martedì 14 marzo 2023

Sisma in Turchia, Catastrofe anche politica

di LELE JANDON
Dei 24 milioni di persone che hanno vissuto il sisma in Turchia, 41 mila sono rimaste uccise (fra cui l’ex calciatore ghanese Christian Atsu). Sono stati colpiti anche i luoghi teatro del genocidio degli armeni (fatto storico negato dal regime turco di Erdogan). «Quel che è successo in Turchia non è una catastrofe naturale, è una catastrofe politica: la colpa è dell’autoritarismo e della corruzione. Gli effetti del terremoto sono dovuti a negligenza prima e dopo l’evento. Per molti anni gli avvertimenti degli scienziati sono stati ignorati dal governo; le licenze per la maggior parte degli edifici distrutti, 60 mila, sono state rilasciate negli ultimi dieci anni (cioè durante la dittatura di Erdogan, in carica dal 2003, ndr). E’ la prova che la Turchia sta diventando uno Stato fallito» scrive su “Euronews” Ahmet Erdi Öztürk, politologo del GIGA (German Institute for Global and Area Studies) il quale rileva anche che «il primo e più generoso sostegno è arrivato dagli Stati Uniti d’America, da Israele e da tanti Paesi occidentali con cui la Turchia di Erdogan è sempre stata in contrasto».
Come scrive la reporter Çiğdem Toker su “T24”, «migliaia di persone che potevano essere salvate sono morte a causa dell’incompetenza e dell’arroganza delle istituzioni. Nella regione colpita, diventata una scena del crimine, si è cercato di distruggere con le ruspe la sede dell’ufficio per il controllo edilizio e si sta facendo qualunque sforzo affinché il sistema formato da un’ampia rete criminale di appaltatori, funzionari pubblici, amministratori locali, politici e burocratici del governo centrale non debba rispondere di nulla». Per di più, come titolava il settimanale britannico “Economist” all’epoca dell’emergenza, «il governo turco non riesce a far fronte al terremoto», a gestire l’emergenza: uno Stato fallito. Lo scrittore Roberto Saviano nota: «Questo è il risultato di un potere scellerato che esprime un modo di fare politica che non ha alcun rispetto per la vita. Erdogan ed Assad hanno una responsabilità enorme: in nessuno dei due regimi si sono costruite in sicurezza le città rispettando le più semplici norme antisismiche né si sono messi in sicurezza gli edifici esistenti». Il geologo turco Hüsein Alan dice alla prestigiosa rivista tedesca “Spiegel” di aver dato l’allarme ma di essere rimasto inascoltato: «Questo terremoto era previsto». Concorda il suo collega Mario Tozzi sul quotidiano progressista “La Stampa” di Torino: «Non è il terremoto che uccide, ma la casa costruita male e, da questo punto di vista, la Turchia e la Siria rassomigliano moltissimo all’Italia» di Meloni. «In Giappone, Cile, Nuova Zelanda e California si supera la magnitudo 8 e le case e le infrastrutture reggono molto meglio anche perché i devastanti terremoti di San Francisco (1906), Tokyo (1923) e Valdivia (1960) furono presi come occasione per rifondare un Paese e costruire una cultura del rischio sismico. Da noi e in Turchia non è stato fatto».
Per protesta contro questa politica psicopatica e ricordare i bambini uccisi, molti tifosi turchi hanno gettato dei pupazzetti di peluche sul campo da calcio di due stadi gridando contro Erdogan: «Dimettiti!». E il dittatore ha chiuso gli stadi. Ma come nota Martin Voss, capo del Centro di Ricerca sui Disastri della Freie Universität di Berlino, «una tale catastrofe non è solo un fallimento dei politici ma un fallimento sociale in quanto sono stati eletti». «In teoria quasi nessuno avrebbe dovuto farsi male», conferma il ricercatore che la pensa come Tozzi. Bravi invece i volontari: 50 mila soccorritori sono stati impegnati nelle operazioni di ricerca e salvataggio. 19 Paesi dell’Unione europea (più l’Albania ed il Montenegro ed Israele) hanno mandato aiutanti ed aiuti e 79 cani da ricerca attivando il sistema di “Protezione civile europea”. Persino l’Ucraina di Zelensky ha inviato aiuti nonostante sia sott’attacco da parte di Putin.
La Germania, ove vivono 3 milioni di persone con background turco, piange ed aiuta i turchi terremotati. Alla Porta di Brandeburgo, cuore della capitale tedesca ove l’8 per cento dei berlinesi ha origini turche, il presidente della Repubblica Steinmeier ha presenziato ad una cerimonia di lutto collettivo in memoria degli uccisi. L’empatica ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock (i Verdi), in visita ai luoghi del terremoto ha definito «incredibile, indescrivibile e desolante» la portata della catastrofe: «Tutto il nostro Paese partecipa e simpatizza col popolo turco. Il nostro Governo darà in totale 108 milioni di euro ed ha agevolato le procedure per i visti per i cittadini turchi dimodoché possano rifugiarsi dai parenti in Germania». Il popolare quotidiano “Bild”, nel lanciare una campagna d’aiuti, si è fatto interprete dell’ondata di compassione da tutta la Germania ove tante sono le persone di origine turca: noi tedeschi e turchi «siamo diventati amici da quando le vostre madri e i vostri padri ci hanno aiutato a ricostruire il nostro Paese» (vedi mio articolo sulla Mostra al Museo delle Culture europee: http://lelejandon.blogspot.com/2023/01/siamo-un-pianeta-nomade-una-mostra.html). Dalla Germania sono partite con 7 cani specializzati le organizzazioni “ISAR Germany” (che si occupa di “Katastrophenschutz” cioè “protezione civile”) e “BRH” (cani di salvataggio) il cui motto è ebraico ed è tratto dal Talmud babilonese: «Chi salva anche soltanto una vita, salva il mondo intero!». Questo cagnolone è stato fotografato al suo ritorno esausto in Germania dopo aver salvato vite umane con “ISAR Germany” il cui portavoce dichiara: «Nel periodo in cui la nostra squadra si trovava nella zona terremotata siamo riusciti a salvare 4 persone e a dare fiducia a centinaia di migliaia di altre» (grande è stata la gioia quand’è stata ritrovata viva, dopo ben dieci giorni, una ragazza di 17 anni il cui nome, Aleyna, in lingua turca significa “colei che non morirà”). E un gatto bianco di nome Enkaz non vuol saperne di separarsi dal suo salvatore Ali Cakas (componente della squadra nazionale di ciclismo): «Ma che grazioso e beneducato!», commenta lui che pure si è affezionato al micio accoccolatogli garbato sulla spalla. Lele Jandon (trovate le Gallery fotografiche nel mio Instagram)

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