di LELE JANDON
Torna il Maestro del Brivido al Cineforum
Gay del “Guado”. Domenica vedremo ed analizzeremo un thriller psicologico ricco
di suspence col divo gay Farley Granger per la regia del Premio Oscar Alfred
Hitchcock, alle ore 15.30. Storia di un uomo che si ritrova la vita sconvolta dall'incontro con uno psicopatico. Ma chi sono, i sociopatici, quelli che ai tempi di “Psycho” (1960) di Hitchcock eran detti “psicopatici” e dei quali ho già accennato nel mio articolo http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/allenare-lattenzione-muscolo-della.html)? Lupi travestìti da agnelli: sfasciano coppie (attraverso seduzioni e
maldicenze, pel solo gusto di distruggere: sono incapaci d’amare), sfasciano
negozi e attività altrui (mediante denunce, pel puro gusto di rovinare le
persone: non son capaci di progetti a lungo termine, né di sentirsi parte di
una comunità sociale). Esercitano sofisticate forme subdole di mobbing contro i sottoposti, illudono le persone di amarle per poi divertirsi a mollarle in malo magari al telefono, inducono persino al suicidio.
E
attenzione: non sono necessariamente violenti, anzi, i più furbi di loro sanno
che conviene farsi degli amici (che magari circondano di regali) per non essere
riconosciuti e andare in prigione. Sono mine vaganti che indossano la maschera giusta per
ogni occasioni (pur potendo tradirsi con delle gaffes: incapaci di comprendere il sarcasmo, si danno alla fuga
quando qualcuno manifesta emozioni forti, odiano chiacchierare e preferiscono la
Tv ad una festa). Non hanno un Io, una personalità, un’identità, eppure possono
crearsi articialmente un personaggio e addirittura avere fascino e fans. Cresciuti senza il naturale amore dei genitori e senza la fiducia verso di loro, divengono incapaci di autentica intimità e per loro il sesso è solo usa e getta, impersonale, come un massaggio o un hamburger del fast food. La
visione e l’analisi di questo film sarà l’occasione di parlare di questa
categoria di persone che possiamo incontrare: se abbiamo già trattato il tema della Creatività, come essenza della nostra umanità e come senso della vita (cfr. il
mio Blog http://lelejandon.blogspot.it/2013/12/il-segreto-della-felicita-e-la.html e http://lelejandon.blogspot.it/2013/10/gay-power-is-creativity-also-when-you.html), stavolta tratteremo il tema
della distruttività insensata come essenza della disumanità.
Una scena del thriller "Psycho" (1960) di Alfred Hitchcock. |
IL PLOT del LIBRO e del FILM
“Cerco il Partner in Crime per un “Delitto
Perfetto”: una “Coppia di Delitti” commessi da due “Sconosciuti” uno per
l’altro…”
Ecco la
trama del film e del libro dond’è ispirato. campione di tennis Guy (Farley Granger di “Nodo alla Gola” da noi visto al Cineforum Gay del “Guado”) odia sua moglie e vorrebbe liberarsene in qualche modo…
Per caso, un giorno in treno si ritrova davanti, suo malgrado, Bruno, un suo ammiratore che lo riconosce ed attacca bottone.
Guy non pensa che il suo compagno di
viaggio parli sul serio, sinché sua moglie viene strangolata in un lunapark.
Guy viene interrogato dalla polizia e,
dal momento che non ha un alibi verificabile, viene sorvegliato.
Bruno (che si rivelerà essere un
alcolizzato) non tarda a far sapere a Guy che si attende di vedersi ricambiato
il “favore”…
Guy rifiuta di vederlo, ma Bruno lo
ricatta: “E se io dicessi che mi hai pagato…”
E’ il
primo romanzo della Highsmith, l’autrice della serie di Mr Ripley,
la regina
del noir e del thriller psicologico
Patricia Highsmith (1921 – 1995), al suo
esordio, fu onorata di vedere scelto il proprio romanzo (di cui leggeremo
alcuni passi) che non aveva avuto un gran successo di lettori. Nata da genitori
divorziati pochi giorni prima che lei nascesse, verrà cresciuta da una nonna. In
un romanzo ha anche tratto ispirazione dal suo rapporto di amore-odio per la
madre, che, secondo lei, avrebbe tentato di abortirla.
Si è laureata al Barnard College in
lettere.
Ha vissuto dal 1963 sino alla morte in
Europa, soprattutto in vita ritirata nella sua casa ad Aurigeno, nel Canton
Ticino (anche se non per ragioni fiscali: ha sempre mantenuto la cittadinanza
americana). E’ diventata la regina del thriller psicologico e del noir ed in
particolare famosa per la serie di romanzi (inaugurata nel 1955 con “The Talented Mr. Ripley”) con
protagonista il sociopatico Tom Ripley, portato anche al cinema da Anthony
Minghella nel film coi Premio Oscar Matt Damon e Gwyneth Paltrow.
I suoi romanzi sono ricchi di riferimenti
sottintesi e sofisticati all’omosessualità dei suoi personaggi.
FARLEY GRANGER,
il bel divo di “Rope” e di “Senso” di Visconti
si dichiarò gay in un libro col compagno
Un primo piano dell'attore californiano Farley Granger (1925 - 2011). |
Il padre lavorava nell’ufficio di collocamento di Hollywood e così ebbe contatti con degli attori che misero il giovane Farley in contatto con degli agenti cinematografici: ottiene il primo ruolo nel 1943.
Aveva già lavorato con Hitchcock, sempre in un ruolo da protagonista interpretando lo studente assassino (accanto a John Dall) in “Nodo alla Gola” (1948, ispirata alla storia vera della coppia gay Leopold e Loeb da noi visto al Cineforum Gay del “Guado”, con un approfondimento sul tema della “folie à deux”). Per lo spettatore moderno è intuitivo che
la coppia legata da questa follia a due sia gay, ma Hitchcock deve evitare la legge sulla censura (cfr. Theodore Price, “Hitchcock and
Homosexuality”, Scarecrow 1992).
Il giudizio della critica sulla sua interpretazione in "Stranger on a Train" è unanimemente positivo.
Il giudizio della critica sulla sua interpretazione in "Stranger on a Train" è unanimemente positivo.
Ha avuto un ruolo (quello del Maggiore Harriman) anche nel western comico di Enzo Barboni “Lo chiamavano Trinità” (1970) e in “Senso” (1954) di Luchino Visconti (1906 – 1976) accanto ad Alida Valli (1921 – 2006) che era stata protagonista del film di Hitchcock “Il caso Paradine” (1947).
Dopo un’ultima apparizione in un film del 2004, nel 2007 ricompare in pubblico per promuovere la sua autobiografia, “Include me out”, scritta a quattro mani col compagno, Robert Calhoun.
E’ scomparso ad 85 anni per cause naturali.
****
L’elogio del collega Truffaut:
L’elogio del collega Truffaut:
“Maestro,
Lei è Unico nel Suo genere”
François Truffaut (1932 - 1984) intervista Hitchcock. |
Citiamo alcuni passi sui retroscena del
film dal classico “Il Cinema secondo Hitchcock” di Francois Truffaut (edizione
definitiva, il Saggiatore, Milano 2008, edizione originale francese “Hitchcock. Editions définitive”,
Gallimard, Paris 1993, prima edizione italiana Nuova Pratiche Editrice 1997).
Truffaut: “Credo che se qualcun altro
avesse filmato la stessa sceneggiatura non ne sarebbe uscito niente di buono.
E’ molto normale, altrimenti come è possibile che tutti quelli che fanno dei
thriller credendo di farli come Hitchcock falliscono immediatamente?”
Hitchcock: “La mia più grande fortuna è
di avere avuto il monopolio di questa forma di espressione. A nessuno interessa
studiarne le regole.” (pag. 162)
Hitch: “Vi spiego
perché quelle inquadrature sulle rotaie
che ad un
certo punto si sdoppiano…”
REGISTI. Truffaut fu regista attore, sceneggiatore e produttore francese. |
Nel film vediamo inquadrare le rotaie, così
come vediamo spesso inquadrate le porte girevoli nel film “Sliding Doors” del regista Peter Howitt (ispirato ad un’idea del
cineasta polacco Krzysztof Kieślowski), col Premio Oscar Gwyneth Paltrow.
Truffaut: “Tutti ammirano molto la
tecnica narrativa de “L’Altro Uomo”
(che è l’altro titolo con cui “Delitto
per Delitto” è noto in Italia, ndr), “le carrellate sui piedi in un senso o
nell’altro, poi le inquadrature sulle rotaie. Le rotaie che si congiungono poi
si divaricano sono un po’ un simbolo, allo stesso modo delle frecce direzionali
all’inizio di “Io Confesso” (il film
con Montgomery Clift, ndr); “a lei piace iniziare i film con questo tipo di
effetti…”
Hitchcock: “Le frecce direzionali
esistono a Québec e le usano per le strade a senso unico. Ne “L’altro Uomo” le
immagini delle rotaie erano la continuazione logica del movimento dei piedi; in
pratica, non potevo fare altrimenti."
Truffaut: “Ah, sì? Perché?”
Hitchcock: “La macchina da presa
rasentava le rotaie perché non potevo alzarmi, non dovevo, non volevo sino al
momento in cui i piedi di Farley Granger e di Robert Walker” (i due
protagonisti, ndr) “si urtano nello scompartimento.”
Truffaut: “Ah, sì! E’ giusto, perché i
piedi che si urtano per caso danno inizio alla loro relazione, Bisognava mantenerla
sino a questo punto la decisione di non mostrare i loro volti; ma queste rotaie
suggeriscono anche l’idea delle strade che divergono.”
Hitchcock: “Naturalmente; non è un
disegno affascinante? Si potrebbe studiarlo molto a lungo”.
Il RETROSCENA:
La rischiosa Scena Finale
“Così ho ricreato
la giostra che si rompe: un modellino ingrandito sul trasparente...”
Hitchcock: “L’uomo del lunapark, l’omino
che striscia sotto la piattaforma della giostra impazzita, ha veramente
rischiato la vita. Se avesse alzato la testa di cinque millimetri sarebbe
rimasto ucciso e non me lo sarei mai perdonato. Non rifarò mai più una scena di
questo tipo.”
Truffaut: “ma quando la giostra si
rompe?”
Hitchcock: “Qui era un modellino. Quando
la giostra si rompeva era un modellino ingrandito sul trasparente con le
comparse dinanzi allo schermo”.
(pag. 164)
Truffaut: “Si avverte con molta chiarezza
che la sua preferenza andava al cattivo”
Hitchcock: “Naturalmente, senz’alcun
dubbio” (pag. 166)
Ecco i
passi-clou del romanzo d’esordio
della
scrittrice gay texana:
“Quel non
so che di degenerato
su quel volto di età indefinibile…”
di
PATRICIA HIGHSMITH
“Il giovane di fronte a lui sembrava
indeciso se iniziare una conversazione o farsi un sonnellino. (…) Era un volto
interessante, anche se Guy non sapeva spiegarsene il perché. Non sembrava né
giovane né vecchio, né intelligente né del tutto stupido. Tra la fronte stretta
e sporgente e la mascella appuntita, il viso s’incavava con un che di
degenerato, specie intorno alle labbra sottili e più ancora negli alvei
bluastri delle palpebre. La pelle era liscia come quella di una fanciulla,
chiara come la cera, quasi che tutte le sue impurità fossero state assorbite da
quel bitorzolo spuntato sulla fronte. Guy si rimise a leggere per qualche
minuto. La lettura lo interessava e sembrava alleviare la sua ansia. Ma a che
ti serve Platone con Miriam? Domandava una voce dentro di lui. La stessa cosa
s’era chiesto a New York, ma aveva ugualmente portato il libro, un vecchio
testo liceale di filosofia, una concessione a sé stesso a compenso forse di
quel viaggio che faceva per Miriam. Guardò fuori del finestrino e, scorgendo la
propria immagine riflessa, si aggiustò il colletto ripiegato. Era sempre Anne
ad aggiustarglielo. Di colpo si sentì smarrito senza di lei. Cambiò posizione,
urtò per caso il piede allungato del giovane che dormiva e l’osservò
affascinato battere le ciglia e poi aprire gli occhi. Quegli occhi iniettati di
sangue sembrava avessero continuato a fissarlo anche attraverso le palpebre.”
Bompiani - Corriere della Sera, Milano 2012, pagg. 9 - 10)
I
sottintesi omosessuali del romanzo:
Guy in
treno legge e cita il gay Platone
Nell’Ottocento si citavano Autori omo nelle
conversazioni fra sconosciuti: un linguaggio cifrato per intendersi
Il protagonista del romanzo legge Platone
durante il viaggio in treno. Come racconta lo storico inglese Graham Robb nel suo libro “Sconosciuti. L’amore e la cultura
omosessuale nell’Ottocento” (Carocci, Roma 2005, titolo originale “Strangers. Homosexual Love in the 19th
Century”, 2003), che curiosamente s’intitola come il nostro film, nelle
conversazioni fra appunto persone che non si conoscevano ancora era d’uso
citare parole magiche come “Socrate” od autori classici come Platone od altre
parole-chiave per capire, con questo linguaggio comune, se l’altro era gay: “La cultura comune a uomini e donne gay era
uno strumento vitale di comunicazione” (pag. 157 e sgg).
Il legame
morboso/platonico di Bruno:
benché Guy
non sia suo amico,
egli lo
ama “come un caro fratello”!
LEGAME MORBOSO. Una scena di "Nodo alla gola" di Alfred Hitchcock, da noi visto al Cineforum del "Guado": un caso di "folie à deux". |
Ed infatti, benché Guy non voglia fare
amicizia con lui, Bruno svilupperà un legame morboso con lui: un legame,
appunto, “platonico”. Dapprima, Bruno si firmerà nelle sue lettere “il suo
amico” (pag. 49) e poi “il tuo amico e ammiratore” (pag. 106), poi, quando Guy
mette in chiaro il suo disinteresse in una lettera (“non comprendo la sua
lettera e, di conseguenza, il suo interesse per me. Io la conosco molto poco,
ma abbastanza per essere sicuro che non abbiamo nulla in comune su cui basare
la nostra amicizia”, pag. 115), Bruno “cominciò a piangere”: “si sentiva
avvilito come se fosse scomparsa una persona cara” (pag. 116). E poi: “Non c’è nulla che non farei per lui! Mi sento
molto legato a Guy, come a un fratello!” (pag. 267).
Ma Guy, ad un certo punto, si rende conto
di essere consimile a Bruno: “era come Bruno. Non ne aveva avuto la sensazione
di quando in quando e, come un vigliacco, non aveva mai voluto ammetterlo? Non sapeva
che Bruno era come lui? E perché dunque Bruno gli era piaciuto? Amava Bruno.
Bruno aveva preparato ogni centimetro della strada per lui, e tutto sarebbe
andato bene perché tutto andava bene a Bruno. Il mondo era fatto per la gente
come Bruno” (pag. 156).
Il passo: “Bene
e male coesistono nello stesso individuo"
di PATRICIA
HIGHSMITH
“Pensò a sua madre e sentì che non le
avrebbe più potuto permettere di abbracciarlo. Rammentava che lei gli aveva
detto che tutti gli uomini sono buoni perché tutti hanno un’anima, e l’anima è
buona. Il male, diceva, viene sempre dall’esterno. E questo lui aveva sempre
creduto, anche quando avrebbe voluto uccidere Steve, l’amante di Miriam. Questo
aveva creduto anche in treno, quando avrebbe voluto leggere Platone. Dentro di
lui, il secondo cavallo della biga aveva sempre obbedito come il primo. Ma ora
pensava che l’odio e l’amore, il bene e il male, esistessero l’uno accanto all’altro
nel cuore umano, e non in proporzioni diverse in questo o quell’individuo, ma
tutto il male e tutto il bene. Bastava
cercarne un po’, dell’uno e dell’altro, per trovarlo tutto, bastava scalfire un
po’ la superficie. Tutte le cose hanno il loro opposto, a ogni decisione si
oppone una ragione, a ogni animale un altro animale che lo distrugge, il
maschio ha la femmina, il positivo il negativo. La disintegrazione dell’atomo è
la sola vera distruzione, un’infrazione alla legge universale dell’unità. Nulla
può esistere senza il suo opposto che gli è legato. Potrebbe esistere lo spazio
in un edificio senza gli oggetti che lo limitano? Potrebbe esistere l’energia
senza la materia, o la materia senza l’energia? Materia ed energia, la cosa
inerte e quella attiva, una volta considerate opposte, sappiamo ora che sono
una cosa sola.
E Bruno, lui e Bruno. Ciascuno era quello
che l’altro non aveva scelto di essere, il sé stesso che respingeva, che
credeva di odiare, ma forse in realtà amava.
Per un po’ credette d’impazzire e pensò
che anche la pazzia e il genio spesso si sovrappongono. Ma che vita mediocre
conduce la maggior parte della gente!
No, c’era quel dualismo di cui è permeata
la natura fino ai più piccoli protoni ed elettroni, nell’interno
dell’indivisibile atomo. La scienza studiava ora il modo di disintegrare
l’elettrone e forse non ci sarebbe riuscita perché dietro di esso forse c’era
solo un’idea: l’unica e sola verità, che l’opposto è sempre presente. Chi mai
sapeva se gli elettroni fossero materia o energia? Forse Dio e il Diavolo che ballano
dandosi la mano intorno a ogni singolo elettrone”
Patricia Highsmith, “Sconosciuti
in treno”, pagg. 189 - 190
Padre
Martin Luther King: ha ragione Platone
C’è
qualcosa di malvagio anche nel migliore di noi
Quando la Highsmith scrive "dentro di lui, il secondo cavallo della biga avrebbe sempre obbedito come il primo", il riferimento letterario e filosofico è al mito platonico della Biga Alata del dialogo "Fedro".
Anche Padre Martin Luther King (1929 –
1968), nell’indicare le buone ragioni del perdono cristiano, la pensava così
(cito dalla raccolta di sermoni “La forza di amare”, collana “La
scala di Giacobbe”, fondata da Aristide Vesco, edizione italiana a cura di
Padre Ernesto Balducci, SEI, Torino 1968, prima ediz. it. 1967, titolo
originale “Strength to Love”, Harper
& Row 1963): “Dobbiamo riconoscere che l’azione malvagia del vicino-nemico
non esprime mai interamente tutto ciò che egli è. Ciascuno di noi è in qualche
misura una persona schizofrenica, tragicamente divisa in sé stessa. (…) Qualcosa dentro di noi ci spinge a
concordare con Platone che la personalità umana è simile ad un cocchiere che
guida due cavalli, testardi, ciascuno dei quali vuole andare in una direzione
diversa. (…) Vi è qualcosa di buono anche nel peggiore di noi, e qualcosa
di malvagio anche nel migliore; quando ce ne rendiamo conto, siamo meno inclini
a odiare i nostri nemici” (pag. 79).
Il Mito della Biga Alata citato dalla Highsmith:
"L'Anima è come una coppia di cavalli
guidati da un Auriga..."
di PLATONE
1 [246 a] [...]
Dell’immortalità dell’anima s’è parlato abbastanza, ma quanto alla sua natura
c’è questo che dobbiamo dire: definire quale essa sia, sarebbe una trattazione che
assolutamente solo un dio potrebbe fare e anche lunga, ma parlarne secondo
immagini è impresa umana e piú breve. Questo sia dunque il modo del nostro
discorso. Si raffiguri l’anima come la potenza d’insieme di una pariglia alata
e di un auriga. Ora tutti i corsieri degli dèi e i loro aurighi [b] sono
buoni e di buona razza, ma quelli degli altri esseri sono un po’ sí e un po’
no. Innanzitutto, per noi uomini, l’auriga conduce la pariglia; poi dei due
corsieri uno è nobile e buono, e di buona razza, mentre l’altro è tutto il
contrario ed è di razza opposta. Di qui consegue che, nel nostro caso, il
compito di tal guida è davvero difficile e penoso. Ed ora bisogna spiegare come
gli esseri viventi siano chiamati mortali e immortali. Tutto ciò che è anima si
prende cura di ciò che è inanimato, e penetra per l’intero universo assumendo
secondo i luoghi forme [c] sempre differenti. Cosí, quando sia perfetta
ed alata, l’anima spazia nell’alto e governa il mondo; ma quando un’anima perde
le ali, essa precipita fino a che non s’appiglia a qualcosa di solido, dove si
accasa, e assume un corpo di terra che sembra si muova da solo, per merito
della potenza dell’anima. Questa composita struttura d’anima e di corpo fu
chiamata essere vivente, e poi definita mortale. La definizione di immortale
invece non è data da alcun argomento razionale; però noi ci preformiamo il dio,
[d] senza averlo mai visto né pienamente compreso, come un certo essere
immortale completo di anima e di corpo eternamente connessi in un’unica natura.
Ma qui giunti, si pensi di tali questioni e se ne parli come è gradimento del
dio. Noi veniamo a esaminare il perché della caduta delle ali ond’esse si
staccano dall’anima. Ed è press’a poco in questo modo.
2 La funzione naturale
dell’ala è di sollevare ciò che è peso e di innalzarlo là dove dimora la
comunità degli dèi; e in qualche modo essa partecipa del divino piú delle altre
cose che hanno attinenza con il corpo. Il divino è [e] bellezza,
sapienza, bontà ed ogni altra virtú affine. Ora, proprio di queste cose si
nutre e si arricchisce l’ala dell’anima, mentre dalla turpitudine, dalla
malvagità e da altri vizi, si corrompe e si perde. Ed eccoti Zeus, il potente
sovrano del cielo, guidando la pariglia alata, per primo procede, ed ordina
ogni cosa provvedendo a tutto. A lui vien dietro l’esercito degli dèi e dei
demoni ordinato in undici [267 a] schiere: Estia rimane sola nella casa
degli dèi. Quanto agli altri, tutti gli dèi, che nel numero di dodici sono
stati designati come capi, conducono le loro schiere, ciascuno quella alla
quale è stato assegnato. Varie e venerabili sono le visioni e le evoluzioni che
la felice comunità degli dèi disegna nel cielo con l’adempiere ognuno di essi
il loro compito. Con loro vanno solo quelli che lo vogliono e che possono,
perché l’Invidia non ha posto nel coro divino. Ma, eccoti, quando si recano ai
loro banchetti e festini, salgono [b] per l’erta che mena alla sommità
della volta celeste; ed è agevole ascesa perché per le pariglie degli dèi sono
bene equilibrate e i corsieri docili alle redini; mentre per gli altri l’ascesa
è faticosa, perché il cavallo maligno fa peso, e tira verso terra premendo
l’auriga che non l’abbia bene addestrato. Qui si prepara la grande fatica e la
prova suprema dell’anima. Perché le anime che sono chiamate immortali, quando
sian giunte al sommo della volta celeste, si spandono fuori e si librano sopra
il dorso del cielo: e l’orbitare del cielo le trae attorno, cosí librate, ed
esse [c] contemplano quanto sta fuori del cielo.
3 Questo sopraceleste
sito nessuno dei poeti di quaggiú ha cantato, né mai canterà degnamente. Ma
questo ne è il modo, perché bisogna pure avere il coraggio di dire la verità
soprattutto quando il discorso riguarda la verità stessa. In questo sito dimora
quella essenza incolore, informe ed intangibile, contemplabile solo
dall’intelletto, pilota dell’anima, quella essenza che è scaturigine della [d]
vera scienza. Ora il pensiero divino è nutrito d’intelligenza e di pura
scienza, cosí anche il pensiero di ogni altra anima cui prema di attingere ciò
che le è proprio; per cui, quando finalmente esso mira l’essere, ne gode, e
contemplando la verità si nutre e sta bene, fino a che la rivoluzione circolare
non riconduca l’anima al medesimo punto. Durante questo periplo essa contempla
la giustizia in sé, vede la temperanza, e contempla la scienza, ma non quella [e]
che è legata al divenire, né quella che varia nei diversi enti che noi
chiamiamo esseri, ma quella scienza che è nell’essere che veramente è. E quando
essa ha contemplato del pari gli altri veri esseri e se ne è cibata, s’immerge
di nuovo nel mezzo del cielo e scende a casa: ed essendo cosí giunta, il suo
auriga riconduce i cavalli alla greppia e li governa con ambrosia e in piú li
abbevera di nettare.
4 [248 a] Questa
è la vita degli dèi. Ma fra le altre anime, quella che meglio sia riuscita a
tenersi stretta alle orme di un dio e ad assomigliarvi, eleva il capo del suo
auriga nella regione superceleste, ed è trascinata intorno con gli dèi nel giro
di rivoluzione; ma essendo travagliata dai suoi corsieri, contempla a fatica le
realtà che sono. Ma un’altra anima ora eleva il capo ora lo abbassa, e subendo
la violenza dei corsieri parte di quelle realtà vede, ma parte no. Ed eccoti,
seguono le altre tutte agognanti quell’altezza, ma poiché non ne hanno la
forza, sommerse, sono spinte qua e là e cadendosi addosso si calpestano a
vicenda nello sforzo di sopravanzarsi l’un l’altra. Ne conseguono [b]
scompiglio, risse ed estenuanti fatiche, e per l’inettitudine dell’auriga molte
rimangono sciancate e molte ne hanno infrante le ali. Tutte poi, stremate dallo
sforzo, se ne dipartono senza aver goduto la visione dell’essere e, come se ne
sono allontanate, si cibano dell’opinione. La vera ragione per cui le anime si
affannano tanto per scoprire dove sia la Pianura della Verità è che lí in quel
prato si trova il pascolo congeniale alla parte migliore dell’anima [c]
e che di questo si nutre la natura dell’ala, onde l’anima può alzarsi. Ed ecco
la legge di Adrastea. Qualunque anima, trovandosi a seguito di un dio, abbia
contemplato qualche verità, fino al prossimo periplo rimane intocca da dolori,
e se sarà in grado di far sempre lo stesso, rimarrà immune da mali. Ma quando
l’anima, impotente a seguire questo volo, non scopra nulla della verità,
quando, in conseguenza di qualche disgrazia, divenuta gravida di smemoratezza e
di vizio, si appesantisca, e per colpa di questo peso perda le ali e precipiti
a terra, allora la legge vuole che questa anima non si trapianti in alcuna
natura ferina [d] durante la prima generazione; ma prescrive che quella
fra le anime che piú abbia veduto si trapianti in un seme d’uomo destinato a
divenire un ricercatore della sapienza e del bello o un musico, o un esperto
d’amore; che l’anima, seconda alla prima nella visione dell’essere s’incarni in
un re rispettoso della legge, esperto di guerra e capace di buon governo; che
la terza si trapianti in un uomo di stato, o in un esperto d’affari o di
finanze; che la quarta scenda in un atleta incline alle fatiche, o in un
medico; che la [e] quinta abbia una vita da indovino o da iniziato; che
alla sesta le si adatti un poeta o un altro artista d’arti imitative, alla
settima un operaio o un contadino, all’ottava un sofista o un demagogo, e alla
nona un tiranno.
5 Ora, fra tutti
costoro, chi abbia vissuto con giustizia riceve in cambio una sorte migliore e
chi senza giustizia, una sorte peggiore. Ché ciascuna anima non ritorna al
luogo stesso da cui era partita prima di diecimila anni – giacché non
mette ali in un tempo minore – tranne [249 a] l’anima di chi ha
perseguito con convinzione la sapienza, o di chi ha amato i giovani secondo
quella sapienza. Tali anime, se durante tre periodi di un millennio hanno
scelto, sempre di seguito, questa vita filosofica, riacquistano per conseguenza
le ali e se ne dipartono al termine del terzo millennio. Ma le altre, quando
abbiano compiuto la loro prima vita, vengono a giudizio, e dopo il giudizio,
alcune scontano la pena nelle prigioni sotterranee, altre, alzate dalla
Giustizia in qualche sito celeste, ci vivono cosí come hanno meritato dalla
loro vita, passata in forma umana. [b] Allo scadere del millennio,
entrambe le schiere giungono al sorteggio e alla scelta della seconda vita;
ciascuna anima sceglie secondo il proprio volere: è qui che un’anima può
passare in una vita ferina e l’anima di una bestia che una volta sia stata in
un uomo può ritornare in un uomo. Giacché l’anima che non abbia mai visto la
verità non giungerà mai a questa nostra forma. Perché bisogna che l’uomo comprenda
ciò che si chiama Idea, passando da una molteplicità di sensazioni ad una unità
organizzata dal [c] ragionamento. Questa comprensione è reminiscenza
delle verità che una volta l’anima nostra ha veduto, quando trasvolava al
seguito d’un dio, e dall’alto piegava gli occhi verso quelle cose che ora
chiamiamo esistenti, e levava il capo verso ciò che veramente è. Proprio per
questo è giusto che solo il pensiero del filosofo sia alato, perché per quanto
gli è possibile sempre è fisso sul ricordo di quegli oggetti, per la cui
contemplazione la divinità è divina. Cosí se un uomo usa giustamente tali
ricordi e si inizia di continuo ai perfetti misteri, diviene, egli solo,
veramente perfetto; e [d] poiché si allontana dalle faccende umane, e si
svolge al divino, è accusato dal volgo di essere fuori di sé, ma il volgo non
sa che egli è posseduto dalla divinità. [...]
(Platone, Opere, vol. I, Laterza,
Bari, 1967, pagg. 752-758)
“La gente, i sentimenti, tutto! Tutto è duplice! Vi sono due esseri in ogni individuo. C’è anche una persona che è esattamente l’opposto di lei, come la parte di lei che non si vede, in qualche posto del mondo, e che la sorveglia, in agguato.” Lo divertiva ripetere le parole di Guy, benché non gli fosse piaciuto udirle, ricordò, perché Guy aveva detto che le due personalità erano anche nemiche mortali, e aveva intesi alludere alle due diverse personalità che c’erano in lui e in sé stesso.”
Patricia Highsmith, “Sconosciuti
in treno”, op. cit., pagg. 268 – 269
“Le leggi della società sono lievi in confronto a quelle
della coscienza. (…) Aveva scoperto Dio, man mano che andava rivelandosi il suo
talento, in quel senso di unità che hanno tutte le arti, e poi nella natura, e
infine nella scienza…e in tutte le forze creative e ordinate del mondo. Era
convinto che non avrebbe potuto lavorare nella sua professione senza credere in
Dio. E dov’era questa fede quando aveva assassinato? Lui aveva abbandonato Dio,
ma Dio non aveva abbandonato lui.”
Patricia Highsmith, “Sconosciuti
in treno”, op. cit., pag. 187
Il Tema
del Doppio (Doppelgänger),
da Platone a Freud, dalla Highsmith ad Hitchcock...
Nel film viene reso
col montaggio parallelo
Pel padre della psicanalisi e gli allievi è l’Es (gl’istinti
antisociali) o l’Inconscio (il rimosso o le paure) o l'Ombra (Jung)
Una scena da un remake del film di Hitchcock. |
Per il filosofo greco Platone, come per la scrittrice Patricia Highsmith (1921 - 1995), per il cattolico Hitchcock (1899 – 1980) come per l’ateo Freud (1856 – 1939), l’essere umano è doppio, cioè ha un lato
oscuro, che nel caso
dello psicanalista austriaco è detto “Es” oppure “Inconscio (o subconscio)”. La
duplicità, la doppiezza, caratterizza il rapporto fra i due protagonisti,
accomunati da un desiderio che, a livello profondo, è lo stesso per entrambi:
sbarazzarsi di qualcuno che ostacola la loro vita.
Secondo Robin Wood (“Hitchcock’s Films
Revisited”, Columbia University, New York 1989), “il complesso e sconcertante
senso morale di Hitchcock, in cui il bene e il male sembrano essere così
strettamente intessuti da risultare praticamente inseparabili (…) insiste
sull’esistenza d’impulsi malvagi in ognuno di noi” e la sua opera ci rende
“consapevoli, anche se forse solo a un livello inconscio (dipende dallo
spettatore), dell’impurità dei nostri stessi desidéri”.
L’inconscio, diceva il padre della
psicanalisi, tratta le parole come cose: è esattamente quello che fa Bruno
rispetto alla frase di Guy (“vorrei spezzare quel suo collo di serpente
velenoso”, grida nell’ira riferendosi a Miriam). E così, dopo l’omicidio, Guy si sente complice e colpevole, come
confesserà ad Ann. Scrive la Highsmith: “si rese conto che desiderava
proteggere Bruno come se si fosse trattato di sé stesso, come se il colpevole
fosse stato lui” (pag. 142).Un musical a Londra (2014). Foto di Lele Jandon. |
Bruno, dal quale sprigiona il fascino ambiguo
dei malvagi che non si pentono nemmeno in punto di morte, è il DOPPIO di Guy: il suo “Mr Hyde” (per citare il capolavoro dello
scrittore gay scozzese Robert Louis Stevenson, 1850 - 1894), la parte ove
albergano odio e distruttività (Bruno non mostra alcuna tenerezza nemmeno per i
bambini: fa scoppiare un palloncino ad un ragazzino, e tratta con ironia
persino la madre, l’unica persona alla quale appare legato da un rapporto
edipico e quindi morboso).
Dice Truffaut nel suo libro-intervista ad
Hitchcock: “Come per “L’ombra del dubbio”
(“Shadow of a Doubt”, il thriller di Hitchcock del 1943, ndr) “il film è sistematicamente costruito
sul numero due e, anche qui, i due protagonisti potrebbero benissimo
chiamarsi con lo stesso nome, Guy o Bruno, perché si tratta chiaramente di un
solo personaggio diviso in due” (pag. 166)
Il titolo italiano, “L’altro uomo”, riprede le parole della voce off che s’ascolta
mentre scorrono le prime inquadrature. Sin
dall’inizio del film si stabilisce un parallelo fra Bruno e Guy: il montaggio
alternato, che mostra ora l’uno ora l’altro, è la struttura di base intorno
alla quale s’articola tutta la narrazione. Nel finale, proprio grazie al
montaggio parallelo la suspence
raggiunge il suo vertice: all’incontro di tennis disputato da Guy fa da
controcanto il tragitto di Bruno verso il luna park, in un’affannosa,
elettrizzante, intensissima corsa contro il tempo.
Il tema del "doppio" (a partire
da un noto film dell’epoca, “Lo studente
di Praga”) è stato studiato da Otto
Rank (Vienna 1884 – New York 1939, delle cui ricerche sulla creatività parlo nel mio articolo http://lelejandon.blogspot.it/2013/12/il-segreto-della-felicita-e-la.html),
allievo di Sigmund Freud (1856 - 1939), nella sua opera Il doppio
(Der Doppelgänger) del 1914: quando riaffiora il nostro “doppio”, emerge
il rimosso (l'Es, l’Inconscio, la parte sconosciuta di sé) e l’Io (la parte di noi che cerca di conciliare il Super-Io e l'Es) viene
sopraffatto dall’angoscia.
Il suo maestro riprenderà il concetto del
doppio di Rank nel suo saggio sul Perturbante (1919), istituendo
la celebre contrapposizione heimlich/unheimlich, familiare ed
estraneo (tradotto in italiano con l’espressione “perturbante”, intorno a cui
ha scritto un saggio lo psicanalista Aldo Carotenuto.
Anche un altro allievo di Freud, lo
psicanalista Carl Gustav Jung (1875
– 1861), parla di doppio, anche se usa la parola “ombra”: ciascuno di noi ha
una personalità uno (fondata sull’Io) ed una personalità due (fondata sul sé).
Ci sono almeno due scrittori gay che hanno trattato il tema del doppio nei loro capolavori: Oscar Wilde ne "Il ritratto di Dorian Gray" e Robert Louis Stevenson ne "Lo strano caso del dottor Jeckyll e di Mr Hide". Dorian (di cui ci sono numerose versioni cinematografiche) è scisso, diviso fra bene e male (che nasconde in soffitta assieme al proprio ritratto, specchio della sua anima, di cui infine prova disgusto e che frantuma, autodistruggendosi). Il tema del doppio lo ritroviamo in “Uno nessuno e centomila” e nel “Fu Mattia Pascal” di Pirandello, nel “Sosia”
di Dostoevskij e nel film “Fight Club”
con Brad Pitt.
Rank osserva che, presso alcune
popolazioni primitive, il timore di ritratti e fotografie è dovuto alla
convinzione che l'immagine dell'uomo sia, di fatto, la sua anima e che potrebbe essere danneggiata da chi se ne
impadronisse. La lingua tedesca ha una parola specifica, doppelgänger,
per indicare il sosia, il doppio, la dualità dell’essere:
etimologicamente, il vocabolo è composto da doppel (“doppio”) e ganger
(“che se ne va”) ed è più comunemente identificato, nella cultura tedesca, con
la figura del “gemello maligno”.
La letteratura ha spesso descritto il doppelgänger,
la controparte spettrale che alberga nell’animo umano, sopita e minacciosa, con
un connubio di fascino e irrimediabile malignità.
L’autrice del libro “Confessioni di una sociopatica” (che analizzeremo più avanti)
paragona una donna con cui ebbe una relazione proprio come “una specie di
doppio”, il suo “alter ego” (pag.
248).
La dualità
dell’Essere come condizione di possibilità del Bene:
senza un lato oscuro non saremmo liberi di scegliere
senza un lato oscuro non saremmo liberi di scegliere
Di questa presunta duplicità dell'animo umano si può dare una interpretazione
hegeliana, cioè ispirata al filosofo luterano Hegel (1770 – 1831) il quale vede nel bilanciamento degli opposti e nel
superamento (Aufheben) delle
contraddizioni la verità ed autenticità: il vero è l’intero. In tale ottica, l’esistenza di due componenti in noi, una orientata al bene, ed un lato oscuro, sono la condizione di possibilità del bene. Altrimenti non saremmo liberi di scegliere fra il bene ed il male. Contro il pessimista Agostino (secondo cui l'uomo appare capace soprattutto di cadere nel male) scriveva il monaco di origine britannica Pelagio (360 - 420) nella sua "Lettera a Demetriade", il suo testo più famoso:
"Non vi sarebbe alcun merito nel perseverare nel bene, se l'uomo non avesse anche la facoltà di compiere il male. Per cui è un bene che possiamo commettere anche il male, perché ciò rende più bella la scelta di fare il bene"
Il
Fascino Pericoloso dei Sociopatici:
come
riconoscerli, come evitarli
“I più furbi di noi non usano violenza fisica”:
i passi dal libro di un’anonima Prof
i passi dal libro di un’anonima Prof
“Sono una sociopatica.
Grazie a un mix di fattori genetici e ambientali, soffro di quello che oggi gli
psicologi chiamano “Disturbo antisociale della personalità”, caratterizzato,
secondo il DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder), da costante “disprezzo e violazione dei
diritti degli altri”, assenza di rimorso, tendenza a mentire e incapacità di
adeguarsi alle norme sociali.”
M.E. THOMAS (pseudonimo), “Confessioni di una sociopatica”
Marsilio, Venezia 2013, pag. 17
“Qualcuno crede che i
sociopatici incarnino un po’ il prototipo del prepotente. In realtà i sociopatici più intelligenti sanno
benissimo che la violenza è sempre controproducente. I sociopatici non
opprimono gli altri: li blandiscono. I prepotenti si fanno sempre dei
nemici; i sociopatici sanno che conviene molto di più farsi degli amici”
“Confessioni di una
sociopatica”, pag. 218
IL LIBRO APPENA USCITO. |
Il film che vedremo domenica al Cineforum Gay del
“Guado” ci dà occasione di unire l'utile al dilettevole e fare un altro approfondimento d'interesse sociale:
la figura del sociopatico.
Una donna sociopatica (dapprima
autodiagnosticata, poi riconosciuta tale da un esperto citato per nome e cognome) che nel 2008 ha fondato un blog, SociopathWorld.com,
visitato da un milione di persone (con FAQ come “i sociopatici sanno di
esserlo?” oppure “come rompere una relazione con un sociopatico”: ne parla a pag.
34 del suo libro), ha pubblicato con uno pseudonimo il libro “Confessioni di una sociopatica”, di cui
leggeremo vari passi per cercare di capire come possiamo riconoscere questo
genere di soggetti, e magari evitarli.
La donna appartiene alla chiesa mormona ( come tutti i mormoni ha studiato alla Brigham Young University, è un’ex
avvocatessa che ha lasciato per “noia” la professione, ed ora è una libera
docente brillante adorata (con una specie di “culto della personalità”) dai suoi studenti in un ateneo “non di primissimo piano”.
La sociopatia è un disturbo della
coscienza sociale, che colpisce dall’1 al 4 per cento della popolazione, il 20
per cento dei detenuti e (secondo Robert Hare, il 4% dei dipendenti delle
grandi aziende americane) e, secondo la Thomas, moltissimi avvocati, specie
quelli disposti a difendere coloro i quali han commesso i crimini più atroci
(ma non fornisce i dati).
Secondo Piero Petrini, direttore della
Scuola dell’accademia di psicoterapia psicoanalitica e responsabile del Centro
per i disturbi della personalità dell’Ospedale San Camillo di Roma,
interpellato dalla rivista “Mente e
Cervello” (n. 108, anno XI, dicembre 2013, pag. 46), “secondo le
statistiche i sociopatici sarebbero all’incirca il 3 per centro della popolazione maschile e l’1 per cento di quella
femminile: una differenza che forse dipende anche dal fatto che si tende ad
assimilare la sociopatia alla violenza fisica, trascurando le altre possibili
forme in cui si esprime”.
Ed infatti, il soggetto in questione che
ci fornisce la sua testimonianza (ma non dimentichiamo che una caratteristica
dei sociopatici è proprio mentire, quindi è lecito diffidare che sia tutto vero
ciò che racconta di sé) è proprio una donna che preferisce evitare di
commettere violenza, ma solo per evitare di andare in prigione, non per ragioni
di principio o di empatia.
“Posso
anche comportarmi bene, ma solo per interesse. So anche mostrarmi tollerante,
ma non per un ragionamento morale…Il sesso? Un fast food, come una scimmia bonobo”
“Sono un mostro? Preferisco
pensare che io e voi occupiamo due posti diversi nell’ampio spettro di colori
dell’umanità. (…) La mancanza di
approccio emotivo ci rende più razionali e tolleranti. E anche se non abbiamo
alcuna spinta morale per comportarci in maniera corretta, possiamo farlo – e lo
facciamo- per perseguire i nostri interessi. E’ un po’ quello che càpita
con le grandi aziende o le multinazionali. (…) Penso al sociopatico come alla versione umana della scimmia bonobo: fa
un sesso frequente, casuale e utilitaristico. L’ambiguità di fondo nella
sfera sessuale è uno dei tratti che meglio ci aiutano a capire la psicologia
del sociopatico. Non a caso in passato
la sociopatia fu ritenuta un disturbo strettamente connesso all’omosessualità
o ad altri comportamenti sessuali all’epoca considerati “anormali”
Il riconoscimento di essere una
sociopatica proviene dalla lettura di un libro di uno psichiatra che reca come
esempio proprio una donna che, come lei, è insegnante di religione alla sua
chiesa mormona ed omosessuale (benché la Thomas non si riconosca in un preciso
orientamento):
“Iniziai
a leggere un libro che trovai integralmente disponibile online, scritto dal
padre del concetto moderno di psicopatia, il dottor Hervey Cleckey. Nel suo pionieristico libro “La maschera
della sanità”, pubblicato per la prima volta nel 1941, Cleckey illustrava il
profilo di una personalità che definiva “psicopatica”, ma per cui oggi si
preferisce comunemente il termine “psicotico” o “sociopatico”. (…) Secondo
Cleckey, gli psicotici sarebbero
soggetti antisociali che eccellono nel sembrare sociali (…) Lo psicotico di Cleckey è non solo
affascinante e brillante. E’ un maestro di retorica, ed è imperturbabile,
capace di mantenere la calma anche sotto pressione. Dietro la sua “maschera di
sanità”, tuttavia, è un mentitore, un
manipolatore, una persona che non tiene mai in conto i suoi obblighi, senza alcun senso di responsabilità.
(…) In più di mezzo secolo di vita, non
ho mai letto una descrizione tanto precisa del mio lato sociopatico.”
“Confessioni
di una sociopatica”, pagg. 48 - 49
“E’ come
scoprirsi gay: grazie alla mia amica lesbica mi sono documentata sul grande
classico del dr. Cleckey (1941)”
Nel suo libro, la Thomas racconta di una
sua amica gay (l’esatto opposto di lei in quanto ad intelligenza emotiva) che
le suggerì che poteva essere sociopatica: lei le è ancora grata perché così ha
scoperto sé stessa.
“Non sapevo allora cosa fosse un
“sociopatico” né sospettavo minimamente che lo potessi essere io, finché (…)
una mia compagna avanzò questa possibilità. (…) Mi domandò se avessi mai preso
in considerazione l’idea di essere sociopatica. Ero veramente felice che ci
fosse una parola per definirmi, che non fossi io la sola a essere fatta così.
Dev’essere un sentimento simile a quello che prova chi scopre di essere gay:
dentro di sé, l’aveva sempre saputo”
Ciò che c’insegna questo libro da poco
uscito in libreria è che un sociopatico non adotta necessariamente modalità
criminali (come nel film di Hitchcock): può essere un imprenditore od un
politico di successo nel lavoro (ma non nelle relazioni umane).
Il passo-choc: “Ops, mi
ero scordata di non avere un Io:
non riesco a diventare normale”
“Non conta avere una
morale. L’importante è avere un’etica. La mia bussola morale artificiale
funziona bene, e la maggior parte delle volte mi porta a seguire ciò che la
maggioranza delle persone ritiene sia la cosa giusta da fare”
“Confessioni di una
sociopatica”, pag. 165
“Mi ero convinta di
essere una persona sensibile. Fingere di conformarmi alle aspettative sociali
era diventato così facile che avevo dimenticato che stavo fingendo”
“Confessioni di una
sociopatica”, pag. 175
UN CLASSICO della PSICHIATRIA. |
Questo sopra citato è uno dei passi più
scioccanti del libro. Attraverso il raffronto con una compagna, la Thomas
riconoscere di non avere una personalità:
“Al college incontrai una ragazza (…)
una di quelle persone buone di natura (…) provavo a copiarla, come se quel suo
delicato equilibrio di fascino e tenerezza fosse stato qualcosa di costruito
(…) ma la verità era un’altra: il suo modo d’essere era il risultato di mille
cause…una ricetta che non si poteva ricreare a tavolino. Era fatta così, non
fingeva. Lo so perché lessi di nascosto le se lettere private e il suo diario,
nel tentativo di capire e di far miei tutti i suoi segreti. Risultato: un bel
giorno mi colse in flagrante. Da quel momento non volle più frequentarmi né
parlarmi, e lo stesso fecero tutti i miei compagni” (pagg. 173 - 174).
Il sociopatico, dice Howard Kamler,
professore della California State University-Northridge, è privo di un Io: di
un’identità.
Come riconoscerli:
“Erosione
empatica, simulazione, asocialità,
sesso casuale usa-e-getta”:
sesso casuale usa-e-getta”:
verso un
destino di autodistruzione…
Platone: tipico del Tiranno è essere senz’amici
E al “Guado”, prima del film, faremo il Test…
“Sembra esserci
qualche collegamento tra l’empatia e la capacità di comprendere il sarcasmo.
(…) Io, per esempio, il sarcasmo non lo capisco mai, al punto che chiunque mi
sta intorno rimane interdetto”
“Confessioni di una
sociopatica”, pag. 241
LE CARATTERISTICHE dei SOCIOPATICI. |
Ecco le caratteristiche (cfr. pagg. 172 –
174 de “La scienza del male” di Simon
Baron-Cohen, Raffaello Cortina editore, Milano 2011, titolo originale americano
“The Science of Evil”, USA 2011):
- inosservanza
e violazione delle norme sociali, cioé distruttività e violenza:
“compiere atti che sono puniti con l’arresto”
- cinismo e mancanza d’interesse per gli
altri: la Thomas dice
“chiacchierare con la gente non mi piace per niente” (Thomas, pag. 222) e
racconta di tenersi pronta degli aneddoti curiosi “per sedurre e intrattenere” durante i ricevimenti
- megalomania, idee fisse, ossessioni (Thomas, pag. 9)
- egocentrismo patologico e incapacità di
amare (Thomas, pag. 50):
punti simili ad un altro disturbo della personalità, il narcisismo
- mancanza di comprensione (“insight”)
nei confronti degli altri (pag. 9,
cfr. Simon Baron-Cohen, pag. 57): mentre i normali sono capaci di sintonizzarsi
automaticamente sui segnali emotivi degli altri, leggendo inconsciamente il body language, i sociopatici sono
costretti ad un faticoso sforzo cognitivo e, in caso di emozioni forti, si
danno alla fuga (Thomas, pag. 231)
- fascino superficiale, atteggiamento
manipolativo (ad esempio
con la tecnica che la psicologa Martha Stout chiama del “pity play”: farsi giuoco degli altri creando compassione), pag. 49
(cfr. Simon Baron-Cohen, cit., pag. 57)
- abitudine a mentire, uso di nomi falsi: disonestà, simulazione, camaleontismo,
tendenza ad indossare “la maschera giusta per ogni occasione” (come dice il
titolo del grande classico del dr. Hervey Cleckey, “The mask of Sanity”, del 1941), pag. 49
CUORI SPEZZATI. I sociopatici lasciano dietro di sé una lunga scia di cuori spezzati. |
- inaffidabilità (Thomas, pag. 49): la Thomas racconta
dei suoi rimborsi gonfiati e del proprio licenziamento dal suo passato lavoro (pag.
223)
- inosservanza della sicurezza propria e
altrui (esempio: sesso non protetto e irresponsabile).
- mancanza di rimorso: indifferenza per aver ferito,
maltrattato o derubato qualcuno e razionalizzazione dell’avere ferito,
maltrattato o derubato qualcuno
- incapacità di creare legami emotivi
duraturi (cfr. Simon
Baron-Cohen, cit., pag. 57): vorrei far notare che già il filosofo greco antico
Platone, nel suo dialogo “Politéia”
aveva indicato nell’assenza di amici una delle caratteristiche del tiranno
- vita sessuale casuale, impersonale: la Thomas paragona il suo stile di vita
sessuale a quello di una “scimmia
bonobo” che considera il sesso come un “fast
food” o “una caccia” o “un equivalente emotivo di un massaggio” (pagg. 270
– 271)
- immunità dalla depressione (pag. 30)
- assenza di obiettivi realistici e a lungo
termine (pag. 50)
Guida per
i Genitori di Teenagers turbolenti:
“Per un adulto non è
tanto ovvio pensare che esistano bambini sociopatici…”
“Confessioni di una
sociopatica”, pag. 119
Se tutti i sociopatici sono stati bambini
antisociali, non tutti i bambini antisociali divengono sociopatici. E allora
ecco i criteri per i genitor: se sussistono tre o più elementi nei 12 mesi
precedenti alla vostra diagnosi fai-da-te, allora vostro figlio è disturbato:
1)
aggressione
a persone o animali:
–
minacce,
intimidazioni o atti di bullismo verso altre persone
–
scatenamento
di zuffe
–
uso
di un’arma che può provocare seri danni fisici (un bastone, una bottiglia
rotta, un coltello o una pistola)
–
crudeltà
fisica verso persone e/o animali
–
furto
in presenza della vittima (rapina, scippo, estorsione, rapina a mano armata)
–
costrizione
a rapporti sessuali
2)
distruzione
di proprietà:
-appiccamento
d’incendi con l’intenzione di causare seri danni
-distruzione
deliberata di proprietà altrui
3)
truffa o furto:
-
intrusione nella casa o nell’auto di qualcun altro
-
mentire per ottenere vantaggi o favori o per evitare obblighi (raggirare gli
altri)
-
rubare (per esempio, taccheggio, contraffazione)
4)
gravi
violazioni di norme:
-
restare
fuori la notte contro la proibizione dei genitori, a partire da prima di aver
compiuto i tredici anni
-
allontanarsi
di casa di notte
-
assenze
ingiustificate da scuola, a partire da prima di aver compiuto i tredici anni
Due esempi di sociopatici portati al
cinema sono il personaggio di Norman Bates interpretato da Anthony Perkins nel
capolavoro “Psycho” del Premio Oscar
Alfred Hitchcock e quello dello yuppie di
Wall Street di “American Psycho”
interpretato dal Premio Oscar Christian Bale.
Le radici
intrafamiliari: genitori anaffettivi
La
sociopatica conferma: “desideravo uccidere mio padre”, come Bruno del film
Tale incapacità di legarsi ha una componente ereditaria
(per malfunzionamento del cervello limbico)
E la Teoria di Bowlby predice effetti transgenerazionali
E la Teoria di Bowlby predice effetti transgenerazionali
“Posto che esiste, nella
mia storia familiare, una certa propensione ai problemi emotivi, penso che la
mia predisposizione genetica alla sociopatia abbia ricevuto parecchi stimoli.
Io, per esempio, non ho mai potuto imparare a fidarmi di qualcuno. In
particolare, l’instabilità emotiva dei miei genitori m’insegnò che, per
ricevere protezione, non potevo fare affidamento su nessuno, e che perciò
dovevo dipendere solo da me stessa”
“Confessioni di una
sociopatica”, pag. 93
“La diagnosi di
psicopatia si deve concentrare su un concetto chiave, la malvagità innata (…)
Lo psicotico non può redimersi; è un soggetto pericoloso che si pone per natura
al di fuori della società, e perciò dev’essere isolato o bandito”
Karen Franklin, ricercatrice in Etica della Psicologia
giuridica
Nel suo libro “La scienza del male” (Raffaello Cortina editore, Milano 2011,
titolo originale americano “The Science
of Evil”, USA 2011), Simon
Baron-Cohen, professore di Psicopatologia dello Sviluppo a Cambridge, in
Gran Bretagna, illustra la sua teoria dell’empatia: noi tutti ci troviamo in
uno spettro dell’empatia, che va da un massimo ad un minimo. Il grado zero-negativo
di empatia lo hanno il comune i borderlines
(come Marylin Monroe), i narcisisti e, appunto, gli psicopatici (o sociopatici):
i tipi B, i tipi N ed i tipi P. A
livello cerebrale, il circuito dell’empatia è ridotto nei soggetti al grado
zero. Il grande scienziato ebreo fa partire la sua ricerca dalla Shoah: “come
possono gli esseri umani trattare gli altri come oggetti? Come possono spegnere
i loro naturali sentimenti di compassione per un altro essere umano che
soffre?” (pag.2).
GLI ESPERIMENTI SULLE SCIMMIE SENZA MAMME. Harry Harlow con una delle sue cavie: le scimmie fatte crescere contronatura, senza l'affetto della madre, divengono aggressive. |
E menziona anzitutto John Bowlby, psicanalista e psichiatra infantile alla Tavistock
Clinic di Londra ha sviluppato la sua teoria sull’attaccamento (cfr. Simon
Baron-Cohen, “La scienza del male”,
Raffaello Cortina Editore, Milano 2012, pagg. 59 - 61) nel suo libro “Forty-four Juvenile Thieves” (1944) in
cui cercava nella deprivazione genitoriale le radici della delinquenza
giovanile, prendendo in esame 44 giovani psicopatici anaffettivi: fiducia ed
amore (attaccamento primario sicuro) sono fondamentali per lo sviluppo del
cervello, senza di essi i danni cerebrali sono “quasi irreversibili”. A
Cambridge, lo psicologo Harry Harlow
(1905 - 1981, dell’Università del Wisconsin) ha svolto esperimenti (oggi eticamente
discutibili) sulle scimmie fatte crescere senza madre e così divengono
aggressive. La teoria dell’attaccamento di Bowlby è “straordinaria perché
predice effetti transgenerazionali” (Baron-Cohen, cit., pag. 61).
Ebbene, la famiglia della Thomas è
disfunzionale: i genitori hanno un “amore incostante”, che non la fa sentire
protetta (pag. 88), le fanno pesare ogni sua debolezza. Un giorno, i genitori
(un po’ come nel film “Mamma ho perso
l’aereo”) “dimenticano” lei ed il fratello (che anch’esso crescerà
disturbato) al parco (pagg. 80 – 81).
LA MASCHERA di PSYCHO. Una scena del film "American Psycho", con protagonista Christian Bale. |
Il padre pare interessato soltanto alla
propria immagine pubblica, la picchia (pag. 168), senza che lei ne capisca il
senso e ciò non fa che accrescere il suo odio ed una “rabbia freddissima”. Un’altra
volta, lei si chiude in bagno ed il padre sfonda la porta pur sapendo di
ferirsi la mano (pag. 103). Infatti, proprio
come il personaggio di Bruno del film “Sconosciuti
in treno” di Hitchcock, anche lei odia suo padre e come lui sogna di
ucciderlo:
“Il primissimo sogno ricorrente che
riesco a ricordare era di ucciderlo a mani nude, e quelle scene di violenza
erano sempre incredibilmente eccitanti: io che gli sbattevo una porta in testa
dieci, cento, mille volte, con un sorriso malefico, finché non cadeva a terra,
immobile”
M. E. Thomas, “Confessioni
di una sociopatica”, pag. 85
“Spesso i sociopatici sono stati abbandonati o trascurati da bambini, dal
punto di vista materiale o anche solo da quello emotivo”, dichiara Pietro Perini a “Mente e cervello” (pag. 51). “La sociopatia ha una forte componente ereditaria, e sono
ragionevolmente sicura che sia legata ad un malfunzionamento cerebrale.
Possiamo dire che in questi soggetti le
aree del cervello connesse all’attaccamento, come il sistema paralimbico,
funzionano meno rispetto alle persone normali”, dice Martha Stout alla stessa rivista di psicologia e neuroscienze.
PREMIO OSCAR. Il Premio Oscar Christian Bale nel film "American Psycho". |
Intanto, Jean Decety, neurobiologo dell’University
of Chicago, sta studiando perché le aree del cervello prefrontale dorsolaterale e prefrontale ventromediale (che
elaborano il giudizio morale) non funzionino nella mente dei sociopatici che
non sentono mai né disagio né disgusto dinanzi ad atti contro la società.
“Sono come
un virus, come uno squalo, come un predatore, un’orca assassina, come un topo
che divora gli uccelli, come Achille la Bestia”: così la sociopatica descrive
sé stessa e la propria disumanità
“Schadenfreude e Volontà di Potenza”
La sua è una Wille zur Macht, per
usare le parole di un’altra persona disturbata, lo scrittore Nietzsche (1844 –
1900), una volontà di potenza che nasce dal rapporto malato col padre: “tutto
ciò che imparai sul potere, l’ho imparato da mio padre. Gran parte del nostro
rapporto consisteva in una sottile lotta per il potere” (pag. 99): “siamo tutti
in lotta per il potere!” (pag. 153). Così descrive la sua insensata Schadenfreude: “Devo avere una valvola
di sfogo, perciò rovino le persone. Non è illegale, è difficile da provare, e
mi permette di esercitare la mia volontà
di potenza quanto basta” (pag. 247). “L’unica cosa che mi sazia è entrare
nella testa di un’altra persona e, pian piano, combinare più disastri che
posso: essere cattiva, terrorizzarla senza nemmeno avere un progetto preciso.
Distruggere è bello perché è qualcosa di raro, ricercato” (pag. 244). “Nel
profondo del cuore” (che lei definisce “questo cuore di ferro, questo ordigno
nietzschiano”, pag. 227) “io sento di essere essenzialmente Volontà, Necessità e Azione” (pag.
228).
Inoltre, dice di essere convinta che la
sociopatia sia un “dono” ed un “vantaggio” perché è sempre sicura di sé:
“grazie alla sociopatia non ho mai avuto paura di parlare in pubblico” (pag.
190), “un’altra tipica virtù dei
sociopatici è la facilità con cui parlano a braccio” (pag. 191: nella
stessa pagina, accenna al particolare stile di apprendimento che avrebbero tali
soggetti).
Vediamo quali sono le immagini, le
similitudini con cui la sociopatica del libro da noi preso in esame paragona sé
stessa: una auto-animalizzazione paradossale, dato che lei chiede di non essere
giudicata (troppo) male.
Dopo essersi detta simile ad una “scimmia
bonobo” che considera il sesso come un “fast
food” o “una caccia” o “un equivalente emotivo di un massaggio” (pagg. 270-
271) per via delle sue abitudini sessuali (sesso frequente, casuale, anonimo e
utilitaristico) aggiunge altre immagini che ne sottolineano la disumanità, quando
per esempio dice: “sono come un animale esotico: bello a vedersi, ma guai a
dimenticarsi quanto può essere pericoloso” (pag. 127), “noi siamo lupi in mezzo
alle pecore” (pag. 205). “La Nuova Zelanda sino all’arrivo degli esseri umani
era popolata quasi esclusivamente da uccelli” che “occupavano ogni posto della
catena alimentare”, “ma poi, nel Tredicesimo secolo, arrivarono gli esploratori
polinesiani, e con loro i topi”.
“Nella sua lotta per la sopravvivenza,
l’uccellino s’impegnava a non muovere un muscolo, con l’unico risultato di
essere mangiato in un boccone”. “Non mi sono mai identificata con l’uccellino
(…) Io sono il topo” (pagg. 181 –
182)
FALSI AMICI. |
O per esempio quando dichiara “mi sento come Achille” (pag. 173), il
personaggio spietato dell’Iliade di
Omero che la scrittrice Christa Wolf (1929 – 2011) chiamava “Achille la
Bestia”; “ero un virus, sempre alla
ricerca di un organismo ospite da sfruttare a dovere” (pag. 176), oppure
ancora, dinanzi ai compagni credenti che “porgono l’altra guancia”: “eravamo
tutti parte di una catena alimentare, e visto che loro avevano già scelto il
proprio ruolo- le vittime, quelli nati per subire- gli unici spazi disponibili
erano quelli in cima alla piramide, tra i predatori, quelli nati per agire. Non
mi posi mai il problema se quello che facevo fosse giusto o sbagliato, così come uno squalo non s’interrogherebbe
mai su quanto sia morale andare a caccia delle sue prede” (pag. 157).
“Sono una predatrice. Molti predatori hanno un comportamento simile, il surplus killing, l’uccisione di una
preda senza che ci sia la necessità immediata o una qualsiasi utilità nel
farlo. Avete mai visto uno di quei video in cui c’è un’orca assassina che azzanna una preda, la sbatte a destra e a
sinistra e poi l’abbandona lì così senza mangiarla? E’ un meccanismo di
sopravvivenza: chi lo fa è più aggressivo, e i predatori più aggressivi sono
quelli che sopravvivono e procreano” (pag. 126).
Un’altra immagine letteraria è quella che richiama uno dei misteri irrisolti dell'universo: “I sociopatici sono come la
materia oscura, in quanto, tipicamente, teniamo nascosta l’influenza che
abbiamo sul prossimo” e “Io mi accorgo delle reazioni che provoco negli altri,
e perciò mi dico: “Ecco, se le guardo in questo modo, le persone si
spaventano”. La coscienza che ho del mio Io è fatta di milioni di queste
piccole osservazioni, e l’insieme di questi particolari va a comporre un
ritratto di me stessa, un po’ nello
stile del pointillisme” (pag. 178, una cui variante è il divisionismo del
pittore Segantini, 1858 - 1899).
Un’altra volta ancora, dice di essere “una
domatrice di leoni” (pag. 199) e “un’attrice” (pag. 224).
Per quanto riguarda la sua appartenenza
alla chiesa mormona (sulla cui storia controversa e sui cui limiti abbiamo
parlato al Cineforum Gay del “Guado” in occasione del film “Latter Days”), senza voler dare troppo
spazio ai suoi deliri, ci basti sapere che la sociopatica del libro non è una
vera credente, ma è “religiosa” nelle pratiche esteriori (pag. 180): “la mia
religione è stata una buona copertura” (pag. 154) ed è “un credo che si adatta
moltissimo alla mia idea megalomane secondo cui mi spetterebbe un vero e
proprio destino divino” (pag. 147). La preghiera l’ha aiutata a sviluppare la
coscienziosità: l’autocoscienza di essere per così dire priva di una coscienza
morale.
L’autrice
del saggio “Il sociopatico della porta
accanto”: “Recitano il giuoco di farsi
compatire,
ma sono privi di empatia”
ma sono privi di empatia”
“Questi soggetti giuocano a creare compassione, quello che
hanno fatto non è mai colpa loro: se siamo di fronte ad una persona che mette
sistematicamente in atto un comportamento di questo tipo, e tratta gli altri in
modo scorretto, è possibile che si tratti di un sociopatico”
MARTHA STOUT, psicologa statunitense
Autrice del saggio “The Sociopath Next Door”
a proposito del “pity
play”
alla rivista di psicologia e neuroscienze “Mente e Cervello” (cit., pag. 48)
Ma pericolosa è
la “normalizzazione” di questa condizione patologica:
“Se le persone si rendessero conto di
cosa significhi trovarsi di fronte a qualcuno che è fisiologicamente incapace
di provare sentimenti anche per le persone che gli sono più vicine penso che
cambierebbero idea. Si tratta di una condizione diffusa, più della schizofrenia
o dell’anoressia: in Nord America possiamo definire sociopatica una persona su
quattro. Ed è molto triste, oltre che difficile da capire.”
Martha Stout alla rivista di psicologia e neuroscienze “Mente e Cervello” (cit., pagg. 48 – 49).
GLI PSICHIATRI
Minkowski:
è l’Empatia che ci rende Umani
E
Baron-Cohen: urge Riforma in Psichiatria
Classificare i "Disturbi dell'Empatia"
Classificare i "Disturbi dell'Empatia"
Tralasciamo qui sia i racconti delle
relazioni che la Thomas ha avuto con una masochista e con un uomo affetto da
sindrome di Asperger, e lasciamo da parte anche le considerazioni pessimiste ed
estremiste che la presunta autrice fa sulla natura umana, sugli avvocati e
sulle aziende. E tralasciamo anche i cenni alle recenti ricerche che
suggerirebbero che i tratti sociopatici potrebbero essere mutati da una buona
educazione (pag. 314).
Abbiamo preferito concentrarci sulle
caratteristiche che possiamo riconoscere, magari attraverso una socratica
maieutica, questi soggetti, e come starne alla larga. Resta il problema sociale
di fondo: “Come si fa a impedire ai sociopatici di agire in maniera
antisociale?” (pag. 56)
Quel che è certo è che, come dice lo
psichiatra Eugène
Minkowski (1885 - 1972): "La simpatia è quel dono meraviglioso
che portiamo in noi di far nostre le gioie dei nostri simili, di farcene
penetrare interamente, di sentirci in perfetta comunione, di essere un tutt'uno
con essi (...) è quanto c'è in noi di più naturale, di più "umano" (...)
la base stessa della vita sentimentale" ("Il Tempo vissuto.
Fenomenologia e Psicopatologia", Rizzoli, Milano 2011, pagg. 68 – 69).
Perciò,
come commenta Baron-Cohen, invitando
a ripensare la psichiatria, “stupisce che nel curriculum scolastico o
genitoriale l’empatia compaia a stento o non compaia affatto e che in politica
o negli affari, nei tribunali o in polizia venga considerata raramente, se non
addirittura mai” (pag. 132): “la conclusione più ovvia è che il sistema medico
e psichiatrico di classificazione richieda a gran voce una categoria chiamata
“Disturbi dell’empatia” (pag. 137).
Appuntamento domenica 23 febbraio
alle ore 15.30 al "Guado"
Conduce LELE JANDON
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