (pag. 74).
Eppure, la pesca, anzi la
piscicoltura, “è arrivata a rassomigliare a una guerra di sterminio” (pag. 42),
una “guerra squilibrata” (pag. 46).
“Alla pesca si applicano ormai
sistematicamente e alla lettera le tecnologie militari” (pag. 43 – 44).
“Nessun pesce ottiene una buona
morte, neppure uno” con le tre tecniche:
-
coi palangari
multi-amo, come linee telefoniche sino a 120 KM, dalle cui linee principali
si dipartono appunto ami, sospese alle boe a cui sono attaccati GPS, con stragi
di altre specie collaterali (fra cui delfini, tartarughe, albatros);
TONNO. "Cratere del venditore di tonno", Museo Mandralisca di Cefalù. |
-
l’odiosa
pesca a strascico, che draga
sott’acqua sino all’estremità di una rete ad imbuto non solo gli ambìti
gamberetti bensì anch’essa una serie di specie collaterali (che, compresse fra
di loro, squarciate sui coralli, sbattute sulle rocce e poi issare fuor d’acqua
con decompressione dolorosa che può provocare l’esplosione degli occhi o far
uscire gli organi interni dalla bocca, muoiono e sono ributtate in mare morte):
è il corrispondente marino del disboscamento della foresta pluviale.
-
Con rete a circuizione per il tonno, srotolando
un muro di rete attorno al banco di pesci chiudendo il fondo della rete, come
tirando la stringa di un sacco: i pesci intrappolati, se non sono lentamente
fatti a pezzi, soffocano sul peschereccio o gli si taglia le branchie quando
sono coscienti oppure sono gettati nel ghiaccio semiliquido (come quelli degli
“allevamenti” intensivi)
“Molti dei pesci che
mangiamo provengono dall’acquacoltura” che è “sostanzialmente agricoltura
industriale sottomarina”, “allevamento intensivo in ambiente ristretto” (pag.
205) che fa soffrire i pesci:
“acqua così sporca”
di pidocchi (che “provocano lesioni che
arrivano a scarnificare la testa sino all’osso”) “da rendere difficoltosa la
respirazione; affollamento così intenso che gli animali incominciano a
cannibalizzarsi a vicenda; incapacità di formare una gerarchia stabile, da cui
s’innescano ulteriori cannibalismi” (pag. 205)
I sopravvissuti in
questo Lager “rimarranno a digiuno
per 7-10 giorni per diminuire le deiezioni durante il trasporto, e saranno
uccisi col taglio delle branchie, per poi essere gettati in una vasca d’acqua
ove morranno dissanguati”, “spesso coscienti” e mentre “si contorcono dal
dolore” (pag. 206)
Foer prende in esame il senso di
vergogna di un altro scrittore come lui ebreo, il praghese Kafka (1883 – 1924),
disagio raccontato nei “Diari” e
nell’aneddoto riferito da Max Brod (1884 – 1968), suo intimo amico e
concittadino, anch’egli ebreo, il quale testimonia della semplicità
dell’intuizione di Kafka di non nutrirsi più dei pesci dopo una sua visita
all’acquario di Berlino:
“Riconobbe quei pesci
come membri della sua famiglia invisibile; non come suoi pari, certo, ma come
esseri viventi di cui gl’importava” (pag. 214).
Anche Foer vi si è recato, ed è
rimasto affascinato in maniera particolare dai cavallucci marini:
“Il cavalluccio
maschio cresce i piccoli in una tasca incubatrice sino a sei settimane. I
maschi rimangono propriamente “incinti”, non si limitano a portare le uova nel
marsupio, ma le fecondano e le nutrono durante la gestazione con secrezioni
fluide. L’immagine di questi maschi che partoriscono è davvero stupefacente: un
liquido torbido erompe dalla tasca incubatrice e, come per magia, da quella
nube emergono cavallucci marini minuscoli ma completamente formati” (pag. 48)
Ebbene, “i cavallucci marini sono
una delle oltre cento specie di animali marini uccisi come “prede accessorie”
nella moderna industria del tonno” e “la pesca a strascico dei gamberetti
devasta la popolazione dei cavallucci marini” (pag. 49).
E per pescare i tonni, sono
uccise come c.d. “prede accessorie” 145 specie ittiche (pag. 58)!
E in Italia? Ho letto di recente
che Animal Equality denuncia di aver visto pesche con tonni che si dimenano
sofferenti mentre sono appesi in aria e muoiono lentamente soffocati o
accoltellati.
OCCHIO NON VEDE, CUORE NON DUOLE: I CRIMINI INVISIBILI
Contro gli ANIMALI ma anche contro i BAMBINI AFFAMATI
L’ANIMALE CI GUARDA E RICHIAMA LE NOSTRE INTUIZIONI MORALI
Ma “Occhio non vede, cuore non duole”, recita un saggio
proverbio popolare: vero.
Lo disse anche il filosofo ebreo
Lévinas (1906 – ’95), sopravvissuto ad un Lager
nazista, e lo scrive anche Frans De Waal nel suo libro “L’Età dell’Empatia. Lezioni dalla natura per una società più solidale”:
“L’empatia ha bisogno
di una faccia”
“Mangiare gli animali
ha un che d’invisibile. Pensare ai cani, rispetto agli animali che mangiamo, è
un modo per guardare di sbieco e rendere visibile l’invisibile” (Foer, pag. 37)
Foer cita il filosofo ebreo francese
Derrida (“uno dei pochissimi filosofi contemporanei ad affrontare questa
domanda scomoda” sulle “proporzioni senza precedenti dell’assoggettamento
dell’animale”):
“Gli uomini fanno tutto ciò che possono per nascondere o per nascondersi questa crudeltà per
organizzare su scala mondiale l’oblio o il disconoscimento di tale violenza”
(pag. 119)
Così come, dice Rifkin, la TV non
ci mostra i volti ed i corpi dei bambini che soffrono i morsi della fame
provocata da questo sistema: bimbi deprivati dello sviluppo del loro cervello,
che quindi cresce più piccolo, e dunque delle proprie potenziali capacità
mentali (alimentando, dico io, anche il razzismo), con malattie come la
xeroftalmia (disseccamento del bulbo oculare che reca cecità dovuta ad assenza
di vitamina A), vulnerabili a malattie opportunistiche e parassitiche,
“così cronicamente
deboli da rimanere letargici e apatici per tutta la vita” (“Ecocidio”, pag.
206).
Ancora Foer:
“L’industria zootecnica”
che esiste da sessant’anni “esercita la propria influenza politica sapendo che
il proprio modello di business dipende dal fatto che i consumatori non hanno la
possibilità di vedere” (pag. 98)
“Possiamo riconoscere parti di noi nei pesci – la spina dorsale, i
nocicettori (recettori del dolore), le endorfine (che rilevano il dolore),
tutte le reazioni familiari al dolore-, ma non diamo alcuna importanza a queste
rassomiglianze animali, e quindi neghiamo parti importanti della nostra
umanità. Quello che dimentichiamo degli animali cominciamo a dimenticarlo di
noi stessi.” (pag. 46)
“In silenzio
l’animale incrocia il nostro sguardo. L’animale ci guarda e, che distogliamo
gli occhi o meno, siamo esposti. Che cambiamo la nostra vita o che non facciamo
nulla, abbiamo risposto. Non fare niente è fare qualcosa.” (pag. 47)
Ribadisce questo concetto d’integrità:
“Non reagire è una
reazione: siamo altrettanto responsabili di ciò che non facciamo” (pag. 242)
E lo stesso dice
Rifkin: “Ciascuno di noi è, in qualche misura, responsabile della perdita della
foresta pluviale primordiale” (pag. 226)
“La segretezza che ha
reso possibile l’allevamento industriale si sta sgretolando” e “noi non
possiamo addurre come scusa l’ignoranza, ma solo l’indifferenza” (Foer, pag.
270).
Come scrive Wendell Berry nel libro “L’idea di un’economia locale”:
“Ciò che non è abbastanza chiaro, forse a nessuno, è la portata della nostra
complicità, come individui e soprattutto come singoli consumatori” (pag. 187,
Foer)
Come gli dice un testimone,
“l’allevamento intensivo è un argomento da moderati, qualcosa su cui quasi
tutte le persone ragionevoli si troverebbero d’accordo, se avessero accesso
alla verità” (pag. 101)
Per Rifkin è “una delle più
inique modalità di produzione e distribuzione del cibo che la storia abbia mai
conosciuto” (pag. 319) e chiama questo un “male istituzionale”, un “male
occulto”, “che non può essere avvertito, data la sua natura impersonale” (pagg.
320 – 321). “L’animale diventa un numero” (pag. 216) ed
“alleviamo creature
incapaci di sopravvivere in qualunque luogo che non sia l’ambiente più
artificiale” (pag. 174)
I PULCINI: TESTE
STRAPPATE A MANI NUDE
Integriamo queste informazioni
che ci fornisce Foer con le ultime notizie dall’Europa: recentemente, Animal
Equality ha scoperto in Spagna “allevamenti” con pulcini ammalati gettati
ancora vivi e coscienti nei sacchi del pattume, o decapitati staccando loro la
testolina a mani nude, o soffocati dentro sacchi di plastica da un operaio che
pare occuparsi di spazzatura.
“Gran parte dei
pulcini maschi di ovaiola vengono risucchiati da una serie di condutture per
finire su una piastra elettrificata”, altri ”vengono gettati in grossi
contenitori di plastica”, “i più deboli vengono calpestati e spinti sul fondo,
dove soffocano lentamente”, altri ancora “finiscono triturati vivi” (Foer, pagg.
56 – 57).
LE MUCCHE
“Se i primi rancher americani li tenevano al pascolo
per quattro o cinque anni, oggi li macellano a dodici o quattordici mesi” (pag.
243),
“Li raccolgono sui
camion o sui treni. Il viaggio può durare quarantott’ore, durante le quali sono
tenuti senz’acqua né cibo (…) spesso devono subire caldo o freddo estremi”
(pag. 244)
come le persone ebree nei Lager nazisti.
Pensiamoci bene: dopo ché a causa
di gente come Agostino, ci siamo dimenticati di essere noi stessi animali
(peraltro creati lo stesso giorno, il sesto, dice la Genesi), e ci siamo messi
a maltrattare e sfruttare gli animali, ed abbiamo altresì dimenticato la nostra
fratellanza con gli ebrei e l’ebraicità di Gesù, abbiamo animalizzato gli ebrei
stessi: li abbiamo trattati come neanche gli animali meritano di essere
trattati.
Gl’italiani, poi, come documenta S. Levis Sullam nel libro “I Carnefici italiani”, hanno consegnato moltissimi concittadini ebrei con particolare odio ed invidia e delazioni attive, al contrario per esempio dei Danesi, che ne hanno salvati in massa. Come per l’antisemitismo cattolico, anche la mancanza di compassione per certi animali ridotti da macello deriva dalla mancanza di umanità (umanesimo) della religione cattolica che nei suoi documenti ufficiali non solo considera un peccatuccio veniale la “gola” ma non dice nulla sulla maggioranza degli esseri viventi: gli animali.
Nemmeno quelli d’affezione! Non c’è traccia degli animali nell’ultima enciclica di Francesco e il Papa emerito Ratzinger ha sentito il dovere (proprio lui che aveva un gatto, cosa che poteva farci immaginare un po’ di umanità in lui), d’intervenire per dire che non c’è risurrezione per cani e gatti (come invece sostiene il suo connazionale, lui sì un grande teologo creativo, Eugen Drewermann). Ed è un clamoroso errore dire, come fa Paolo de Bedenetti, che, per via degl’interessi economici, “i tempi non sono ancora maturi” (“In paradiso ad attenderci”, pag. 89): come diceva il reverendo Martin Luther King Jr (il pastore-attivista protestante la cui moglie Coretta Scott King (1927 – 2006) fu anche un’attivista per i diritti degli animali e vegetariana,
Gl’italiani, poi, come documenta S. Levis Sullam nel libro “I Carnefici italiani”, hanno consegnato moltissimi concittadini ebrei con particolare odio ed invidia e delazioni attive, al contrario per esempio dei Danesi, che ne hanno salvati in massa. Come per l’antisemitismo cattolico, anche la mancanza di compassione per certi animali ridotti da macello deriva dalla mancanza di umanità (umanesimo) della religione cattolica che nei suoi documenti ufficiali non solo considera un peccatuccio veniale la “gola” ma non dice nulla sulla maggioranza degli esseri viventi: gli animali.
Nemmeno quelli d’affezione! Non c’è traccia degli animali nell’ultima enciclica di Francesco e il Papa emerito Ratzinger ha sentito il dovere (proprio lui che aveva un gatto, cosa che poteva farci immaginare un po’ di umanità in lui), d’intervenire per dire che non c’è risurrezione per cani e gatti (come invece sostiene il suo connazionale, lui sì un grande teologo creativo, Eugen Drewermann). Ed è un clamoroso errore dire, come fa Paolo de Bedenetti, che, per via degl’interessi economici, “i tempi non sono ancora maturi” (“In paradiso ad attenderci”, pag. 89): come diceva il reverendo Martin Luther King Jr (il pastore-attivista protestante la cui moglie Coretta Scott King (1927 – 2006) fu anche un’attivista per i diritti degli animali e vegetariana,
“i tempi sono sempre
maturi per fare ciò che è giusto”
E benché ci siano stati teologi
vegetariani come Mario Canciani, biblista scomparso nel 2007 (ed
un’associazione di cattolici vegetariani) non sono stati capaci di convincere a
modificare la dottrina ufficiale, anche a causa del narcisismo teologico di chi
non vuole ammettere l’errore.
In un quarto degl’impianti di
macellazione, le pistole che sparano il chiodo d’acciaio nel cranio non funzionano
a dovere e le povere mucche restano semicoscienti e doloranti col cranio forato
(pag. 247).
Foer cita l’attivista
Temple Grandin, psicologa e zoologa americana la quale ha rivoluzionato gli
allevamenti anche grazie alla propria storia: autistica, la sua condizione la fa
pensare in termini d’immagini visive (come in un videoclip) e poiché sin da
bambina le sue migliori amiche erano le mucche, fu ispirata per creare la “macchina
dell’abbraccio” (dall’effetto calmante sugli autistici) anche per i bovini, gli
animali cui si sente più vicina e con cui ha trascorso la sua infanzia (il
Premio Golden Globe Clare Danes l’ha interpretata in un film-Tv). Ha disegnato
allevamenti ove le fonti di disturbo per le mucche (ipersensibili a suoni ed
ombre di umani) sono ridotti al minimo. Ebbene la Grandin dice che persone
normali possono diventare sadiche a forza di fare un lavoro disumanizzante come
macellare in continuazione (pag. 248).
Anche Mario, che pensa di
allevare e macellare in modo umano, racconta che
“mentre si preparava
ad ucciderla, la mucca” che era stata la mascotte della sua fattoria “gli leccò
la faccia. Ripetutamente. Forse era abituata a essere un animale da compagnia.
Forse lo stava implorando” (pag. 176)
L’unico allevatore incontrato da
Foer che non fa alcunché di crudele è Frank Reese: non castra né marchia.
Foer invita all’integrità e coerenza:
"Prova a condurre questo
esperimento mentale: tu castreresti gli animali senz'anestesia? Li
marchieresti? Li sgozzeresti? Prova a guardare queste operazioni" nel
video di 10 minuti del PETA (con la voce di Alec Baldwin dal titolo “Meet the Meat”), "Si appalta la
crudeltà verso gli animali e si appalta la loro uccisione, e per che cosa? Un
prodotto di cui nessuno ha bisogno: la carne" (pag. 229)
“paragonò i pregiudizii di specie alle
“teorie razziste” e “sosteneva che i diritti degli animali fossero la forma più
pura di difesa della giustizia sociale perché gli animali sono i più
vulnerabili di tutti gli oppressi” (pag. 229):
in pratica, anticipò
quello che il suo omonimo filosofo avrebbe riassunto nel suo neologismo
“specismo” (speciesism).
FARE FESTA del RINGRAZIAMENTO
MANTENENDONE LO
SPIRITO MA SENZA SACRIFICI ANIMALI
Foer sfida la
Tradizione americana di avere come must
sulla tavola alla Festa del Ringraziamento il tacchino: si può mantenere
perfettamente lo spirito del fare festa insieme senza questo sacrificio
animale.
“Quasi tutti i 45
milioni di tacchini non sono stati sani, non sono stati felici e non sono stati
cari a nessuno. (…) Di natura insettivori, oggi sono alimentati con una dieta
perlopiù innaturale, che può includere “carne, segatura, scarti di processo
della conciatura (…) e ricevono più antibiotici di qualunque altro animale
d’allevamento. Il che favorisce l’antibiotico-resistenza. Il che rende questi
farmaci meno efficaci sugli uomini. Per via assolutamente diretta, i tacchini
sulla nostra tavola rendono più difficile curare le malattie dell’uomo” (pagg.
284 – 285)
Peraltro, i primi Padri Pellegrini di certo non mangiarono tacchino:
“Non avevano mais, mele, patate e mirtilli rossi, e le uniche due
testimonianze del leggendario Ringraziamento di Plymouth parlano di cervo e
uccelli selvatici (pag. 268).
Analogamente, visto che fra pochi
giorni i cristiani festeggiano la Pasqua, e una stupida tradizione che ancora
taluni seguono dice che non può mancare l’agnello sulle tavole, vorrei lanciare
un appello a prendere coscienza della provenienza dei cibi che si comprano.
Gli allevatori programmano i
parti ovini sulla base del calendario della chiesa cristiana, che sugli animali
non ha nulla da dire. La Nuova Zelanda li ha appena riconosciuti animali
senzienti, capaci di sentire. In questa foto, pubblicata da David Cameron, il
Premier conservatore britannico, di fede cristiana anglicana (che fra l’altro,
riconoscendo l’estensione del matrimonio anche in chiesa ai gay e alle lesbiche
ha già mostrato come si possa benissimo rinnovare ed integrare la tradizione
con le nuove conoscenze e umanità), pare lanciare proprio questo messaggio: si
può mantenere il senso delle festa senza sacrificare e far soffrire alcun
animale.
GLI UCCELLI e i VIRUS
LA ZUPPA di FECI “FA PESO” nella LOGICA INDUSTRIALE SENZA SCRUPOLI
Foer ci ricorda anche che tutte
le pandemie della storia sono state originate dagli animali, come la spagnola
del 1918 (così detta perché fu la stampa di quel Paese, che non era in guerra,
a riferire di questa epidemia che uccise 24 milioni di persone in 24
settimane), che fu una specie d’influenza aviaria oppure suina (i maiali sono
particolarmente vulnerabili) o quella di Hong Kong del 1968. Il virologo Robert
Webster ha dimostrato che tutte le influenze umane hanno origini aviarie (da
uccelli migratori come oche, anatre, sterne e gabbiani che non necessariamente
se ne ammalano ma ne sono portatori). Si teme per il futuro uno scambio di geni
quando un maiale è infettato da due virus diversi al contempo con una capacità
di contagio del raffreddore. In media, abbiamo una pandemia ogni 27 anni e
mezzo, e dall’ultima son già passati 46 anni...
“Gli esseri umani
stanno creando le condizioni perché si produca un agente iperpatogeno” in
quanto “ibrido” (pag. 151)
Gli uccelli sono tenuti strettissimi
in stanze luride ed incrostate di escrementi. E il National Chicken Council dà
come linea guida 7,5 dm quadrati per pollo. I polli presentano una serie di
disturbi e deformità (hanno più muscolo che ossa, che si spezzano in mano agli
operai che li manipolano). Lasciano le luci accese 24 ore al giorno nella prima
settimana di vita dei pulcini per indurli a mangiare di più, poi il minimo di
sonno perché sopravvivano: 4 ore. I boiler sono macellati dopo 39/42 giorni di
vita, “così non hanno il tempo di stabilire gerarchie sociali per cui lottare”
(pag. 143). Il 95% dei polli ha l’Escherichia Coli (per contaminazione dalle
feci) e fra il 39 ed il 75% di quelli che arrivano sui banchi ne sono ancora
infetti. L’83% della carne di pollo (anche biologico ed allevato
senz’antibiotici) è contaminata da Campylobacter o Salmonella al momento
dell’acquisto. Per cui sono lavati con varechina, ma li farciranno di brodi e
sali “per dare loro quello che ormai pensiamo sia il gusto” (pag. 144). Secondo
il N.C.C. citato sopra, ogni anno sono 180 milioni i polli macellati in
maniera impropria: se non funziona il taglio automatizzato della gola (dopo
essere passati per una vasca d’acqua elettrificata che li paralizza senza
renderli insensibili, tantoché gli occhi si muovono ancora e a volte aprono il
becco “come se cercassero di gridare”), sicché serve il “macellaio di scorta”
che faccia da tagliagole prima di finire (a volte ancora vivi e coscienti)
nella vasca di scottatura.
“Mentre moltissimi
impianti di lavorazione europei e canadesi impiegano sistemi di raffreddamento
ad aria, il 99% dei produttori americani continua ad usare il raffreddamento ad
acqua” perché fa assorbire la c.d. “zuppa di feci”. Basterebbe eliminare questa
contaminazione tendendoli in sacchetti di plastica sigillati, ma l’avida
industria della carne americana perderebbe l’affare di “fare peso”:
“trasformare acqua sporca in diecine di milioni di dollari di valore aggiunto
sul peso dei polli” (pag. 148).
“Nessuno gode
dell’aria aperta o della luce e del calore del sole; nessuno è in grado di
esprimere tutti i comportamenti specie-specifici come nidificare, stare
appollaiato, esplorare l’ambiente e formare gruppi sociali stabili” (pag. 149):
“un singolo maiale non deve mai essere introdotto in un gruppo sociale già
costituito” perché “i maiali hanno bisogno della compagnia di altri maiali che
conoscono per comportarsi normalmente”, “proprio come la maggior parte dei
genitori cerca di evitare di togliere da scuola il figlio a metà dell’anno e
inserirlo in un’altra scuola sconosciuta” (pag. 185)
“Paul non mozza la
coda e non tronca i denti ai maiali, come si fa abitualmente negli allevamenti
industriali per evitare l’eccesso di morsi”: “se la gerarchia sociale è
stabile, i maiali risolvono i loro conflitti da soli” (pag. 185)
“L’80% delle scrofe
gravide in America sono confinate in gabbie individuali d’acciaio e cemento
così piccole che non possono neppure girarsi” (pag. 185)
Inoltre, è
ecosostenibile: “poiché si alleva un numero di animali proporzionato alla
quantità di terra, il letame può tornare al suolo come concime per fertilizzare
le coltivazioni che diventeranno cibo per maiali” (pag. 186)
“La KFC è l’azienda che ha aumentato il totale di sofferenza nel mondo più di qualunque altra della storia. Acquista quasi un miliardo di polli l’anno: se li mettessimo fitti fitti uno accanto all’altro, coprirebbero Manhattan da fiume e fiume” (pag. 76) “I polli della KFC li uccidono a 39 giorni. Sono bébé” (pag. 125)
“Ogni anno si
allevano grossomodo in queste condizioni sei miliardi di polli nell’Unione
Europea, oltre 9 miliardi in America e più di 7 in Cina” (pag. 149)
E l’Italia, vi chiederete? Ho letto di recente che secondo la FAO l’80% dei 500 milioni di polli “allevati” ogni anno in Italia sono in
allevamenti intensivi.
AMBIENTE MALSANO
PROVOCA ORGANISMI PATOGENI:
LE INDUSTRIE IMBOTTISCONO
di FARMACI ANIMALI NON ANCORA MALATI
Poiché
“sovraffollamento, stress, contaminazione da feci ed illuminazione artificiale”
favoriscono “la proliferazione e mutazione di microrganismi patogeni” (pag.
155),
“Negli allevamenti
intensivi gli animali ricevono mangime addizionato con farmaci a ogni pasto”:
“antibiotici prima che si ammalino” (pag. 153): “l’industria zootecnica
contribuisce” così “all’aumento degli agenti patogeni resistenti agli
antimicrobici” (pag. 152), come ha detto la National Academy of Sciences.
“L’industria
zootecnica ha più potere rispetto ai professionisti della salute pubblica”:
“siamo noi a darglielo”: “mangiando” (pag. 154)
Le industrie indirizzano il marketing direttamente sui bambini che
fanno pressioni sui genitori per comprare le carni (si pensi alle pubblicità
delle crocchette in Italia). La professoressa Marion Nestle nota che ci sono
più casi di osteoporosi proprio nei paesi che consumano più latte e formaggi. E
ne consumiamo anche perché ci dicono che fanno bene. Gli USA ottengono le
informazioni nutrizionali dallo stesso ministero che deve sostenere l’industria
degli allevamenti intensivi, e dunque c’è un conflitto d’interessi. Non
avvertono apertamente che bisogna mangiare meno carne. “Non sarebbe più etico
se fosse il National Institute of Health -agenzia governativa senz’alcun
interesse- ad avere questa responsabilità?” (quella di fornire i dati nutrizionali).
Foer ha visitato anche il
Paradise Locker Meats nel Missouri, rinomato per la sensibilità per il
benessere degli animali: qui, “a differenza dei giganteschi mattatoi
industriali, ove la “linea di smontaggio” lavora a ciclo continuo, i maiali
vengono macellati uno per volta. “I maiali vengono convogliati dai recinti sul
retro verso un camminamento con le pareti di gomma che termina nella sala di
macellazione. Non appena entra, una paratia gli si chiude alle spalle, così
quelli in attesa non vedono che cosa succede”, e tenendolo fermo è
sottoposto ad elettronarcosi. Ma solo nell’80% dei casi li stendono al primo
colpo! Se non funziona, hanno la pistola a proiettile captivo di riserva da
puntare sul cranio.
Ma è interessante notare che la
scena è nascosta alla vista di tutti (compreso l’ispettore) fuorché
dell’addetto alla operazione di stordimento: per non costringerli a ricordare
che cosa fanno: “quando lui o lei è visibile, è già una cosa”: qui in foto vi
metto i pezzi che c’illudono che questi animali siano cose.
Dice la co-proprietaria del Niman
Ranch:
“Le persone sono scollegate da questa realtà, acquistano carne, pesce e
formaggi già cotti o confezionati in pezzi, e in questo modo è facile non
pensare affatto agli animali da cui quei cibi si ricavano. Questo è un
problema” (pag. 233).
(Faccio notare che anche ai Sonderkommando, come si vede nel film-shock Premio Oscar “Il
Figlio di Saul” (Ungheria 2015),
non vedevano la scena dentro le camere a gas: anche questa tecnica del non
vedere ha reso possibile la Shoah). Arrivato scannato e dissanguato, il maiale
ne esce “con un aspetto molto meno maialesco, quasi di plastica”, e Foer trova
“repellente” che chi è addetto ad estrargli gli organi lo faccia senza guanti,
a mani ignude. Il proprietario, Mario Fantasma, ammette “di avere qualche
difficoltà con gli aspetti più cruenti della macellazione”, come tutti i
lavoratori dei mattatoi con cui ha parlato Foer. Mangia carne, “ma c’è una
parte di me che vuole sentire di un maiale che ce l’ha fatta e magari si è
stabilito nella foresta e ha dato vita a una colonia di maiali rinselvatichiti”
(pag. 166).
LE TORTURE CONTRO I VITELLINI: ASSETATI, SENZ’ACQUA
Foer non parla dei vitelli perché
gli americani non ne mangiano tanti. Per quanto riguarda l’Europa, Animal
Equality denuncia come i vitellini siano strappati alle madri poche ore dopo la
nascita, cresciuti in un capanno a parte e inviati al macello dopo qualche
mese. E il teologo Eugen Drewermann, che ha abbandonato il cattolicesimo nel 2005
dopo il mobbing subìto
dall’inquisitore Ratzinger, descrive così il trattamento dei cosiddetti
“vitelli da ingrasso” in quelle che definisce “fabbriche di morte”:
“A otto giorni dalla
nascita, quando pesa quaranta chili, il vitello viene separato dalla madre per
essere trasportato in un’azienda di allevamento in cui per profilassi viene
imbottito di medicinali. Poi viene avvezzato all’assunzione di una bevanda a
base di latte scremato, che provoca diarrea e disidratazione e rende necessario
il ricorso alla fleboclisi per tenerlo in vita.
Costretto in piccoli box di legno in una stalla buia, cresce con un incessante bisogno di nutrimento; anziché tuttavia aumentare la quantità di foraggio se ne aumenta la concentrazione di sostanze nutritive, sinché il tutto si riduce a una specie di budino che accresce a dismisura la sete. L’acqua però manca, poiché lo scopo è che gli animali siano sempre più ingordi di questo budino: il vitello deve infatti ingrassare ogni giorno di più di un chilo. Per evitare nuove diarree il budino viene scaldato a 38 gradi: il che comporta che l’animale mangiando sudi, avverta prurito, si gratti e si strappi con la lingua i peli che finiscono nel rumine ove marciscono sviluppando sostanze tossiche. Per fare in modo poi che la carne abbia un bel colore si cura che il budino contenga pochissimo ferro. In tal modo diventano anemici e hanno gravi difficoltà respiratorie e disturbi della circolazione.” (“Sull’immortalità degli animali”, Castelvecchi, Roma 2013, pagg. 24 – 25)
Per quanto riguarda gli agnelli, "Le Monde" ha pubblicato questa video-inchiesta di recente:
http://www.lemonde.fr/planete/video/2016/03/29/la-video-des-actes-de-cruaute-dans-un-abattoir-des-pyrenees-atlantiques_4891707_3244.html?utm_medium=Social&utm_source=Twitter&utm_campaign=Echobox&utm_term=Autofeed#link_time=1459243983
LA COMPASSIONE è UN
MUSCOLO che VA ALLENATO
Foer ci ricorda autorevolmente lo
spirito della compassione autenticamente ebraica (che, come ho illustrato in
questo saggio, è parola che si trova sempre nella forma di verbo di movimento e
collegata alla parola giustizia: http://lelejandon.blogspot.it/2014/09/la-via-della-compassione-creativa.html)
ricorrendo ad una metafora che (ricorderanno i miei lettori) già il grande
psicologo divulgatore ebreo americano Daniel Goleman aveva usato per definire
“l’attenzione, muscolo della mente” (http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/allenare-lattenzione-muscolo-della.html):
“La compassione è un
muscolo che si rafforza con l’esercizio” (Foer, pag.276)
un dipinto del pittore americano Daniel Gerhartz |
Mi viene in mente Tolstòj, che
dice che “è possibile perdere a poco a poco l’abitudine alla compassione, anche
nei confronti degli umani” (“Perché sono
vegetariano”, Piano B Edizioni, Prato 2016, pag. 9): anche il filosofo
russo dice come Erich Fromm che esiste una naturale inibizione ad uccidere,
quando chiede al macellaio se provasse
compassione e quegli rispose: “ma cosa posso fare? Devo pur guadagnarmi il
pane; all’inizio avevo paura di uccidere”, cioè pietà (pag. 83). Foer c’invita ad
attivare la nostra “immaginazione morale” (che, ricordo, è un’espressione che
fu usata dalla poetessa ebrea americana Adrienne Rich):
"La Primavera", olio su tela del 1868 di Filippo Palizzi (1818 - 1899), Galleria d'Italia, Milano. |
“Che mondo creeremmo
se tre volte al giorno la nostra compassione e la nostra razionalità intervenissero
mentre ci sediamo a tavola, se avessimo l’immaginazione morale e la volontà
pratica di cambiare il nostro atto di consumo più essenziale?”
Foer cita il grande e coraggioso
attivista americano Martin Luther King Jr (cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/11/the-help-lezione-sulla-compassione_14.html)
la cui moglie Coretta Scott King peraltro fu attivista per i diritti degli
animali nonché vegana, interpretando in maniera radicale lo spirito
dell’insegnamento del marito):
“Prima o poi arriva l’ora
in cui bisogna prendere una posizione che non è né sicura, né conveniente, né
popolare perché la coscienza dice che è giusta” (pag. 277)
Anche Foer è profeta del futuro:
“I prodotti
alimentari crudeli e distruttivi dovrebbero essere illegali”,
e intanto ci sono primi segni di presa di
coscienza:
“Florida, Arizona e
California hanno approvato la progressiva eliminazione delle gabbie di
gestazione con referendum d’iniziativa popolare”
e
in Colorado, dietro minaccia di una campagna di sensibilizzazione,
“l’industria stessa ha acconsentito alla legge che bandisse le gabbie di
gestazione” (pag. 200) e le gabbie da parto per i suini.
E
giorni fa il Parlamento Europeo
ha vietato il trattamento antibiotico preventivo.
Senza citarlo, Foer arriva allo
stesso link che fa il filosofo
australiano Peter Singer fra sessismo, razzismo e specismo (sexism, racism, speciesism):
“Abbiamo permesso
all’industria di soppiantare la fattoria per le stesse ragioni per cui la
nostra cultura ha relegato le minoranze a membri di serie B della società e ha
tenuto le donne soggiogate agli uomini” (pag. 261).
A tal proposito, Marjorie Garber nel
libro del Premio Nobel J. M. Coetzee “La
vita degli animali” (Adelphi Milano 2000, pag. 99), fa notare che, non a
caso,
"Le
società per la protezione degli animali sorte nell'Ottocento furono create in
effetti ad opera degli stessi attivisti sociali che fondarono le società
antischiavistiche e quelle per il suffragio femminile."
I
SACRIFICI ANTICHI: COSI’ SI AGGIRAVA il SENSO di COLPA INNATO
Già il presocratico Anassimandro aveva
intuito che noi deriviamo da altri animali, come ho raccontato nella mia
conferenza sui diritti degli animali alla Casa dei Diritti. E filosofi come
Pitagora, Porfirio e Plutarco erano contro sia i sacrifici di animali sia
l’alimentazione carnea perché intuivano che siamo imparentati. E comunque c’era
disagio nell’uccidere animali nelle tradizioni greche, come sappiamo dal fatto
che quand’anche si facevano dei sacrifici agli dèi, c’era uno scaricabarile: un
complesso rituale per ovviare a quel senso di colpa che, scrive lo psicanalista
ebreo Erich Fromm (1900-1980) nell’”Anatomia
della Distruttività Umana”, già i primi umani provavano quando (evidentemente
per necessità e loro malgrado) uccidevano l’orso. Come scrive lo storico delle religioni Walter
Burkert (1931 – 2015) nel classico “Homo Necans”, nell’antica Grecia
l’animale sacrificale era lavato e spazzolato, adornato, condotto all’altare in
processione. Irrorato con acqua benedetta, in modo da fargli scrollare la
testa: gesto che veniva interpretato come un Sì al sacrificio. Ad Atene, i
sacerdoti fuggivano, fingendo il panico. Il coltello era processato e
condannato alla distruzione.
Come ricorda anche il filosofo inglese John Locke (1632 – 1704), in
Inghilterra i macellai (che già nei dizionari dell’epoca erano sinonimo di
“sanguinari”) non potevano essere giurati nei casi ove l’imputato rischiava la
pena di morte.
IL
DISGUSTO VERSO I CADAVERI SUGGERISCE: MANGIARE CARNE NON è NATURALE
Noi diciamo: De gustibus non disputandum est. Ma qui si tratta di uccisioni e
maltrattamenti. E di per sé la carne non ha un gusto naturalmente buono come la
frutta. Nota Foer:
“Perché
il gusto è dispensato dalle regole etiche che governano gli altri sensi? Perché
un arrapato non ha il diritto di stuprare un animale mentre un affamato ha il
diritto di ucciderlo e mangiarlo?” (pag. 103)
Per
parte mia, vorrei citare uno scrittore a me caro, il greco Plutarco (45 - 120),
anche lui di formazione filosofica come Foer che nel “Del mangiare Carne” (“De esu
carnium”) scrive che la caccia è sorta dalla ingordigia e dal lusso:
“Tu chiedi per
quale ragione Pitagora si astenesse dal mangiar carne; io, invece, mi chiedo
stupito con quale sentimento, con quale stato d’animo o in base a quale ragionamento
il primo uomo abbia toccato con la bocca ciò che era frutto di un assassinio.
(…) che mangiare carne non sia per l’uomo secondo natura, è dimostrato dalla
struttura dei corpi. Il corpo umano non rassomiglia a nessuno di quelli
generati per mangiare carne, non ha becco adunco, non ha artigli appuntiti, non
ha dentatura ineguale, non ha stomaco robusto, non ha umori caldi capaci di
digerire la pesante alimentazione carnea…”
“attenuano l’odore di
sangue con innumerevoli condimenti, perché il gusto, ingannato, accetti ciò che
per natura gli è estraneo”, “abbiamo bisogno di condimenti come se veramente
preparassimo un cadavere per la sepoltura. Ciò nonostante è difficile da
digerire”
(Gli stessi ottimi
argomenti li riprenderanno non a caso due grandi umanisti nonché lettori,
studiosi ed ammiratori del buon Plutarco: Erasmo e Montaigne). Ed infatti Foer
testimonia questo senso di disgusto innato:
“Ho perso l’appetito alla
vista e all’odore del mattatoio” (pag. 178)
(Anche Tolstòj visitò due mattatoi e ne rimase inorridito: vedasi le
pagg. 32 e 85-93 della già citata raccolta di scritti “Perché sono
vegetariano” ove descrive anche di un bue scorticato ancora vivo!). Per chi
volesse ulteriormente approfondire, leggere Rifkin: è lui che, da storico
dell’economia, spiega in dettaglio tutta la storia di come gli USA siano
arrivati a ciò. E a ben poco serve lo Humane Methods of Slaughter Act
del Presidente Eisenhower del 1958 se le Lobby impediscono degli autentici
controlli su questi campi di concentramento e sterminio.
L’INSOSTENIBILITA’: 800 MILIONI d’AFFAMATI
TROPPE MUCCHE, TROPPI PASCOLI TRAMUTATI IN CAMPI di CEREALI
PER INGRASSARE LE BESTIE DA MACELLO:
LO SAPEVATE CHE CAUSA
SURRISCALDAMENTO GLOBALE?
QUEST’INDUSTRIA NON
CREA BUON LAVORO: SCOMPARSI GLI ALLEVATORI
Un altro quadro shock della pittrice americana Sue Coe |
Questo sfruttamento rassomiglia
al lavoro minorile:
“si tratta in
entrambi i casi di creature vulnerabili e sfruttabili quasi all’infinito se altri
non intervengono” (pag. 237).
“L’allevamento intensivo è solo
una questione di soldi” ed è “la ragione per cui sta fallendo”, dice Nicolette,
la moglie del fondatore del Niman Ranch (pag. 225). Come ho ricordato al mio
Speciale Cineforum all’Expo Milano 2015 (http://lelejandon.blogspot.it/2015/05/speciale-cineforum-in-expo-milano-2015.html),
al mondo ci sono 800 milioni di persone affamate. Ma un terzo dei cereali va
agli animali destinati alla morte!
Da una parte,
“mai, nella storia dell’uomo, una parte così
consistente di popolazione – circa il 20%- ha sofferto per malnutrizione”
(Rifkin, pag. 204)
e dall’altra
“mai, nella storia, gli uomini sono stati così sovrappeso” (Rifkin
pag. 192),
con tutte le malattie correlate,
e l’ossessione nevrotica delle diete e l’aumento di anoressia nervosa e
bulimia. Aggiungo che già Tolstòj scriveva che “in molti muoiono perché
mangiano troppo” (“Perché sono
vegetariano”, cit., pag. 14).
Trasformare tutte queste tonnellate
di cereali e mais, prodotti che potrebbero sfamare tutti gli affamati del
mondo, in etanolo o cibo per animali condannate a precoce morte, è un “crimine
contro l’umanità” (pag. 227). Questa sì che è una “sconfitta dell’umanità” per
usare le parole che un cardinale ha usato per definire l’estensione della
libertà matrimoniale alle coppie gay innamorate.
“¼ delle terre emerse
sono usate per nutrire bovini e altro bestiame” (Rifkin, pag. 177):
perché il Papa non lo dice,
quando denuncia l’odiosa, imperdonabile contraddizione dei Paesi che mangiano
troppo e dei Paesi che non mangiano a sufficienza?
Gli americani macellano ogni
giorno 100 mila mucche, fra i 13 ed i 30 anni mangiamo 5 hamburger a settimana,
e sono carnivori soprattutto gli Stati culturalmente arretrati del Sud (Rifkin,
pag. 178): fondamentalisti repubblicani, pro-armi, anti-Welfare, omofobi. Mi
viene in mente la citazione dall’ultimo film che ho presentato al Cineforum, “Women – If These Walk Could Talk 2”,
quando nel primo dei tre episodi la bambina manifesta il proprio naturale
impulso compassionevole nei confronti di un animale in giardino, e corre dal
padre che subito lo reprime: “Papà, c’è un uccellino che è caduto, che cosa
devo fare?”, e quello, senza fare una piega, le risponde: “Lascialo stare, significa
che non deve farcela”.
L’economista indiano Premio Nobel
per la Pace Rajenda Kumar Pachauri, sostiene che tutto il mondo dovrebbe optare
per la dieta vegetariana (che, ricordo, è quella mediterranea, e non carnea,
come pretende il nostro attuale ignorantissimo ministro della salute) solo per ragioni ambientali.
Ma resistono i miti, diffusi
anche dal nostro ministro: “molti americani sono convinti che una riduzione di
proteine animali potrebbe, in qualche modo, compromettere la loro salute,
rendendoli più deboli e meno virili” (Rifkin, pagg. 201 – 202), col risultato
che “agli americani e gli europei si stanno letteralmente uccidendo di cibo”.
Nel 1917, a causa del blocco
navale intorno ai territori occupati dall’imperialismo tedesco, i danesi
dovettero stare senza carne, cibandosi solo di patate ed orzo: ebbene,
quell’anno il tasso di mortalità scese del 34% (Rifkin, pag. 197). La carne
provoca infarto cardiaco, ictus e cancro (al seno, al colon e alla prostata).
Colin Campbell, della Cornell University, autore di un grandioso studio che
mostra questa correlazione, dice che
“siamo una specie vegetariana” (Rifkin, pag. 200)
E che non esistono nutrienti nella carne che non si trovino
nei cibi vegetali. Se non mutiamo stile di vita,
“si sta preparando
una crisi alimentare di proporzioni planetarie” (Rifkin, pag. 189)
E’ un sistema
innaturale che, complici questi maledetti pesticidi e fertilizzanti
petrolchimici, ha creato una
“artificiosa catena
alimentare che affama i poveri” ed è “una nuova forma di crudeltà” (Rifkin,
pag. 184)
Come spiega Rifkin (pagg. 254 –
262 del suo libro “Ecocidio”), quando
le piante muoiono o sono bruciate, rilasciano nell’atmosfera tonnellate di
carbonio accumulato dall’anidride carbonica C02 (nel processo di fotosintesi
clorofilliana). Nel 1987 le cattive leggi del corrotto Brasile favorirono un boom d’inquinamento: “Secondo la legge
brasiliana, per accampare diritti su terre demaniali nella regione delle
Amazzoni la prima cosa da fare è abbattere la foresta per dimostrare di volersi
seriamente impegnare a svilupparla” (Rifkin, pag. 222). E siccome l’industria
ha alimentato la fame di carni rosse, l’industria ha bruciato tante terre che
prima erano di pascoli per tramutarle in campi per la coltivazione di cereali
che servono ad ingrassare perlopiù quelle povere bestie da macello! Negli anni
Sessanta, fu anche a causa degli “aiuti finanziari” della Banca Mondiale che
quasi tutto il Sud e Centroamerica ha incominciato il trend inarrestabile di
tramutare milioni di ettari di foresta pluviale e di terreni agricoli in
pascoli per alimentare un’industria che non produce lavoro, anzi: la media
dell’allevamento bovino tropicale è di un addetto ogni 2000 capi di bestiame,
cioè un uomo ogni 30 KM quadrati (Rifkin pag. 172).
“Contrariamente a
quanto si crede, ogni anno i poveri diventano più poveri” (Rifkin, pag. 203).
Nel Centro e nel Sud America,
“costretti a decidere se nutrire gli uomini o gli animali, i latifondisti
locali e le élite urbane di potere hanno scelto gli animali” (Rifkin, pag.
172), provocando miseria, emigrazione, bidonvilles
e fame.
“Se la terra è seminata a soia,
c’è meno mais a disposizione per l’alimentazione umana, e questo ne determina
un aumento del prezzo” che ricade “sulle spalle dei poveri”; altro esempio: “i
fagioli neri, tradizionalmente alimento cardine della dieta contadina
brasiliana”: “gli agricoltori hanno smesso di coltivarli, preferendo dedicarsi
alla più redditizia soia per alimentazione animale” (Rifkin, pag. 171).
LA DISTRUZIONE DELLA FORESTA PLUVIALE TROPICALE,
LA DESERTIFICAZIONE E
LE GHOST TOWN ECOLOGICHE,
l’ESTINZIONE DEGLI
ANIMALI
“Gli astronauti hanno riferito di
aver visto centinaia di fuochi nella regione amazzonica” (Rifkin, pag. 223),
antichissima e fragile che è studiabile solo da una dozzina di super-scienziati
al mondo e che ospita 1/5 di tutte le forme viventi terrestri.
“Senza la ricca
diversità biologica che si riscontra nella foresta pluviale di Centro e
Sudamerica le generazioni future non saranno in grado di disporre di nuovi
alimenti, farmaci, prodotti, fibre e fonti energetiche” (pag. 225)
“1/4 di tutti i
farmaci sono derivati da piante tropicali”, “il 70% delle piante che hanno
proprietà anticancro proviene dalla foresta pluviale tropicale”, “molte
procedure chirurgiche dipendono dalla corteccia di una liana che cresce nella
foresta pluviale del Sudamerica: il curaro”, “La D-turbo turbo curarina e altri
alcaloidi, utilizzati per rilassare i muscoli scheletrici durante delicati
interventi chirurgici, derivano da diverse specie vegetali” che fioriscono lì
(pag. 225)
Ma la cosa pazzesca è che lavorare
questo suolo così sottile è antieconomico: entro 8 anni sospendono gli
allevamenti a causa dell’impoverimento della terra.
In generale, i troppi bovini (brucando
di tutto, persino cactus e cortecce degli alberi e calpestando continuamente
coi loro pesanti zoccoli) provocano desertificazione ed erosione in tutto il
mondo, ma queste “sono considerate “esternalità”, un costo secondario di
produzione” (pag. 231). La pressione degli zoccoli da una parte riduce la
quantità d’aria fra le particelle del suolo, diminuendo la quantità d’acqua che
può essere assorbita e dunque il terreno diviene più esposto alle piena dei
fiumi; e dall’altra distrugge i miliardi di microrganismi fondamentali nel
mantenere la fertilità e lasciando senza cibo le altre specie animali. “Non più
trattenuti dalle radici o riparati dall’azione diretta dei raggi del sole, gli
strati superficiali vengono erosi dal vento o trascinati via dalle acque” (pag.
233).
Stanno estinguendosi dal West animali
selvatici: antilocapre, alci, cavalli selvaggi, asini, coyote, lupi, uccelli e
pesci e ”i grandi ungulati sono spinti a migrare verso terre marginali ove li
attende una lenta morte per denutrizione” (pagg. 236-7). E, venendo a mancare i
predatori, proliferano le loro prede: “conigli selvatici, citelli, topi
canguro, ghiri”. E il governo, anziché ripristinare l’equilibrio, sparge
cereali avvelenati con mezzi aerei! E il costo di tale sterminio è superiore
alle perdite subite dagli agricoltori a causa degli animali selvatici di cui si
fa quest’assurda caccia! Il West è stato “trasformato in una landa desolata”
(pag. 242).
E “le aree alluvionali, vere e
proprie oasi del West, si sono trasformate nell’equivalente ecologico delle
città fantasma” (pag. 232).
Stesso problema in Australia ed
in Africa ove “come i predecessori colonialisti, i governi erano ansiosi di
esercitare il controllo” sui popoli: per provare a scoraggiare il nomadismo,
introdussero la “perversa prassi dei pozzi profondi”, sperando che avrebbe
indotto i pastori ad interrompere il ciclo della transumanza legata alla
stagionalità delle piogge. Ma la conseguenza fu un guaio: immaginando come
fonte inesauribile l’acqua, le tribù hanno aumentato il numero di bovini che
hanno spogliato in pochi anni la vegetazione attorno ai pozzi maledetti.
Risultato? “Mandriani e agricoltori sono in competizione per la poca terra
rimasta”. In Botswana, ove metà delle persone possiede bovini, il governo
incentiva l’allevamento intensivo, e gli allevatori hanno minato l’equilibrio
della fauna cingendo la savana di migliaia di KM di filo spinato, facendoli
morire di fame e sete o morire impigliati nel filo (Rifkin, pag. 246). E la
desertificazione provoca esodi di profughi dalle campagne isterilite verso le
città.
GLI EROICI ATTIVISTI UCCISI
Berta Cáceres, l'attivista uccisa in Honduras pochi giorni fa |
Proprio di pochi giorni fa è la
notizia che è stata uccisa (dopo tre membri delle comunità che rappresentava) con
quattro colpi in testa Berta Cáceres, attivista ambientale (Goldman Environmental
Prize) per la difesa dei popoli amerindi dell’Honduras (il Paese più pericoloso
per gli ecologisti secondo l’ONG “Global Witness”) dal land grabbing (espropriazione per pochi spiccioli di terre a fini
di deforestazione per farne pascoli per ingrassare animali da macello): per
esempio, era merito suo se si era impedita la costruzione di una diga per un
complesso idroelettrico che avrebbe violato la Convenzione sull’autodeterminazione
dei popoli indigeni (1989).
Un’eroina giacché diceva:
“So che mi uccideranno,
perché è facile uccidere chi si batte per la difesa dell’ambiente”
E il governo, trovandola scomoda,
l’ha lasciata senza protezione e accusata di essere una terrorista, arrestata e
perseguitata. Una donna dalla coscienza
ecologica che le derivava anche dalla sua spiritualità panenteistica: “Quando
ho incominciato a combattere per il Rio Bianco, potevo sentire quello che il
fiume aveva da dirmi”. Poco dopo, è stato ucciso anche
un suo compagno attivista, Nelson Garcia.
NEW YORK e BOSTON diventeranno TROPICALI...
Inoltre, le mucche e le termiti
sono troppe ed emettono metano, un gas serra e quindi global warming (febbraio 2016 è stato lo scostamento rispetto alla
temperatura media mensile mai registrato: di 1, 35 gradi). Le piante producono
sostanze che controllano la crescita delle termiti, ma quando gli alberi sono
abbattuti, le termiti crescono, e si sospetta che questa sovrappopolazione pure
contribuisca a causare emissioni di metano nell’atmosfera. Entro il 2030, NY e
Boston potrebbero essere tropicali come Miami, il Midwest desertificato, i
grandi fiumi tramutati in fango secco, e uragani 50 volte più distruttivi
radere al suolo città come Baltimora. Il livello del mare potrebbe alzarsi sino
a sciogliere le calotte polari e l’acqua salata del mare invadere le pianure
rendendo salmastra quella di laghi e fiumi e rendendo ancora più scarsa la
disponibilità di acqua dolce. Le Isole Maldive e i Caraibi sarebbero sommersi
come la mitica Atlantide. E profughi verrebbero anche dall’Egitto che
perderebbe il 15% dei terreni agricoli del Delta del Nilo lasciando senza casa
1/7 degli egiziani. Non potremmo più costruire palazzi, dighe, ponti, fogne e
strade.
L’eccesso di coltivazione sta già
minacciando le riserve d’acqua dolce (un tempo considerata risorsa
inesauribile): aumenta la popolazione, aumentano i fabbisogni di cereali per le
vacche, aumenta il fabbisogno d’acqua (quasi metà dell’acqua consumata negli
USA è destinata a loro, alle mucche).
Come accennava Foer, le mucche
producono tonnellate di sterco che si riversa nelle falde, inquinando (per ben
metà) le acque ed uccidendo i pesci.
Mentre dilagano tumori del colon e del seno, e il Professor Umberto
Veronesi, ex ministro della salute (che stima che sia del 30% l’incidenza del
cibo sul cancro) ci propone nei suoi libri le ricette per la dieta vegetariana
(la dieta mediterranea è, in origine, vegetariana!), il nostro ministro della
salute, senza laurea eppure saccente e loquace, ancora una volta va contro
l’OMS: dopo aver detto che l’omosessualità è una malattia (contro il parere OMS
del ’93), ora dice che mangiare bistecche fa bene alla salute dei bambini.
“In natura”, che (ricordo) deriva dal latino
nascitura (che deve nascere), “la capacità generativa, non la produttività, è
misura della sostenibilità”, dice Rifkin. “Abbiamo annullato la nostra
dipendenza dalla natura” e “scegliendo di non mangiare carni bovine,
manifestiamo la volontà di fondare una nuova alleanza con queste creature”.
Per completare il quadro, l’industria zootecnica produce
disoccupazione:
“Nel 1930 più del 20%
della popolazione americana lavorava nell’agricoltura. Oggi è meno del 2%”
(Foer, pag. 177) nonostante la produzione agricola sia sempre esponenzialmente
aumentata. “Gli agricoltori hanno una probabilità di suicidarsi quattro volte
superiore a quella della popolazione generale”. “Gli unici posti di lavoro
creati dal sistema industrializzato sono o di tipo burocratico (pochi) o non
qualificati, pericolosi e pagati una miseria (molti). Non ci sono allevatori
negli allevamenti intensivi”! (pag. 177)
Martin Luther King Jr aveva fiducia che:
“Un giorno l’assurdità della credenza quasi universale della schiavitù degli altri animali sarà palpabile. Allora noi avremo scoperto le nostre anime e saremo divenuti più degni di condividere questo pianeta con loro”
LELE JANDON
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