di LELE
JANDON
UN MODO NUOVO di TRASCORRERE il GIOVEDI' SERA A MILANO: il Cineforum tematico "I Nostri Angeli" al Cinema Gregorianum |
Nell'immaginario
religioso (dai poeti Greci antichi Esiodo e Menandro all'antica religione
zoroastriana alla Bibbia ebraica ai vari cristianesimi all'Islam), gli Angeli
sono: Messaggeri (ánghelos, in
greco, attributo del dio Hermes, significa "messaggero") e/o
Accompagnatori-Compagni ("Custodi")
e/o Collaboratori-Assistenti e Mediatori,
connectors (come avremo modo di approfondire al Cineforum sul
film "Séraphine" giovedì 3 dicembre alle ore 20 alla rassegna "I Nostri Angeli" al Cinema Gregorianum).
film "Séraphine" giovedì 3 dicembre alle ore 20 alla rassegna "I Nostri Angeli" al Cinema Gregorianum).
Gli Angeli sono presenti nei capolavori del
Cinema: da "Angels in America"
(del regista ebreo Premio Oscar Mike Nichols, lo stesso di "The Birdcage" che vedremo alla Casa
dei Diritti domenica 20 dicembre alle ore 16) a "Il Cielo Sopra Berlino" e "Così Lontano, Così Vicino" del regista cristiano Wim Wenders,
e oggi c'è anche un telefilm "Josephine
Ange Gardien" che ha per protagonista una donna la quale è un angelo
assistente.
"NON E' DETTO CHE SIANO UOMINI ALATI, GLI ANGELI", scrisse il poeta tedesco Rudolf Otto Wiemer. |
Ma
"non è detto che siano esseri umani alati,/gli angeli",
scrisse in una poesia il poeta e pedagogo tedesco Rufolf Otto Wiemer ("Der Augenblick ist noch nicht vorüber", Kreuz Verlag,
Stuttgart 2001).
Nelle
nostre vite ci càpita d'incontrare i nostri amici e Compagni di Vita, che
-appunto- ci accompagnano nelle gioie e nei dolori; di stringere collaborazioni
con assistenti (familiari e di lavoro) insostituibili che ci fanno allargare il
nostro concetto di famiglie (le tate, le colf, i nostri familiari a quattro
zampe); e, terzo ma non meno importante, persone speciali che, col loro sguardo
e i loro gesti e la loro diplomazia, creano ponti e ci recano un Messaggio
("Non siamo messaggio, siamo i messaggeri/Il messaggio è l'amore"
citando Wim Wenders): la loro sintonia, il loro contributo, la loro vicinanza
ci fanno vedere la vita con occhi nuovi, come una benedizione, e l'esistenza si
colora di gioie quotidiane, gratitudine e senso.
Per il "Doctor Angelicus" Tommaso d'Aquino, "genio italiano" secondo il teologo Matthew Fox nostro Ospite il mese scorso alla Casa dei Diritti, gli Angeli sono esseri spirituali puramente intuitivi i cui ragionamenti morali sono pure intuizioni.
Così, con "intuizione", si può altresì tradurre la parola tedesca Einfühlung usata da Husserl ed Edith Stein per indicare l'empatia (il cui corrispettivo religioso è la parola "compassione"): non a caso, la filosofa uccisa ad Auschwitz aveva studiato Tommaso (di cui aveva tradotto le "Quaestiones De Veritate", cogliendo e sottolineando le rassomiglianze fra i due filosofi soprattutto sul ruolo dato all'intuizione, che nel teologo cristiano medievale era riferita ai princìpii primi e alla coscienza morale, mentre nel suo maestro ebreo valeva anche per il vissuto soggettivo della persona umana).
I nostri valori più forti non sono altro che intuizioni morali, tantoché esiste un filone della psicologia sperimentale chiamato intuizionismo che ho illustrato nei miei articoli del Blog (http://lelejandon.blogspot.it/2014/08/le-intuizioni-morali-innate-come-i.html).
Ed esistono persone dotate di straordinaria intelligenza emotiva, od empatia o compassione che dir si voglia, una saggezza del cuore che non c'entra con l'istruzione (come il servo di Ivan Il’ic nel racconto-capolavoro di Tolstòj, l’unico ad avere compassione di lui e a farlo stare meglio) che fa creare nuovi campi, nuovi metodi, nuovi approcci e scienze.
Come la dottoressa Marie de Hennezel, la quale dichiara espressamente di avere abbandonato il dogma "Non-Toccare!" della psicanalisi per seguire il proprio intuito (pag. 186 del suo libro), la sua intuizione morale che le ha fatto sviluppare l'approccio tattile-affettivo con le persone ammalate terminali.
Ebbene, queste figure straordinarie noi sappiamo riconoscerle, essergli riconoscenti e valorizzarle?
Sappiamo meravigliarci e provare
gratitudine che, scriveva quest’estate David Brooks sul “New York Times” (2015/07/28)
è la capacità di lasciarci meravigliare piacevolmente dagli atti di gentilezza?
Un angelo visto da un cristiano: Michelangelo, Basilica di San Domenico |
Per il "Doctor Angelicus" Tommaso d'Aquino, "genio italiano" secondo il teologo Matthew Fox nostro Ospite il mese scorso alla Casa dei Diritti, gli Angeli sono esseri spirituali puramente intuitivi i cui ragionamenti morali sono pure intuizioni.
Così, con "intuizione", si può altresì tradurre la parola tedesca Einfühlung usata da Husserl ed Edith Stein per indicare l'empatia (il cui corrispettivo religioso è la parola "compassione"): non a caso, la filosofa uccisa ad Auschwitz aveva studiato Tommaso (di cui aveva tradotto le "Quaestiones De Veritate", cogliendo e sottolineando le rassomiglianze fra i due filosofi soprattutto sul ruolo dato all'intuizione, che nel teologo cristiano medievale era riferita ai princìpii primi e alla coscienza morale, mentre nel suo maestro ebreo valeva anche per il vissuto soggettivo della persona umana).
I nostri valori più forti non sono altro che intuizioni morali, tantoché esiste un filone della psicologia sperimentale chiamato intuizionismo che ho illustrato nei miei articoli del Blog (http://lelejandon.blogspot.it/2014/08/le-intuizioni-morali-innate-come-i.html).
INTUIZIONISMO. Lele Jandon è stato l'unico in Italia ad aver recensito approfonditamente il grande libro dello psicologo americano. |
Ed esistono persone dotate di straordinaria intelligenza emotiva, od empatia o compassione che dir si voglia, una saggezza del cuore che non c'entra con l'istruzione (come il servo di Ivan Il’ic nel racconto-capolavoro di Tolstòj, l’unico ad avere compassione di lui e a farlo stare meglio) che fa creare nuovi campi, nuovi metodi, nuovi approcci e scienze.
Come la dottoressa Marie de Hennezel, la quale dichiara espressamente di avere abbandonato il dogma "Non-Toccare!" della psicanalisi per seguire il proprio intuito (pag. 186 del suo libro), la sua intuizione morale che le ha fatto sviluppare l'approccio tattile-affettivo con le persone ammalate terminali.
Ebbene, queste figure straordinarie noi sappiamo riconoscerle, essergli riconoscenti e valorizzarle?
EBREI. Gli angeli visti dalla fede ebraica. |
Queste
opere (di cui in questo video di un minuto vi do un assaggio: https://www.youtube.com/watch?v=83t4M92qnX8)
contribuiranno, emozionandoci, ad accendere la nostra immaginazione morale, quella capacità d'immaginarci nei panni dei
nostri vicini, che potremo portare nella società civile e nelle relazioni
umane: nelle varie scienze, nelle scuole, nelle aziende, nella vita sociale e
politica.
C'è
John, il marito ed assistente della scrittrice Iris Murdoch che le trascrive a macchina i testi redatto a mano:
l'unico che l'ama sino alla fine, anche quando lei ha l'Alzheimer.
ISLAM. Un angelo visto dall'Islam illuminato. Un grande studioso di angelologia e dell'Islam Sufi fu Henry Corbin (Parigi 1903 - 1978). |
C'è Anne, la domestica che viene dalla bellissima Estonia: l'unica che sa sinceramente ascoltare la storia dell'autoreclusa snob Frida (una fascinosa Jeanne Moreau) che si ritrova senz'amici e non sa godersi la bellissima Parigi.
C'è Nonna Nanette (Ellen Burstyn): l'unica
a saper ascoltare senza giudicare il nipote James -giudicato da tutti un
eccentrico perché non ama stare coi coetanei- e intuire i suoi bisogni.
C'è il critico d'arte gay Wilhem Uhde, scopritore di Séraphine de Senlis: l'unico a riconoscere il valore del genio della pittrice autodidatta ispirata dagli Angeli e giudicata (solo) una matta.
Il teologo Tommaso d'Aquino fu detto "Doctor Angelicus" |
C'è
Hachiko (dal nome giapponese dell'8, simbolo d'infinita fedeltà), il bellissimo
cane di razza Akiko che un bel giorno sceglie come proprio padrone Richard
Gere: l'unico che lo va ad accogliere ogni pomeriggio alla stessa ora alla
stazione quando scende dal treno di ritorno dal lavoro.
C'è
Rudy, il bimbo compagno di giuochi di Liesel: l'unico coetaneo ad amare quella
bimba innamorata della lettura giudicata strana dai coetanei che vedremo nel
film in occasione della Giornata della
Memoria.
E c'è il padre magnanimo che le fa leggere i libri proibiti dal nazismo e il giovanotto ebreo (il protagonista del film "Pride") che le fa compagnia mentre è nascosto a casa sua.
E c'è il padre magnanimo che le fa leggere i libri proibiti dal nazismo e il giovanotto ebreo (il protagonista del film "Pride") che le fa compagnia mentre è nascosto a casa sua.
E
poi ci sono le persone di cui vi racconterò le storie prima e dopo i film: per esempio, al
primo cineforum vi parlerò di Marie de
Hennezel, la psicanalista junghiana che è come un angelo per le persone
malate terminale che lei accompagna come faceva il dio greco Hermes, il cui
epiteto, oltreché anghelos, era anche
psychopompos, accompagnatore di anime
nell'aldilà; Britt-Marie
Egedius-Jakobsson, psicologa svedese che ha avuto la geniale idea di creare
la terapia delle bambole per il figlioletto malato terminale, terapia che reca
gioia anche agli ammalati d'Alzheimer; e Naomi Feil, il cui metodo validation (che ho studiato ad un apposito corso e che consiste appunto nell'intuire anziché nel far pretendere di ragionare le persone con Alzheimer) ci permette di entrare in una relazione
corretta con queste persone.
L'Hermes Alato del Museo Pushkin di Mosca. Un epiteto del dio greco Ermes era "anghelos": messaggero. |
Ho
selezionato per Voi questi primi sei
splendidi film a tematica spirituale. La spiritualità, secondo me, significa
approfondimento: approfondire la logica delle nostre emozioni, delle nostre
visioni e delle nostre relazioni. Significa
fermarsi e sof-fermarsi sulle nostre intuizioni morali. Solo la spiritualità
crea l'Arte.
Commenteremo
insieme, col contributo di tutti voi, con le vostre storie, aneddoti ed
esperienze, e con gli spunti che vi fornirò prima e dopo il film, personaggi
indimenticabili, interpretati con "recitazione profonda" di attori
Premi Oscar (Ellen Burstyn, Kate Winslet, Judi Dench, Jim Broadbent e Geoffrey
Rush) e due attrici Premi César (Jeanne Moreau e Yolande Moreau) e dall'enfant prodige Sophie Nélisse in queste
sei meravigliose pellicole commentate da compositori da Oscar (di cui tre
storie vere, "Hachiko",
"Iris" e "Séraphine") e due tratte da bestseller ("Storia di una ladra di
libri" e "Un giorno questo
dolore ti sarà utile") e tre da storie vere ("Iris",
"Séraphine" e "Hachiko").
Partiremo con un commovente film ("Iris
- Un Amore Vero") introvabile nelle videoteche: una bellissima storia
d'amore.
Il Mio Cineforum sulla Cultura della
Visibilità dell’Alzheimer
Sapere come Relazionarsi con questi
Nostri Concittadini: Parte Integrante della Nostra Educazione Civica
Le tragedie sono fatti che
possono accadere, scriveva Aristotele, esprimendo così il senso del teatro
tragico. Oggi ce le racconta anche il buon Cinema,
come nel film "Still
Alice", che, ha detto Maria Shriver,
è stato per l'Alzheimer ciò che "Philadelphia" è stato per l'AIDS; un film opera di Richard Glatzer e Wash Westmoreland, una coppia gay sposata che
sapeva bene cos'è una malattia degenerativa (avendo il primo una SLA che lo ha
spento tre mesi dopo le riprese). Glatzer ha lavorato grazie all'ausilio
dell'Ipad e credo che la tecnologia abbia sicuramente ispirato le strategie
ideate dalla protagonista (interpretata da Julianne Moore, vincitrice del
Premio Oscar per questo ruolo). L'Alzheimer può capitare non
solo a nostra madre, nostro padre, nostra nonna o nostro nonno od al nostro
professore, ma anche a nostra moglie o marito dal momento che pure esistono
forme precoci, come nel caso presenile di Rita Hayworth, alla quale fu
diagnosticato con dieci anni di ritardo per via del fatto che beveva molto,
così come fu diagnosticato dieci anni dopo a Ronald Reagan le cui gaffes sono state studiate dai ricercatori che gliel'hanno retrodatato a
parte post.: sono solo due delle storie
delle personalità che vi racconterò (da Peter Falk a Charles Bronson a Charlton
Heston ad Annie Girardot) perché questi
volti famosi aiutano a dare consapevolezza alle persone coinvolte che non sono
sole al mondo, e che l'Alzheimer non risparmia i ricchissimi attori di
Hollywood e la malattia è davvero livellatrice.
L'Alzheimer,
contestualmente all'aumento della durata della vita, cresce anche nella nostra
città, ed è incurabile. Il Comune di
Milano sta facendo la sua parte, pioniere anche in quest'àmbito, mentre il
governo latita non mostrando coscienza della pandemia, e i grandi Leader
da Obama a Cameron (il quale sa bene cosa significhi vivere con una malattia
cerebrale avendo perso il figlioletto di sei anni per la sindrome di Ohtahara)
investono milioni per il benessere di queste persone. E allora, come possiamo attivarci noi come società civile, tantopiù
dinanzi ad un governo che non fa il suo dovere e che nel nostro Paese i media non ne parlano, e che spesso queste persone non escono di casa e le famiglie
provano vergogna e paura o come nel caso
dei colleghi della protagonista del romanzo “Still Alice” la evitano? Usare la nostra creatività, il
nostro ingegno, al servizio della collaborazione attiva con questi nostri
concittadini: ciascuno di noi può attivare e sviluppare l'intelligenza delle
emozioni, il nostro QE, quoziente di empatia come dice il grande psichiatra
ebreo di Cambridge Simon Baron-Cohen, per far emergere e ricordare le emozioni.
Sapere come relazionarsi con questi nostri concittadini che possiamo incontrare
anche per caso smarriti per strada dovrebbe far parte integrante della nostra
educazione civica che ci definisce come buoni cittadini, esattamente come
conoscere le tecniche di pronto soccorso. Non infantilizzare, ma, come dice il
gerontologo inglese Tom Kitwood, trattare nella maniera in cui noi stessi
vogliamo essere trattati (che è la “regola d’oro” comune a tante religioni)
quindi evitando le bugie cosiddette terapeutiche, che ledono la dignità della
persona e che sono state ben descritte nel racconto di Tolstòj “La morte di Ivàn Il’ìc”, 45enne ammalato di una malattia misteriosa
e che si sente solo pur essendo in casa con i suoi familiari che fanno finta
che non stia per morire perché ammetterlo non sarebbe decoroso (come fanno quei
familiari che tengono i propri genitori ammalati d’Alzheimer segregati in casa
perché se ne vergognano). Non mentire con cosiddette bugie terapeutiche bensì
accogliere con autenticità, considerato
anche che, come Alice nel romanzo e nel film, chi ha l'Alzheimer affina la sua
sensibilità al linguaggio non verbale, ai toni di voce in primis che devono essere caldi e coerenti con le
emozioni del nostro interlocutore. Ascoltare con un ascolto attivo ed empatico,
dice il grande psicologo umanista Carl Rogers della cui lezione ha fatto tesoro
Naomi Feil, cresciuta in una struttura per anziani ove lavoravano i genitori ed
ha ideato l'omonimo metodo per convalidare le emozioni di queste persone,
metodo Feil o metodo validation che a
Milano è insegnato dalla signora Cinzia Siviero.
Persone
di straordinaria empatia hanno creato cure non mediche di provata efficacia,
come appunto la Feil o Britt-Marie
Egedius Jakobsson, psicologa che aguzzò l'ingegno dinanzi al figlioletto
ammalato terminale e, vivendo in un fantastico villaggio della Svezia
specializzato nel raffinato artigianato delle bambole, ha creato la terapia
delle bambole e dei bambolotti; o come la pittrice americana Hilda Gorenstein,
diventata apatica e non comunicativa, che alla proposta lanciatale dalla figlia
"Vuoi dipingere?", rispose: "Sì, ricordo meglio quando
dipingo", da cui son nati sia le creative therapies sia
il documentario "I Remember
Better When I Paint" di cui vi
ho mostrato un estratto in esclusiva
italiana al mio Cineforum alla Casa dei Diritti il mese scorso. Rita Hayworth si dedicò alla pittura con
gioia, che le rievocava bei ricordi, le donava pace della mente e senso
d'identità, e sua figlia, la principessa Yasmin Aga Khan, che rinunziò alla
carriera per assistere la madre ammalata, ha deciso di trasformare un handicap in un'azione positiva diventando
un'attivista filantropa per fare informazione, cultura della visibilità e raccogliere
fondi per le ricerche scientifiche e non mediche come appunto l'art therapy, che è possibile grazie al fatto che
l'Alzheimer attacca tardi le zone del cervello legate alla creatività, sicché
queste persone restano dotate
d'immaginazione e spirito creativo e volentieri dipingono perché riescono
così ad esprimere le proprie emozioni e personalità con bei colori vivaci. Ricorderete
James Hillman che alla domanda
"Qual è il senso della nostra così lunga vecchiaia?" aveva risposto
l'esplorazione del carattere, di ciò che resta di noi (quell’insieme di
caratteristiche che ci rendono unici e memorabili): ebbene, l'Alzheimer
colpisce proprio in quest'età e pare colpire proprio la "personalità".
Ma Alice dice nel suo grande Discorso: "La
mia identità è qualcosa che trascende neuroni, proteine e difetti molecolari
del DNA".
Allora,
dobbiamo far liberare questo carattere proprio grazie a terapie come quella
dell'arte, quando essa non si può esprimere a parole. E se, come ricorda la
psicanalista Enrichetta Buchli, la quale mi ha dato l’idea geniale di questa
rassegna, nelle civiltà passate si è sempre valorizzato i vecchi come fonte
della memoria collettiva (tantoché nell’inconscio collettivo studiato da Jung
il vecchio è archetipo del Saggio), come facciamo nel caso in cui l’Alzheimer
colpisce proprio la memoria? Divengono “inutili”? No: qui viene in ausilio l’ascolto
empatico di Naomi Feil: non correggere gli errori di memoria, bensì far parlare
queste persone che hanno tante storie da raccontarci ed emozioni da
condividere.
Tom
Kitwood ci rammenta il ruolo dei credenti nell'alleviare la sofferenza, che, prendendo
spunto dall'ebreo Gesù di Nazaret (il quale dedicò gran parte della sua
attività proprio a prendersi cura degli ammalati nel corpo e nella mente),
cercano di usare la sofferenza creativamente, anche se il dolore resta un
grande mistero. Dice altresì che anche quando la mente perde di lucidità, la
vitalità spirituale continua.
L'ESCLUSIVA MILANESE: Matthew Fox, Ospite in esclusiva a "Il Cinema i Diritti - il Cineforum di Lele Jandon" ha parlato anche degli angeli. |
Lo
scorso mese, col nostro Ospite Matthew Fox abbiamo ricordato quanto sia
importante condividere il dolore (lui dice la "Via Negativa") e di quanto abbiamo bisogno di nuovi riti che ci aiutino a “fare
lutto” (come conferma anche la dott. De Hennezel nel suo libro “La morte
amica” ove ci testimonia che a lei per
prima nessuno è stato d’aiuto nell’elaborare il suicidio del padre) e ciò vale
nel caso delle persone i cui familiari hanno l’Alzheimer perché sovente vicono
un “lutto anticipato”. Se lo viviamo sino in fondo, argomenta questo grande
profeta contemporaneo, sapremo riconoscerlo nel nostro prossimo diventiamo
persone compassionevoli capaci di accogliere il dolore del nostro vicino e
trarre ispirazione per mettere la nostra creatività al servizio della trasformazione
sociale.
La nostra trattazione
dell'Alzheimer terrà conto di tutte e quattro le Viae brillantemente individuate da Fox:
Via Negativa,
Via Positiva, Via Creativa, Via Transformativa (cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2015/09/le-4-viae-di-matthew-fox-ospite-in.html).
Nel
romanzo, Alice prende l'iniziativa di creare un gruppo di sostegno e confronto,
per condividere il dolore e l'autoironia (che pure è un abbandono che è Via Negativa) terrà la sua più importante conferenza della sua vita per dire il messaggio
che lei è sempre sé stessa ("Still Alice", appunto).
Come
dice il filosofo ebreo Max Scheler, l'ammalato resta persona anche quando è
malato nella mente, mentre furono proprio queste persone il primo target del
progetto eliminazionista del nazismo che partì dalle case di riposo. Nella
stessa ottica della Comunità come cerchio, a Milano, l'associazione "Al Confine" ha creato gli Alzheimer
Café, ideati dallo psichiatra olandese Bére Miesen nel '97 e ormai diffusi
in tutta Europa e negli Stati Uniti. Altri esempi di creatività ci vengono dal
romanzo ove i figli le donano un film
con le interviste di chi la ricorda, e il bel gesto di un ex allievo di Alice che nell'esprimerle la
sua gratitudine per avergli trasmesso la passione per la materia da lei
insegnata, le porge una lettera ove le
scrive questi sentimenti, che lei potrà sempre rileggere quando nel frattempo
se ne sarà scordata ed anche il marito
ha un'idea brillante quando le regala dei dvd con le versioni cinematografiche
di quei romanzi che lei non riesce più a seguire sulle pagine. A proposito
di film, faremo un raffronto con gli altri grandi film che sono due grandi
storie d'amore: e “Lontano da lei” col Premio Oscar Julie Christie ed “Iris” col Premio Oscar Judi Dench.
Perché
anche l'Alzheimer Precoce ci Riguarda:
La
Prima Malata era 52enne
Vediamo i numeri (che traggo
dagli articoli del giornale online
"Linkiesta"
http://www.linkiesta.it/it/article/2014/12/18/alzheimer-se-non-ti-ricordi-piu-quando-e-natale/23933/
e
http://www.linkiesta.it/it/article/2013/09/21/ogni-10-minuti-un-italiano-si-ammala-di-alzheimer/16500/
http://www.linkiesta.it/it/article/2014/12/03/di-cosa-si-muore-in-italia-cresce-lalzheimer/23739/) dietro ai quali c'è una storia a sé e sono coinvolte molte più persone
nell'assistenza: 35 milioni di persone ammalate di demenze nel mondo
cinque anni fa che oggi sono diventate 44 milioni
–di cui 650 mila in Italia- che secondo l’Alzheimer’s Disease International
diventeranno 76 milioni nel 2030 e fra i 115 ed i 135 milioni entro il 2050-. Fra
gli over 80enni, uno su cinque è ammalato di Alzheimer.
Ogni minuto, un italiano s'ammala d'Alzheimer e può essere nostro padre o nostro nonno, nostra madre o nostra nonna, o addirittura nostra moglie o marito. E l'Alzheimer è diventata qui la sesta causa di morte (dopo: ischemie del cuore, malattie cerebrovascolari, altre malattie cardiache, tumori ai polmoni e pressione). Secondo alcune stime, un bambino su tre dei nati quest’anno da vecchio sarà sofferente di una qualche forma di demenza.
Ogni minuto, un italiano s'ammala d'Alzheimer e può essere nostro padre o nostro nonno, nostra madre o nostra nonna, o addirittura nostra moglie o marito. E l'Alzheimer è diventata qui la sesta causa di morte (dopo: ischemie del cuore, malattie cerebrovascolari, altre malattie cardiache, tumori ai polmoni e pressione). Secondo alcune stime, un bambino su tre dei nati quest’anno da vecchio sarà sofferente di una qualche forma di demenza.
Oggi noi vogliamo incentivare la
diagnosi precoce perché l’Alzheimer può colpire anche i cinquantenni.
Era
52enne la signora Auguste Deter (1850 - 1906) a cui
il dottor Alois Alzheimer (1864 - 1915), uno psichiatra tedesco, diagnosticò durante un'autopsia la malattia nel 1906 che descrisse nel
1907. La protagonista del film "Still
Alice", ne ha 50: una forma precoce.
Così come era 52enne la madre del regista del film che inaugura la nostra rassegna "I Nostri Angeli", Richard Eyre (come racconta egli stesso in questo intervento: http://www.dailymail.co.uk/femail/article-1381292/Richard-Eyre-watched-mother-slowly-stolen-away-Alzheimers.html).
Era 55enne il professore di storia Cary Smith Henderson che iniziò il suo Diario dell'Alzheimer, un documento unico nel suo genere. Così com'era 52/55enne Rita Hayworth, l'attrice (che sarà assistita amorevolmente dalla figlia diventata filantropa) quando manifestò i primi segni dell'Alzheimer che le fu diagnosticato solo dieci anni dopo.
Così come era 52enne la madre del regista del film che inaugura la nostra rassegna "I Nostri Angeli", Richard Eyre (come racconta egli stesso in questo intervento: http://www.dailymail.co.uk/femail/article-1381292/Richard-Eyre-watched-mother-slowly-stolen-away-Alzheimers.html).
Era 55enne il professore di storia Cary Smith Henderson che iniziò il suo Diario dell'Alzheimer, un documento unico nel suo genere. Così com'era 52/55enne Rita Hayworth, l'attrice (che sarà assistita amorevolmente dalla figlia diventata filantropa) quando manifestò i primi segni dell'Alzheimer che le fu diagnosticato solo dieci anni dopo.
E'
59enne l'amico di Michele Farina che ci ha raccontato la sua testimonianza di figlio qui ad
un convegno alla Casa dei Diritti lo scorso settembre.
L'Alzheimer è fra le demenze
irreversibili primarie, come la malattia dei corpi di Lewy per le cui
conseguenze (allucinazioni visive ed auditive) è stato trovato morto il Premio
Oscar Robin Williams (1951 - 2014, di cui vedremo
la straordinaria interpretazione in "The
Birdcage" domenica 20 dicembre
2015 alle ore 16 puntualissimi a "Il
Cinema e i Diritti" alla Casa dei Diritti del Comune di Milano in via
De Amicis 10).
E' incurabile e non si può far
regredire né bloccare e l'obiettivo dunque è massimizzare il benessere delle
persone che ci convivono. E' la nuova pandemia ma è assai lontana dal toccare
il cuore dei Palazzi romani.
Ma noi possiamo fare molto come
società civile, legislatori e come informatori sociali.
Dal punto di vista neurologico,
è sempre accompagnato da placche di proteine
β-amiloide, che sono sospettate quindi come cause. Si sa come si manifesta ma
non perché, dice Margaret Lock in "Alzheimer
Conundrum: Entanglements of Dementia and Aging".
Oggi ne parliamo dal punto di vista umano: le nostre
intuizioni morali, la nostra attiva collaborazione e la nostra creatività.
Illustreremo la
filosofia della medicina (ispirata alla sua visione di credente cristiano) del
grande gerontologo britannico Tom Kitwood che, contro il riduzionismo di un
certo modo di fare scienza senza immaginazione morale, propone, grazie alle sue
lauree in sociologia e psicologia, un approccio interdisciplinare che tiene
conto delle relazioni, della storia e della salute della Persona e il cui motto
è
"Trattare gli altri nella maniera in cui
tu stesso vorresti essere trattato",
che è la regola d’oro comune a tante religioni.
Le Creative Therapies
sono Possibili
perché l'Alzheimer colpisce tardi
le Aree Cerebrali della Creatività
perché l'Alzheimer colpisce tardi
le Aree Cerebrali della Creatività
Il Documentario dalla Battuta
di Hilda Gorenstein: "Ricordo Meglio se Dipingo"
di Hilda Gorenstein: "Ricordo Meglio se Dipingo"
Oltre alla dimensione
del dolore, ci sono anche le meraviglie della natura di quelle che sono
chiamate "creative therapies".
Shibley Raman spiega il benessere donato dalla musica mostrato nel documentario "Alive Inside" (“Vivi
dentro”) e nella prestigiosa rivista "Brain". Ricercatori della Boston University hanno scoperto che chi ha l'Alzheimer tende a memorizzare meglio nuove informazioni se queste gli sono fornite con un sottofondo musicale: ai soggetti sperimentali è stata sottoposta una canzone, dapprima solo letta, poi scritta su un computer, infine in forma cantata.
La dottoressa Marie de Hennezel, che accompagna i malati terminali, cita il caso di una malata terminale che le chiede di cantare per lei, per esempio (“La morte amica”, BUR, Milano 2015, pagg. 126 - 127): “Allora mi sono messa a cantare l’Ave Maria che le piaceva, quella della sua infanzia. Lei mi accompagnava con una leggera vibrazione delle labbra, mi incoraggiava a continuare ripetendo un flebile “sì”, muovendo la testa da destra a sinistra. Penso di aver proseguito così per un’ora, finché non si è addormentata”.
La dottoressa Marie de Hennezel, che accompagna i malati terminali, cita il caso di una malata terminale che le chiede di cantare per lei, per esempio (“La morte amica”, BUR, Milano 2015, pagg. 126 - 127): “Allora mi sono messa a cantare l’Ave Maria che le piaceva, quella della sua infanzia. Lei mi accompagnava con una leggera vibrazione delle labbra, mi incoraggiava a continuare ripetendo un flebile “sì”, muovendo la testa da destra a sinistra. Penso di aver proseguito così per un’ora, finché non si è addormentata”.
Il documentario "I Remember Better When I Paint" mostra i risultati dati sia
dalla visita ai musei d'arte (in Nord America e in Europa) sia dalle arti
manuali come la pittura che, dice la figlia di Rita Hayworth, dona "la pace della mente" e "crea senso d'identità" perché l'opera
ci appartiene e sentiamo che esprime il nostro carattere e le nostre emozioni.
Il documentario è
stato così intitolato a partire da una battuta fulminante pronunziata dalla
pittrice americana Hilda Gorenstein (1905 - 1998), specializzata in marine e
colpita da Alzheimer, in risposta ad una proposta creativa della figlia: quando
era diventata apatica e non comunicativa, sua figlia Berna Huebner (molto amica
della principessa Yasmin) le ha lanciato l'idea "mamma, perché non
dipingi?", e da allora è stato risvegliato il suo senso di identità, dignità e personalità. La figlia ha scritto un libro, fondato la
fondazione Hildos Foundation di Chicago e appunto co-girato questo documentario
col francese Eric Elléna.
Il dottor Robert Green in questo documentario dice che per fortuna il lobo parietale che è coinvolto nel processo creativo viene danneggiato (relativamente) tardi dall'Alzheimer, e ciò consente a questi pazienti di dipingere. "Sono ancora dotati d'immaginazione", conferma nello stesso breve film la dottoressa Judi Holstein. Nel documentario, vediamo che vecchi sono stimolati in una discussione intorno a quali colori preferire per riprodurre un quadro di Renoir. La creatività può contribuire a riconnettere delle parti di sé obliate. Come scrisse il filosofo Pascal (1623 - 1662) nei suoi "Pensieri",
Il dottor Robert Green in questo documentario dice che per fortuna il lobo parietale che è coinvolto nel processo creativo viene danneggiato (relativamente) tardi dall'Alzheimer, e ciò consente a questi pazienti di dipingere. "Sono ancora dotati d'immaginazione", conferma nello stesso breve film la dottoressa Judi Holstein. Nel documentario, vediamo che vecchi sono stimolati in una discussione intorno a quali colori preferire per riprodurre un quadro di Renoir. La creatività può contribuire a riconnettere delle parti di sé obliate. Come scrisse il filosofo Pascal (1623 - 1662) nei suoi "Pensieri",
"Niente è più insopportabile per l'uomo che trovarsi in
assoluto riposo"
Come ricorderete,
lo psicanalista junghiano e filosofo James Hillman (1926 – 2011) nel suo libro
"La Forza del Carattere" si era posto la domanda "Qual
è il senso della nostra lunga vecchiaia?" e, seguendo la via della
sapienza greca (il motto "Conosci te stesso" scritto sul Tempio di
Apollo a Delfi e la caratterologia) aveva risposto che è l'esplorazione del
nostro carattere che è quella serie di caratteristiche che ci rendono unici e
memorabili. Ebbene, l'Alzheimer colpisce proprio in quella fase della vita:
dobbiamo, allora, fare in modo di far emergere questa forza di carattere
proprio grazie a strategie creative che la liberano quando non può esprimersi a
parole, come l'arteterapia.
Quello che
vogliamo mostrare oggi è che anche se il
cervello è danneggiato, rimane un cuore, un nucleo dell'anima, la persona è
sempre sé stessa, anche se non riesce molto ad esprimersi a parole.
Nel romanzo e nel
film, benché non riesca a seguire la figlia aspirante attrice nella sua
lettura, Alice intuisce dal tono della sua voce, dalla sua musicalità, appunto,
che il brano che le sta leggendo, parla d'amore.
Nel chiedersi se
vorrà sempre bene a sua figlia, anche se magari un giorno non la riconoscerà,
Alice pensa:
"Il mio amore per lei risiede nella testa
o nel cuore?" La scienziata che era in lei credeva che le emozioni si
originassero nelle strutture cerebrali del sistema limbico, strutture che nel
suo caso, in quel momento, erano in trincea a combattere una battaglia che non
avrebbe lasciato sopravvissuti. La madre
che era in lei era convinta che l'amore per sua figlia fosse al sicuro dal caos
della sua testa, perché era nel
cuore che dimorava." ("Still
Alice", pag. 231)
****
La Premiata Giornalista d'Inchiesta Maria Shriver
L'Attivista Figlia di Eunice Kennedy:
"Still Alice è
per l'Alzheimer
ciò che Philadelphia fu
per l'AIDS"
PRODUTTRICE ed ATTIVISTA SOCIALE |
Maria Shriver (più nota in
Italia per essere stata la first lady
della California quand’era moglie di Arnold Schwarzenegger) è una giornalista,
attivista e produttrice americana figlia di Eunice Marty Kennedy Shriver (1921
- 2009), già fondatrice delle Special Olympics (per atleti con sindrome di Down),
sorella di John Fitzgerald Kennedy (1917 - 1963).
Fra i vari temi che ha
saputo trattare bene, è stata
produttore esecutivo del documentario "The Alzheimer's Project",
una serie di cortometraggi in quattro puntate (che ebbe molto successo sulla
rete HBO nel 2009 vincitrice di due Premi Emmy) che esplorava i migliori laboratori
degli Stati Uniti sull'Alzheimer. Uno dei film che hanno vinto il premio Emmy,
"Nonno, sai chi sono?" si
basa su un libro per ragazzi scritto dalla Shriver sull'Alzheimer. La reporter ha scritto anche un libro
intitolato "Alzheimer's in America:
the Shriver's Report". Nel 2009, Shriver è
stata premiata con il premio "Cercatori di Pace 2009" da parte della
Shinnyo-en Foundation, che viene annualmente conferito a coloro che sono esempi
di compassione, armonia e pace. Alla cerimonia di conferimento del premio,
l'amministratore delegato della fondazione ha detto: "Maria Shriver
percepisce il meglio che sta dentro la gente - la loro innata bontà - e dà loro
la spinta a diventare gli "Architetti del cambiamento" di sé stessi.
In un mondo che glorifica le ambizioni a tutti i costi, Maria insegna invece a
formare il carattere. È una donna dalla forza gentile che rimodella gentilezza
e carità, che ha usato la sua celebrità per costruire la pace nel mondo".
Ora si sta occupando del nuovo progetto "Wipe Out Alzheimer's Challenge" (http://blogs.webmd.com/breaking-news/2015/03/women-and-alzheimers-maria-shriver-qa.html?ecd=soc_pin_031115_mariashriveralzqa).
Il Racconto- Capolavoro di Tolstòj
L’Orribile Tormento della “Decorosa Menzogna” Sorpresa, è quel Servo
senz’istruzione
l’unica persona dotata di Compassione
per prendersi Cura di Ivàn, “Solo in Casa”
E sarà la Misteriosa Malattia a fargli vedere la Vita
(tutta fondata sul “Decoro”) con occhi nuovi
Scena tratta da una versione teatrale del racconto di Tolstòj |
Nel suo saggio “Non è un Paese per vecchi” (nella bella
“Rivista per le Medical Humanities”
edita in Svizzera, numero 25, anno 7, maggio-agosto 2015), la psicanalista di
formazione junghiana Enrichetta Buchli parlando della rimozione della morte
nelle nostre società cita il racconto “La morte di Ivan Il’ic” (1884 – 6)
con cui lo scrittore, filosofo ed attivista sociale russo Tolstòj (1828 – 1910)
scrisse ruppe il Tabù della descrizione letteraria della morte.
ANGELO UMANO. Così l'illustratore britannico Lilias Buchanan immagina Gerasim, il badante di Ivam Il'ic nel racconto di Tolstòj mentre tiene sollevate le gambe dolenti del padrone malato terminale. |
Di questo
capolavoro vi sono varie edizioni, e in inglese esiste anche l’audiolibro (in
foto). Io ve lo riassumo citando dalla mia edizione Garzanti del 1999 (prima
edizione 1975, traduzione di Giovanni Buttafava).
Il protagonista, Ivàn
Il’ic, è un magistrato 45enne che ha improntato la sua vita al “decoro” (parola che ricorre
spessissimo) e che si è sposato per conformismo anziché per passione (“perché
poi non dovrei sposarmi?”, pag. 21) e quando la moglie diviene insultante ed
invidiosa perché lui non s’annoia come lei (pag. 22) pensa al divorzio e arriva
ad odiarla.
Né ha veri amici e veri rapporti umani, e quando il clima in casa si fa opprimente per i continui rimproveri della moglie che coltiva quest’ostilità contro di lui, il suo unico spazio vitale diviene il mondo del lavoro, di cui si compiace per il potere che (in teoria) la sua posizione può esercitare a suo piacimento sugli altri (il “potere su”, opposto al sano “potere con”, il potere di collaborazione e condivisione che ci dona il senso di Comunità ed appartenenza). Domina la falsa cortesia (“quella parvenza di rapporto umano amichevole, che è la cortesia”, pag. 33) e il narcisismo del vedersi ogni giorno servito e riverito (“gioie d’amor proprio”, “gioie di vanità”, pag. 35).
Né ha veri amici e veri rapporti umani, e quando il clima in casa si fa opprimente per i continui rimproveri della moglie che coltiva quest’ostilità contro di lui, il suo unico spazio vitale diviene il mondo del lavoro, di cui si compiace per il potere che (in teoria) la sua posizione può esercitare a suo piacimento sugli altri (il “potere su”, opposto al sano “potere con”, il potere di collaborazione e condivisione che ci dona il senso di Comunità ed appartenenza). Domina la falsa cortesia (“quella parvenza di rapporto umano amichevole, che è la cortesia”, pag. 33) e il narcisismo del vedersi ogni giorno servito e riverito (“gioie d’amor proprio”, “gioie di vanità”, pag. 35).
Quando finiscono i lavori
di restyling in salotto (che credono
originale e da ricchi, quando invece è un’imitazione indistinguibile, pag. 31)
in casa cala la noia. Ed è proprio
per una banale caduta mentre saliva la scala per mostrare al tappezziere come
fissare le tende che si fa male al fianco. Un banale incidente domestico avrà
conseguenze mortali: ne sorge una
misteriosa malattia, per cui consultano medici vari che non san bene né
cosa diagnosticare né ammettere la verità e cioè che ne morirà, prima o poi. Domina l’ipocrisia (Tolstòj dice la
“menzogna”, la “menzogna decorosa”,
pag. 72, altra parola-chiave che
ricorre assai spesso) dei familiari che
non ammettono (forse neanche a sé stessi) che quell’uomo sta morendo:
“Questa
menzogna lo tormentava, lo tormentava il fatto che non volessero riconoscere che tutti
sapevano e che anche lui sapeva, e che volessero invece mentire sul suo terribile
stato, e che per di più costringessero
lui stesso a prender parte a quella menzogna. Quella menzogna, una menzogna
perpetrata su di lui alla vigilia della sua morte, una menzogna che si sentiva
in dovere di umiliare questo terribile atto solenne al livello delle loro
visite di cortesia, delle tende in salotto, del pesce in tavola…era un orribile
tormento per Ivàn Il’ic. E stranamente, molte volte, mentre gli altri
eseguivano i loro numeri su di lui, era stato a un filo dal gridare in faccia a
tutti: smettetela di dire bugie, lo sapete benissimo, e lo so benissimo anch’io
che sto morendo, almeno finitela di mentire. Ma non aveva mai avuto cuore di
farlo. L’orribile, tremendo atto della
sua agonia era degradato da tutti quelli che lo circondavano alla stregua di
qualcosa di casuale e sgradevole, persino
di indecoroso (come se trattassero con un uomo che puzza entrato in un
salotto), qualcosa che trasgrediva
quello stesso “decoro”, che Ivàn Il’ic aveva perseguito tutta la vita; egli
vedeva che nessuno aveva pietà di lui, perché nessuno voleva capire la sua
situazione.” (pagg. 61 – 62)
Questo tipo di negazione c’interessa perché sono molte le
famiglie che tengono chiusi in casa in propri “cari” con Alzheimer perché se ne
vergognano
né vogliono conoscere (e far loro conoscere) persone con la stessa malattia.
Si trova in casa eppure si sente solo:
“Nessuno aveva pietà di lui, come egli avrebbe voluto
che avessero: in certi momenti, dopo lunghe ore di sofferenza, anche se si
sarebbe vergognato a confessarlo, aveva soprattutto voglia che qualcuno avesse
pietà di lui, come di un bambino malato. Avrebbe
voluto che lo carezzassero, che lo baciassero, che lo compiangessero, così
come si accarezzano e si consolano i bambini (vedremo più avanti che cos’è l’aptonomia cioè la scienza dell’entrare
in contatto con i malati terminale, ndr). E nel suo rapporto con Gerasim
c’era qualcosa che s’avvicinava a questo, perciò stare con Gerasim lo
consolava. Ivàn Il’ic aveva voglia di piangere, aveva voglia che lo carezzassero
e lo compiangessero, ed ecco che compariva un suo collega, e, invece di lacrime
e tenerezze, Ivàn Il’ic faceva una faccia seria, severa, pensosa” e si mette a
parlare di lavoro.
Qui la parola “pietà” va
intesa come compassione: la capacità d’immaginare le gioie e i dolori del
nostro prossimo e collaborare attivamente con lui o lei per recargli conforto,
nello spirito delle opere di misericordia ebraiche (cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/09/la-via-della-compassione-creativa.html).
C’interessa, qui, altresì
il rapporto fra l’ammalato e il suo (diremmo oggi) “badante”: il muzik (paesano) d’origine contadina
Gerasim, addetto alla cucina che non disdegna di fargli da collaboratore
personale: a differenza dell’odiosa moglie, che si vanta di dover sopportare il
suo “orribile carattere”, il servo si presta volentieri senza lamentazioni a
far fare i bisogni corporali al suo padrone.
“Anche quando
doveva defecare, usava degli aggeggi speciali, e ogni volta era una
tortura. Una tortura per la
sporcizia, e per la vergogna, per la
puzza, per il necessario intervento di un’altra persona.
Ma proprio
in questa spiacevole circostanza Ivàn Il’ic trovò motivo di consolazione. A svolgere quell’umile
funzione veniva sempre Gerasim” (pag. 58)
Gerasim è un baldo giovane
dalle braccia forti e “sempre allegro, chiaro” ed ha la sensibilità necessaria
per prendersi cura del malato: compie il suo lavoro (in pratica, di badante) sempre
con passo felpato (“con passo leggero”, ripete Tolstòj, pag. 59) e
“Senza guardare Ivàn Il’ic, e cercando di trattenere, per non offendere il malato, la gioia di vivere
che gl’illuminava il volto”
Ivàn
gli mostra sincero apprezzamento:
“Penso
che questo non sia un lavoro molto gradevole per te. Scusami. Non posso farlo
io.”
“Prego, prego, signore. (…) perché non dovrei farlo?
Siete malato” (pag. 59)
“Soltanto Gerasim capiva la sua situazione e aveva
pietà di lui. Perciò Ivàn Il’ic stava bene soltanto con Gerasim. Stava bene,
quando Gerasim, a volte per delle notti intere, rimaneva con lui, tenendogli le
gambe sollevate, e non voleva saperne di andare a dormire: “Lei non si
preoccupi, Ivàn Il’ic” diceva, “hop ancora tempo per fare una bella dormita” o
quando aggiungeva, passando al “tu”, “tu sei malato, e hai bisogno di me, no?”.
Soltanto Gerasim non mentiva, era
sicuramente l’unico che capiva di che cosa si trattava e che non riteneva
necessario nasconderlo, e si limitava ad avere pietà di lui, del suo padrone
debole e sfinito. Una volta venne fuori a dire a Ivàn Il’ìc che cercava di
mandarlo via:
“Tutti dobbiamo morire. Perché non dovrei farlo?” e,
dicendo questo, voleva significare che quella fatica non gli pesava, proprio
perché lo faceva per un uomo che stava morendo, nella speranza che anche per
lui, a suo tempo, qualcuno avrebbe fatto lo stesso” (pagg. 62 – 63; c’è qui l’etica della reciprocità, la regola d’oro
che il Parlamento delle religioni Mondiali nel 1999 ha dichiarato principio
comune).
La disponibilità di Gerasim, che pur analfabeta e non istruito
è l’unico che reca conforto ad Ivàn Il’ic, mostra come non servano le lauree
per saper prendersi cura delle persone perché serve una saggezza del cuore
e non un’istruzione per avere certe intuizioni morali che ci rendono capaci di
compassione.
COME RICONOSCERE L’ALZHEIMER
a)
Disturbi Cognitivi:
Le persone con Alzheimer
- scordano intieri fatti di vita vissuta sia più
recenti (la passeggiata appena fatta: la
memoria a breve termine) sia passati;
- scordano come si
fa una cosa (nel caso di Alice, una ricetta; oppure amministrare le finanze e i
conti): è la memoria esecutiva ("Non
riesco a capire come si infila questo cazzo di reggiseno" "Alice,
questo non è un reggiseno. Sono un paio di mutande", "Still Alice", pagg. 201 - 202).
- pèrdono l'orientamento nello spazio e nel tempo
(una signora racconta: "mio marito si fa la barba di notte");
- anomia: "un'incapacità patologica
di associare un oggetto al suo nome" ("Still Alice", Piemme, 2010, pag. 81): può essere l'oblio di
una parola che hanno in mente o di un oggetto dinanzi a sé: "faceva un uso
abnorme del termine "cosa" (pag. 207);
- insalata di parole, come si dice in
gergo: accozzaglia di parole casuali, ma
che grazie al body language e all’intuizione
possono infine essere comprensibili da chi sa prestare attenzione e cura;
- pèrdono la
capacità di concentrazione (seguire indicazioni scritte o a voce);
- sindrome del
tramonto: la loro mente si affolla di persone e prova nostalgia;
- nei casi più
avanzati, non sono più in grado di prendersi cura di sé.
Se la malattia non
viene diagnosticata, si ha come la sensazione di impazzire, come racconta nella
sua lettera uno di quelli che andrà all'Alzheimer Café di Alice:
"Mi hanno diagnosticato l'Alzheimer
presenile un anno fa, come a te. E' stato quasi un sollievo. Pensavo di star
diventando pazza" ("Still Alice",
pag. 221)
b)
Disturbi del Comportamento:
- colpevolizzazione del prossimo con accuse
sbagliate e destabilizzanti: non trovano gli oggetti e trovano il
"colpevole" ma è una loro lacuna; delirio di latrocinio ("sono
stato derubato!") è un meccanismo di autodifesa quando non si comprende un
vuoto (ma non tutti i comportamenti sono forme di difesa), cui si accenna anche
nel romanzo "Still Alice" (Piemme, 2010, pag. 119, nella visita di
Alice alla casa di riposo: "Ridammi i miei soldi!").
- disinibizione emotiva cioè
un'esplosione di emozioni, come l'aggressività verbale come reazione di legittima difesa persino da parte di chi non ha
mai pronunziato una parolaccia in vita sua;
- richiedono
spesso la stessa domanda (che ora è?) e può diventare ansiogeno;
- mutacismo: il paziente diviene mutacico
perché demotivato;
- aprassia:
incapacità di fare;
- agnosia e prosopagnosia cioè incapacità di
riconoscere i volti delle persone (ne soffre e ne ha fatto coming out anche lo scrittore Luciano De Crescenzo);
- ansia: una donna
il cui marito era morto anni prima d'infarto, diceva: "Presto, torniamo a
casa perché mio marito è così ansioso che mi muore d'ansia!". Poi si
scioglie in lacrime quando la informano della morte del marito.
- apatia;
- depressione;
Un rimedio contro il wandering (vagabondaggio) delle persone con Alzheimer: un braccialetto identificativo da indossare sempre. |
- wandering:
vagabondaggio sia di giorno sia di notte (come nel romanzo "Still Alice", Piemme, 2010, pag.
119 e 138), per noia o disorientamento (questo andare in giro o avanti e
indietro senza scopo apparente si può evitare che divenga un problema
assicurandosi che il paziente abbia sempre con sé un documento d'identità (nella borsetta per le donne e nella tasca della
giacca per gli uomini) od un braccialetto identificativo, e che i vicini di
casa siano informàti: per questo è bene sviluppare un senso del buon vicinato
anche attraverso le occasioni delle feste dei vicini sul modello francese). Nel
romanzo si suggerisce di "appendere una campanella alla porta
d'ingresso" (pag. 138).
- affaccendamento: è curioso che i
movimenti ripetitivi riproducano i precedenti lavori (càpita che i maschi
dinanzi ad una carrozzina la smontino in pezzi, che le femmine puliscano i
vetri, e così via).
- atteggiamenti di
autogratificazione: da questo punto di vista, l'Alzheimer è un processo
all'indietro rispetto a quando siamo bambini, come se tornassimo alla nostra
infanzia (ci succhiamo il pollice o facciamo versi).
- paure infantili che riemergono: Michele
Farina, giornalista del "Corriere",
ci racconta che la madre aveva paura del rumore dei tacchi a spillo giacché le
rievocavano il ricordo di quando, bambina, ritornava a casa la madre e la
rimproverava puntualmente perché non aveva finito i còmpiti.
Le Meraviglie della Natura Umana: la Nostra Memoria Emotiva
La Folgorante Battuta di Sissi Spacek in "The Help":
"Non ricorderò come mi chiamo ma
non scorderò mai la Torta di Minny!"
Il Premio Oscar Sissi Spacek nel film "The Help", che ha aperto la prima edizione della mia rassegna "Il Cinema e i Diritti" alla Casa dei Diritti del Comune di Milano lo scorso anno. |
Cinzia Saverio al corso sul metodo validation di Naomi Feil testimonia a noi studenti:
"Ho
visto ricordare cose incredibili da persone dalla memoria fortemente
compromessa. E' una memoria diversa, un canale diverso, è la memoria
emotiva."
Mi viene in mente
una citazione cinematografica: nel finale del film "The Help", che ha aperto lo scorso anno la mia rassegna
"Il Cinema e i Diritti", alla
charity finale Hilly sente
pronunziare il suo nome: ha vinto la torta al cioccolato di Minny. Sorpresa, è
la madre che ha l'Alzheimer (il Premio Oscar Sissy Spacek nel film, che rivedremo
nel film "North Country" al
cineforum di domenica 22 novembre 2015 alle ore 16 qui alla Casa dei Diritti
nei panni della madre del Premio Oscar Charlize Theron) ad essersi vendicata:
"Magari non mi ricordo come mi chiamo o
in quale paese vivo, ma di due cose non mi scorderò mai: che mia figlia mi ha
rinchiuso in un ospizio, e della torta di Minny"
(Nel romanzo, a pag. 389, diceva: “Magari non
ricordo come mi chiamo o in quale paese vivo, ma te e quella torta non vi
dimentico di sicuro”, cfr.: http://lelejandon.blogspot.it/2014/11/the-help-lezione-sulla-compassione_14.html).
Il nostro Antonello
Ghezzi ci racconta un caso interessante di memoria emotiva:
"Conoscevo bene la signora Dina, che è
stata mia affezionata cliente ed è madre del mio amico Chicco il quale nel
frattempo aveva sviluppato una sua sensibilità a decifrare il suo linguaggio
oculare per capire i suoi bisogni ed emozioni. All'età di 76 anni, lei viene
colpita dall'Alzheimer che le toglierà anche la parola. Chicco mi ha riferito
che una sera lei siede davanti alla Tv,
dove i familiari guardano la puntata del quiz "L'eredità" ove io sono partecipante. Ormai inespressiva,
quando io appaio sullo schermo, le si illuminano gli occhi e lei indica col
dito come a voler esclamare: "Io quel ragazzo lì lo conosco!".
****
Il Confronto con i Paesi Avanzati
(Scandinavi Pionieri come Sempre)
(Scandinavi Pionieri come Sempre)
e uno Stato arretrato che non si assume le sue responsabilità:
Zero finanziamenti per il c.d. Piano nazionale in Italia
Mentre Obama e Cameron investono fior di Milioni
Mentre i grandi Leader hanno preso molto sul serio la
grande "questione neurologica" ed investito milioni di soldi pubblici
sia per la ricerca sia per l'assistenza, in Italia c'è ancora disorganizzazione
e vengono disattese persino le promesse dei governi.
Barack
Obama ha voluto attirare neuroscienziati europei col suo Brain Project, mentre
David Cameron,
anch'egli rieletto ed anch'egli fautore di politiche di massicci investimenti
pubblici, sa bene che cosa significhi
convivere con un familiare con malattia al cervello: il figlio Ivan Reginald
Ian gli è morto fra le braccia per la sindrome di Ohtahara, una rara forma
di encefalopatia epilettica infantile (una rara combinazione di paralisi
cerebrale e di una grave forma di epilessia che provoca anche ritardo mentale).
L'Italia, assieme a Germania e Giappone, è il Paese al mondo col
più alto numero di over 65enni. I Paesi civili avanzati hanno stilato Piani
nazionali (nel 2013 al G8 hanno definito
l'Alzheimer priorità nell'agenda globale): nel 2007 la Norvegia, nel 2007/8
il Piano della Francia (ove l'allora Presidente Nicolas Sarkozy ha dichiarato la malattia
"una causa nazionale", con un piano di ricerca, informazione,
miglioramento della qualità della vita e degli alberghi), nel 2009/2010 la
Gran Bretagna (pioniera essendo stata la
patria di Tom Kitwood) il cui motto è "living well with dementia" (vivere bene con la demenza), nel
2011 gli USA, nel 2013 il Piano dell'Australia (http://www.alzheimer.it/notiz50.pdf).
Invece
l'attuale governo ha avuto la beffa di chiamare così ("Piano
Nazionale") un'elencazione di linee-guida appunto prive di un piano e
senza un euro alla cui presentazione non si è fatta vedere il ministro della
salute (la quale, addirittura priva di laurea, si è resa autrice di numerose
altre irresponsabilità, ad esempio avendo definito in televisione l'omosessualità
una psicopatologia, ignorando o contestando la linea dell'OMS che risale al
1993, e altresì contestando l’Organizzazione Mondiale della Sanità riguardo la
cancerogenicità delle carni rosse).
Nel 2000, l'allora
ministro della salute Rosy Bindi aveva attivato 500 Unità di valutazione
Alzheimer, con prescrizioni di farmaci (anticolinesterasici) rimborsabili per
un solo anno: grazie alla petizione
della società civile (le famiglie) si ottenne la piena rimborsabilità nel
2005. Il ministro aveva promesso un'équipe
(psichiatra + geriatra + neurologo) ma in
genere si trova un solo fra questi medici (solo il 6% secondo una ricerca li ha
tutti e tre), e com'è noto l'iperspecializzazione non basta, e le varie discipline
si devono integrare, come insegna bene l'esempio del dr. Tom Kitwood,
plurilaureato ma soprattutto ispirato dalla sua formazione spirituale e dalla
sua filosofia della persona umana.
Con l’Alzheimer
avanzato lo Stato riconosce un assegno d’invalidità civile del 100%
(indipendentemente dal reddito) e può richiedere l’ausilio di un assistente
familiare (il cui stipendio minimo è di 1.350 euro lordi al mese e il cui
contratto prevede anche vitto ed alloggio e nel caso sia presente 24 ore su 24
s’arriva anche ai 2800 euro mensili). Nei casi più gravi, occorre un badante di
giorno ed uno di notte, e così part time
la spesa diviene di duemila euro al mese.
E gli aiuti
regionali variano di regione in regione. Il Friuli, regione a statuto speciale,
ha introdotto dei bonus e dei rimborsi extra per sostenere le famiglie che
vogliono tenere a casa gli anziani con Alzheimer non autosufficienti.
Oggi non tutti
sanno che le strutture RSA (Residenze
sanitarie assistite per anziani con demenze, che sono 866 in Italia) sono
completamente a carico del servizi sanitario nazionale (50% rimborsata dalle
Regioni e 50% dal Comune): attenzione alle truffe. Il guaio è che vi sono
norme regionali o comunali ove si osa chiedere una compartecipazione di spesa
dell’assistito sicché, coi nuovi
parametri ISEE (gl’indicatori della situazione economica) molte famiglie non ce
la fanno, e vendono la casa. La città ove questo servizio sanitario
funziona meglio è Brescia, in Lombardia
grazie al fatto che a dirigere il dipartimento Assi (attività socio sanitaria
integrata) dell’ASL è una psicologa, Fausta Podavitte, la quale sa cosa
significhi convivere con l’Alzheimer, avendo lei per dodici anni curato la
madre con questa demenza. La sua ASL
manda anche nella case i suoi “angeli”: operatori che assistono gli ammalati
nell’igiene personale.
Anche in
quest’àmbito emerge l’eterna questione meridionale: si pensi che le Rsa sono
488 nel Nord e solo 144 al Sud. Le ASL forniscono l’elenco delle strutture sul
territorio e i tempi d’attesa vanno dai
tre mesi ai sei mesi!
Il Comune di
Milano, com'è anche stato attestato al convegno svoltosi lo scorso 22 settembre
qui alla Casa dei Diritti in Sala Bomprezzi, è all'avanguardia, e da
quattr'anni dedica una voce di bilancio al welfare per l'Alzheimer ed ha
attivato nel suo sito (anche se non è facile da trovare) una Rete per
l'Alzheimer.
La maggioranza dei
caregivers sono donne, a
dimostrazione della prepotenza degli stereotipi di genere che delegano sempre
gl'incarichi di cura al genere femminile, come se fosse un'esclusiva naturale
delle donne (come nel racconto di Alice Munro ove si legge: “Le donne
asciugavano la bava dal vecchio mento tremante dei loro cari, e gli uomini
distoglievano lo sguardo”, pag. 290). Tale carico di lavoro così sbilanciato
comporta un malessere: più di metà non
dorme a sufficienza, e più del 40% è depresso.
I Titoli in Lingua Inglese:
dalla Spiritualità Biblica
al Diritto per le Famiglie
dalla Spiritualità Biblica
al Diritto per le Famiglie
Mentre in Italia domina la vergogna, la
paura e l'ignoranza. e non solo si legge sempre meno in generale, ma nello
specifico non si pubblicano testi sull'argomento Alzheimer e sull'argomento
morte, nei Paesi di lingua inglese ci sono titoli come "Worshipping With Dementia; Meditations,
Scriptures and Prayers for Sufferers and Carers" o "Could
it Be Dementia? Losing your Mind doesn't man losing your soul", il
libro per avvocati "Alzheimer's and
the Law: Counseling Clients with Dementia and
Their Families" di Kerry Peck e Rick L. Law,
La Storia dell'Alzheimer:
dimenticato per 70 anni
dimenticato per 70 anni
Decisive le Star di Hollywood
per la Cultura della Visibilità
per la Cultura della Visibilità
L'Alzheimer fu così chiamato (Alzheimer Krankheit, malattia d'Alzheimer) dallo psichiatra Emil Kraepelin (1856 - 1926) in onore di Alois Alzheimer che per primo l'identificò
interrogando una paziente ricoverata in una clinica di Francoforte che aveva
perso la cognizione dello spazio e del tempo. Nella sua autopsia, il medico vi
trovò placche di amiloide. Nel 1997 alcuni scienziati australiani hanno
riesaminato i vetrini del dottor Alzheimer e confermato le osservazioni del grande
medico tedesco.
Il Documento: il
Colloquio del dr. Alzheimer con la Prima Paziente
Scorda il nome del Marito e non sa cosa sta mangiando
Ecco l'estratto
del colloquio con la signora:
"Qual è il suo nome?"
"Auguste"
"Cognome?"
"Auguste"
"Il nome di suo marito?"
(Esita): "Credo...Auguste"
"Suo marito?!"
"Oh sì"
"Quanti anni ha?"
" 51"
"Dove vive?"
"Oh, Lei è stato a casa nostra" (forse un
tentativo disperato, come fanno sia Iris nel film con Judi Dench, e Fiona nel
film con Julie Christie, di celare il proprio oblio, ndr)
"E' maritata?"
"Oh, sono così confusa."
"Dove si trova ora?"
"Qui e dovunque, qui ed ora, non deve pensar
male di me"
"Dove si trova in questo momento?"
"Vivremo lì"
"Dov'è il suo letto?"
"Dove dovrebbe essere?"
(Altro colloquio, mentre lei pranza):
"Cosa sta mangiando?"
"Spinaci" (in realtà carne)
"che cosa sta mangiando ora?"
"Prima mangio le patate e poi rafano"
"Scriva "5".
(Lei scrive "una donna")
"Scriva un "8""
(scrivendo "Auguste" va ripetendo
"Mi sono persa, per così dire").
(brano tradotto da Lele Jandon)
Lo Studiò Bene Robert Butler:
grato di essere stato cresciuto dai Nonni, studiò anche i Vecchi
in Buona Salute e coniò la Parola “Ageism”:
Discriminazioni sull’Età
A studiare l'Alzheimer fu, a partire dagli anni Settanta, lo
psichiatra americano Robert Butler (1927 - 2010), fondatore del
National Institute on Aging e Premio Pulitzer per i suoi studi sulle persone agées. Essendo grato del fatto di essere
stato cresciuto dai Nonni, Butler (purtroppo non pubblicato in Italia) ha
studiato bene sia i soggetti sani, sia le
discriminazioni contro le persone anziane, da lui chiamate "ageism" e di cui parleremo giovedì 19 novembre alla mia rassegna
"I Nostri Angeli" alla Sala
Gregorianum in occasione del film "Un
giorno questo dolore ti sarà utile". L'Alzheimer è una riduzione
delle cellule cerebrali, che causa rimpicciolimento (atrofia) di alcune aree
del cervello e alla riduzione di alcuni neurotrasmettitori come l'acetilcolina.
Mentre prima si
parlava semplicemente di "senilità"
come un processo fisiologico, questo processo venne poi riconosciuto come una
malattia di cui si va cercando la cura.
Una malattia che è
stata come dimenticata per settant'anni e che fu riconosciuta come un problema
pubblico grazie all'impegno di persone come la figlia di Rita Hayworth.
***
La Filosofia della
Medicina Interdisciplinare
(fra Psicologia e Sociologia)
del Gerontologo
Inglese Tom Kitwood:
"La Cura non si riduce al Cervello"
"Il
Malato resta Persona". Per i Nazisti i Vecchi
erano "Problema da Spending Review"
erano "Problema da Spending Review"
Tom Kitwood (1937
- 1998) è stato uno psicologo sociale e psicogerontologo che fu pioniere di un approccio
moderno alle demenze, quando ancora (sino a 25 anni fa) si soleva dire
"senilità" anziché Alzheimer.
Intuì che non
bisogna consegnare in mano agli esperti iperspecialisti la persona con
Alzheimer, perché ci vedranno solo il lato patologico. Esperienzialmente,
Kitwood concluse un'importante verità umana, e cioè che esiste un nucleo per
cui si può dire che il malato resta Persona, se gode di un'alta qualità di assistenza.
Questa fu anche la posizione espressa nel libro "Formalismus" dal filosofo cattolico di origine ebraica Max Scheler (Monaco 1874 - Francoforte
1928), anche lui con una formazione medica come Kitwood:
"Si può solo affermare che la malattia rende completamente
invisibile la personalità e che non è pertanto possibile alcun giudizio su di
essa"
Per il
nazionalsocialismo, per esempio, il malato è un problema matematico e di spending review come mostra il Premio
Oscar Roberto Benigni nel film Premio Oscar "La Vita è bella" c'è una scena ove viene elogiata la bravura dei
bambini tedeschi nel risolvere problemi di matematica come questo:
“Un pazzo costa allo Stato 4 marchi al giorno. Uno storpio 4,50, un epilettico 3,50. Visto che la quota media è di 4 marchi al giorno e i ricoverati sono 300 mila, quanto si risparmierebbe complessivamente se questi individui venissero eliminati?”
Si noti il
vocabolo “individui” usato in luogo di “persone”.
Del resto nel
nazionalsocialismo non esisteva il concetto di persona umana.
Il positivismo,
dominante nelle scienze ottocentesche, sposava il meccanicismo che risaliva a
Cartesio (il corpo è una macchina da riparare, come un orologio dall’orafo).
Anche un certo
modo di esercitare la medicina estetica risente di una simile visione
riduzionistica: rifaccio una parte che non ha più un valore di mercato, una
funzione di mercato. (Di contro a questa visione, ci sono grandi attori come
Meryl Streep, che hanno dimostrato invecchiando serenamente quante emozioni può
donarci un volto autentico che reca i segni del tempo nell’arte della
recitazione profonda).
La REGOLA D'ORO. |
L'opera premiata "Dementia
Reconsidered: the Person Comes
First" (1997) raccoglie tutti i suoi studi e scoperte degli ultimi
dodici anni ed è alla base di tutte le terapie non mediche. Nato a Boston
(omonima della città del Massachusetts) nel Lincolnshire, laureato in scienze
naturali nel 1960 alla prestigiosa Cambridge University, studiò da prete e fu ordinato nel 1962. Insegnò fisica per sette
anni, poi si trasferì in Uganda sia per insegnare fisica sia per fare il
cappellano della scuola agli africani poveri. Qui scrisse il suo primo libro di
filosofia, "What is Human?"
(1970, "Che cos'è umano?"),
e nel 1969 s’ammoglia con Jenny Cooper. Poi i due tornarono in Inghilterra.
Ebbero un figlio ed una figlia. Kitwood proseguì gli studi universitari: in
Psicologia e Sociologia dell'Educazione, poi un dottorato in Psicologia sociale
lavorando part time come docente
all'università. I suoi campi d'interesse sono il counselling, la psicoterapia e la psicologia del profondo. Quando gli fu commissionato di
supervisionare un progetto di ricerca sulle demenze dall'autorità della salute
della sua città, venne a contatto quotidiano con queste persone in residenza
assistenziale. Scoprì così nuovi interessi: i dettagli della pratica di
cura, e i risultati a lungo termine con cura di alta qualità. Di suo, sviluppò il corso sulla psicologia del
profondo della cura della demenza ("Depth Psychology of Dementia Care"), ove applicava la propria
precedente formazione in psicologia del profondo al nuovo àmbito. Nel 1992
fondò a Bradford il "Bradford Dementia Group" col suo approccio di
"cura centrata sulla persona" ("person-centred care")
che considera gli esseri umani
in quanto tali indipendentemente dalla loro malattia o disabilità bensì in
quanto persone con la loro storia e che si riassume in estrema sintesi così:
"Trattare gli altri nella maniera in cui
tu stesso vorresti essere trattato"
("Treat others in a way you yourself would like to be
treated")
che è la regola d'oro comune a tante religioni (formulata in varie maniere, ma sostanzialmente la stessa sapienza antica, lo stesso principio).
Esistono tante
demenze quante persone che ci convivono: contro il riduzionismo biologico, che
riduce il problema al cervello, la "formula arricchita della demenza" teorizzata da Kitwood indica che la demenza
del soggetto è data dai seguenti fattori, tutti egualmente importanti:
- il danno neurologico (il
cervello);
- la salute fisica (complessiva: come va il resto? la pressione, la
respirazione, etc);
- la personalità ("personhood",
o meglio "il carattere", "character",
come insegna lo psicanalista junghiano James Hillman);
- la biografia (la storia
personale);
- la dimensione sociale (che è
studiata dalla psicologia sociale: ambiente e interazioni): Kitwood era appunto
laureato in psicologia e sociologia.
La psicanalista e filosofa Enrichetta
Buchli, nel suo bel saggio “Non è un
Paese per vecchi” nella “Rivista per
le Medical Humanities” (numero 25, anno 7, maggio-agosto 2015, pagg. 57 –
61), ha ricordato (pag. 58) come le scienze debbano tenere conto di avere a che
fare con anima e corpo, e ricorda come il filosofo ebreo Husserl (1859 – 1938) distingua
il corpo oggetto (oggetto di studio, oggetto come mezzo, Körper) ed un corpo soggetto (corpo proprio o corpo vissuto, Leib, da leben, vivere). Quelle scienze mediche
che trattano il paziente come un corpo-oggetto (prendendo in considerazione
solo la parte malata) sono prive d’immaginazione morale, impersonali e
provocano alienazione nei pazienti. Tom
Kitwood, dunque, ha saputo restituirci il corpo soggetto come parte integrante
della Persona umana grazie alla sua filosofia della medicina. Scrive la
professoressa Buchli:
PSICANALISTA E FILOSOFA. La dottoressa Enrichetta Buchli è Ospite ascoltatissima del Cineforum "Il Cinema e i Diritti" alla Casa dei Diritti del Comune di Milano. |
“Nell’epoca post-moderna impera l’ideologia di un corpo meccanico,
soggetto e oggetto di consumo” (pag. 59).
La dottoressa Buchli ricorda altresì che per
Jung (1875 – 1961) il vecchio è una figura simbolo di saggezza anche
nell’inconscio collettivo che affiora nei nostri sogni (cfr. il mio saggio “La Natura dei Sogni: dall’Immaginario
Religioso dei Greci alle Neuroimmagini” http://lelejandon.blogspot.it/2013/05/la-natura-dei-sogni-dallimmaginario-dei.html
). Un altro analista junghiano, James
Hillman (1926 – 2011), nel suo libro “La
Forza del Carattere” dice che dobbiamo recuperare
la parola “vecchio” nel senso positivo in cui usiamo l’espressione “vecchio
film” o “vecchio amico”.
La professoressa cita Oliver Sacks (Londra
1933 – New York 2015), il neurologo ebreo britannico scomparso poche settimane
fa che mostra bene le potenzialità di
adattamento non prevedibili dei nostri vecchi.
Secondo Buchli, nella tirannia del presente
scordiamo il memento mori (“l’unico
farmaco in grado di far vivere fino in fondo il presente”, pag. 60). E ciò
spiega come mai neghiamo, oltreché le vecchiaia la morte.
L’allora presidente francese (1981 – 1988) François
Mitterrand (1916 – 1996) nella sua prefazione al libro della psicanalista Marie de Hennezel
“La morte amica” (BUR 2015, prima
ediz. 1996, traduzione di Laura Revelli, titolo originale “La mort intime”, Éditions Robert Laffont, S.A., Paris 1995) dice che
“Viviamo in un
mondo che ha paura di questa domanda e quindi la evita. Altre civiltà, prima di
noi, guardavano la morte in faccia” (espressione usata dalla dottoressa de
Hennezel riguardo ai suoi pazienti) “Tracciavano per la comunità e per il
singolo la via del passaggio. Mai forse il rapporto con la morte è stato povero
come in questi tempi di aridità spirituale in cui gli uomini, nella fretta
di esistere, sembrano eludere il mistero, ignari di prosciugare così una
fonte essenziale del gusto di vivere” (pag. 7).
Io penso, per
esempio, a quei bambini e ragazzini i cui disgraziati genitori non fan vedere
le nonne o i nonni ammalati terminali pensando di proteggerli e negandogli così
un insegnamento di vita. Invece ci sono modi di spiegare la morte ai bambini,
come fa questa nonna:
“La morte è come una nave che s’allontana
verso l’orizzonte. C’è un momento in cui sparisce. Ma non crediate che non
esista più, solo perché non la vediamo” (pag. 96)
Del resto, “come lei spiega ad un amico malato
terminale, “il salpare su una nave è uno dei simboli ricorrenti nei sogni delle
persone prossime alla morte” (pag. 91).
L’analista autrice
del libro (“frutto di sette anni di esperienza” di accompagnatrice sino alla
morte dei malati terminali, pag. 18) scrive:
“La morte, la nascondiamo come se fosse
vergognosa e sporca. Nella morte, vediamo soltanto orrore, assurdità,
sofferenza inutile e penosa, scandalo insopportabile” (proprio come nel
racconto di Tolstòj “La morte di Ivàn
Il’ic”) “è invece il momento culminante della nostra vita, ne è il
coronamento, quello che le dà senso e valore” (pag. 13)
Marie de Hennezel: "Ho abbandonato il Dogma "Non Toccare!" ed ho ascoltato le mie Intuizioni del Cuore": così ho scoperto la scienza del Contatto con le Persone Malate
A proposito della corporeità, la de Hennezel è un’esperta di aptonomia (dal greco antico haptós, “tangibile”) “la scienza del contatto affettivo” (“disciplina ancora non praticata in Italia”, pag. 39) fondata da Franz Veldman. Prim'ancora di conoscere questa scienza, la ha intuita:
"Tutti
gli ammonimenti, le regole rigide della psicoanalisi - non toccare, non
parlare- sono crollati di colpo. Ho dovuto avvicinarmi, ascoltare il mio intuito, parlare con il cuore, posare le mani
sulla zona dolorante, come avrei forse fatto per chiunque in una situazione del
genere" ("La morte amica",
op. cit., pag. 186).
ANGELO UMANO. Frans Veldman è fondatore dell'aptonomia, la scienza del contatto con i malati praticata da Marie de Hennezel. |
«Forse può
sembrare ridicolo seguire un corso di formazione per sviluppare una facoltà del
genere. Purtroppo, il mondo nel quale
siamo tutti cresciuti e continuiamo a muoverci non favorisce il contatto
affettivo spontaneo tra esseri umani. Certo, tocchiamo gli altri, ma con
un’intenzione erotica. Oppure in un contesto oggettivo, come nell’universo medico, dove si maneggiano “corpi-oggetto” (che, appunto, Husserl
chiama Körper, ndr, corsivi
miei). Ci si dimentica di quello
che può sentire la “persona”. E’ quindi importante sensibilizzare i
professionisti della salute a una dimensione dell’approccio umano che comprenda
l’incontro tattile... Si cura un piede, una gamba, un polmone, un seno, come un
qualcosa di distinto, o si cura forse la persona che soffre in questo o quel
punto del corpo ed esprime tale sofferenza con il suo modo personale di essere?
Sappiamo in quale misura la qualità di una presenza e il grado di attenzione
possano cambiare il modo in cui qualsiasi intervento medico, anche il più
aggressivo, viene recepito dai malati... In un reparto di cure palliative, il
senso del contatto è uno dei valori positivi della terapia... L’approccio
tattile permette ai malati di sentirsi integri e pienamente vivi. Come se si avvolgesse la pelle dolorante di
un corpo moribondo con una seconda pelle, più delicata... Una pelle psichica,
una pelle dell’anima». (pag. 77 - 78)
"Ho
sviluppato a poco a poco a contatto con i miei malati così sofferenti un
approccio tattile, un "tocco" che permette loro di sentirsi integri e
pienamente vivi. Come se si avvolgesse
la pelle dolorante di un corpo moribondo con una seconda pelle, più
delicata, più aerea. Una pelle psichica, una pelle dell'anima" ("La morte amica", op. cit., pag. 222)
Il
Presidente François Mitterand (1916 - 1996) le ha detto: "S'intuisce che
non è con le parole che lei aiuta i malati a trovare la pace, ma con la sua
presenza. Con lei, almeno, ci si può lasciar andare" ("La morte amica", op. cit., pag.
227).
La dottoressa de Hennezel è come
un angelo: come il dio Hermes, il quale accompagnava i defunti nell’aldilà (e
perciò detto Psicopompo, accompagnatore di anime), fa da accompagnatrice
alle persone cosiddette “moribonde” (in realtà piene di vitalità spirituale)
nel senso che sono malati terminali (cancro e aids). “Questa veglia paziente,
fatta di affetto” è “chiamata accompagnamento” (pag. 19). Anghelos (messaggero) era fra l’altro uno degli epiteti del dio
Ermes. Infatti, il suo amico Bernard, bel ragazzo 40enne malato di aids, la
chiama “Angelo mio” (pag. 19).
"Perché avete paura?
In fondo, sono io che muoio!"
E' così che una giovane infermiera, che stava morendo per un tumore, si rivolse alle sue colleghe."Mi rendo conto che siete in imbarazzo, che non sapete cosa dire, né che fare. Ma credetemi, non ci si può sbagliare se uno dimostra calore. Lasciatevi toccare. E' questo ciò di cui abbiamo bisogno. Possiamo porci domande sul dopo o sul perché, ma non ci aspettiamo veramente una risposta.
Non scampatela così, aspettate! Voglio semplicemente sapere se ci sarà qualcuno a tenermi la mano quando ne avrò bisogno. Se noi potessimo solo essere sinceri, ammettere le nostre paure, toccarci l'un l'altro. Dopo tutto, la vostra professionalità ne verrebbe davvero minacciata? Allora non sarebbe forse tanto duro morire all'ospedale... perché uno avrebbe degli amici". Questa lettera punta il dito su ciò che ci impedisce di essere umani: la paura.
Di che cosa abbiamo paura?
Della morte, di cui dicono sia una cosa un pò sporca, un tabù, soprattutto una cosa che va tenuta nascosta?
Abbiamo paura della paura dell'altro? O più semplicemente paura di aprire il cuore, di essere finalmente autentici, paura di liberare le risorse affettive che dormono in fondo al nostro essere?
Perché alcuni guaritori superano la paura e riescono a essere presenti, a essere all'ascolto di chi sta per morire?
Perché altri negano la morte, accanendosi sul "corpo" del malato e abbandonando la "persona"? E' lecito pensare che i primi, che sono stati rassicurati del loro essere "buoni", osano vivere la loro sensibilità dinanzi alla sofferenza altrui, mentre invece i secondi, che non hanno mai ricevuto tale conferma affettiva, non possono assumere "affettivamente" il loro ruolo presso i malati morenti. non si tratta di giudicarli, ma di aiutarli e rassicurarli a loro volta. Perché ogni essere umano possiede in potenza questo "extentus affectus" di cui parla Frans Veldman (l’ideatore dell’aptonomia, ndr). L'aptonomia, così ci dicono, "apre le strade che portano a un modo di essere più umano".
E' così che una giovane infermiera, che stava morendo per un tumore, si rivolse alle sue colleghe."Mi rendo conto che siete in imbarazzo, che non sapete cosa dire, né che fare. Ma credetemi, non ci si può sbagliare se uno dimostra calore. Lasciatevi toccare. E' questo ciò di cui abbiamo bisogno. Possiamo porci domande sul dopo o sul perché, ma non ci aspettiamo veramente una risposta.
Non scampatela così, aspettate! Voglio semplicemente sapere se ci sarà qualcuno a tenermi la mano quando ne avrò bisogno. Se noi potessimo solo essere sinceri, ammettere le nostre paure, toccarci l'un l'altro. Dopo tutto, la vostra professionalità ne verrebbe davvero minacciata? Allora non sarebbe forse tanto duro morire all'ospedale... perché uno avrebbe degli amici". Questa lettera punta il dito su ciò che ci impedisce di essere umani: la paura.
Di che cosa abbiamo paura?
Della morte, di cui dicono sia una cosa un pò sporca, un tabù, soprattutto una cosa che va tenuta nascosta?
Abbiamo paura della paura dell'altro? O più semplicemente paura di aprire il cuore, di essere finalmente autentici, paura di liberare le risorse affettive che dormono in fondo al nostro essere?
Perché alcuni guaritori superano la paura e riescono a essere presenti, a essere all'ascolto di chi sta per morire?
Perché altri negano la morte, accanendosi sul "corpo" del malato e abbandonando la "persona"? E' lecito pensare che i primi, che sono stati rassicurati del loro essere "buoni", osano vivere la loro sensibilità dinanzi alla sofferenza altrui, mentre invece i secondi, che non hanno mai ricevuto tale conferma affettiva, non possono assumere "affettivamente" il loro ruolo presso i malati morenti. non si tratta di giudicarli, ma di aiutarli e rassicurarli a loro volta. Perché ogni essere umano possiede in potenza questo "extentus affectus" di cui parla Frans Veldman (l’ideatore dell’aptonomia, ndr). L'aptonomia, così ci dicono, "apre le strade che portano a un modo di essere più umano".
L'invito a una maggiore
umanità intorno alla morte e ai morenti non è certo superfluo nel mondo in cui
viviamo oggi. E' divenuto anzi un elemento di grande importanza. La questione
della morte, che ci si pensi o no, è al centro della nostra vita: la definisce
nella sua interezza e le dà il suo giusto prezzo. Inoltre la visione che una
società ha della morte, il modo in cui essa tratta coloro che stanno per
morire, è di per sé un indice del suo grado di umanità. Dobbiamo ammettere che
questo indice è caduto davvero in basso in questa fine del Ventesimo Secolo,
caratterizzato dal rifiuto della morte, dal mito dell'onnipotenza della
medicina, e dalla esclusione della morte dalla vita sociale. In effetti viviamo
in un mondo in cui "morire bene" significa morire rapidamente, ancor
meglio se inconsciamente, e possibilmente in ospedale per non creare troppo
disturbo a chi ci è vicino. Del resto, come potrebbe essere diversamente, dal
momento che i valori che governano la nostra vita sono l'efficienza, la
prestazione ottimale, l'affidabilità e il consumo?
In questa cornice, l'accompagnamento del morente e le cure palliative rappresentano una nuova forma di umanità. Nato da una presa di coscienza di fronte al rifiuto generalizzato della morte e alla sua conseguenza logica, cioè l'incapacità di accettare la morte di un parente o di un paziente, e anche di fronte ai rischi di generalizzazione e banalizzazione dell'eutanasia, il movimento delle cure palliative e dell'accompagnamento dei morenti riunisce medici, infermiere, psicologi e volontari che tentano di restituire umanità alla morte, di "ri-socializzarla", in una parola di reintegrarla nella vita. Io stessa faccio parte di questo movimento, e lavoro in qualità di psicologa e psicoterapeuta nell'Unità delle Cure Palliative, fin da quando è stata creata. Ed è di questa esperienza che vi parlerò. Debbo innanzitutto raccontarvi un'esperienza che ha rappresentato una vera e propria svolta nella mia vita professionale. Essa si colloca all'origine della ricerca che ho intrapreso e che mi ha portato fino all'aptonomia. Si tratta del primo accompagnamento che ho fatto di un paziente malato di cancro in fase terminale. E' in quell'occasione che ho scoperto tutta l'importanza del contatto fisico. E non è così facile per una psicoterapeuta formata al principio che il paziente non si tocca. Spesso si dice che siano i morenti a insegnarci come accompagnarli. Fu esattamente così.
In questa cornice, l'accompagnamento del morente e le cure palliative rappresentano una nuova forma di umanità. Nato da una presa di coscienza di fronte al rifiuto generalizzato della morte e alla sua conseguenza logica, cioè l'incapacità di accettare la morte di un parente o di un paziente, e anche di fronte ai rischi di generalizzazione e banalizzazione dell'eutanasia, il movimento delle cure palliative e dell'accompagnamento dei morenti riunisce medici, infermiere, psicologi e volontari che tentano di restituire umanità alla morte, di "ri-socializzarla", in una parola di reintegrarla nella vita. Io stessa faccio parte di questo movimento, e lavoro in qualità di psicologa e psicoterapeuta nell'Unità delle Cure Palliative, fin da quando è stata creata. Ed è di questa esperienza che vi parlerò. Debbo innanzitutto raccontarvi un'esperienza che ha rappresentato una vera e propria svolta nella mia vita professionale. Essa si colloca all'origine della ricerca che ho intrapreso e che mi ha portato fino all'aptonomia. Si tratta del primo accompagnamento che ho fatto di un paziente malato di cancro in fase terminale. E' in quell'occasione che ho scoperto tutta l'importanza del contatto fisico. E non è così facile per una psicoterapeuta formata al principio che il paziente non si tocca. Spesso si dice che siano i morenti a insegnarci come accompagnarli. Fu esattamente così.
Ricordo quello che provai
entrando nella stanza dove giaceva quell'uomo, piegato dal dolore: un profondo
sentimento di impotenza, una perdita immediata dei miei riferimenti di
psicologa. Visto a posteriori, ringrazio per quel vuoto che ho sentito, perché
mi ha permesso di essere umana e spontanea. Mi sono lasciata condurre, come si
suol dire, dal cuore e dall'istinto. L'uomo era disteso su un divano basso. Mi
sono inginocchiata al capezzale e ho
posato la mano sulla terribile metastasi allo sterno che lui m'indicava come
localizzazione del dolore. Ho posto in quel contatto tutta la calma,
l'intensità e la presenza di cui ero capace, e sono rimasta là al suo fianco,
come sospesa fuori da me stessa. Un quarto d'ora più tardi l'uomo si è calmato
e si è addormentato. Quello fu l'inizio di un accompagnamento che sarebbe
durato un mese fino alla sua morte in ospedale. Lo andavo a trovare tre volte
alla settimana, e mi lasciavo guidare da lui. Non sembrava voler parlare molto,
ma piuttosto restare semplicemente con quel contatto, affondare la testa
nell'incavo del mio braccio. Restavamo così a lungo. E quando me ne andavo, mi
dicevo: "Ma che succede? E' un lavoro da psicologo questo? Non dovrei
incoraggiarlo a parlare?" Forse avevo capito allora che l'accompagnamento
è proprio questo: lasciarsi guidare dall'altro, adattarsi. Ed era più che
evidente che ciò di cui aveva bisogno quest'uomo era di una presenza che non
chiedesse nulla, che non si aspettasse nulla, una presenza che io potevo
offrirgli tanto più facilmente in quanto la mia affettività - contrariamente a
quella della moglie - non era abitata dall'angoscia e dalla paura della
perdita, né era appesantita dal fardello di un passato conflittuale.
Benché prima di lasciare la casa mi attardassi sempre un po' con la moglie per evitare che si sentisse esclusa, riconosco che avrei potuto integrarla di più in quello "stare insieme" che Veldman definisce il "consensus haptonomicus". Nonostante questo, l'uomo mi ha scelta come intermediaria, poiché la sera prima di morire mi ha confidato un messaggio d'amore destinato ai suoi: "Li amo tanto" sono state le sue ultime parole. Quando, dopo la morte, le ho riferite alla moglie, lei ha pianto di gioia tra le mie braccia.
Più tardi ho cercato di saperne sempre di più sul contatto, e mi sono imbattuta sull'aptonomia. Questo incontro mi ha dato conferma di quell'approccio che già presentivo giusto, incoraggiandomi a metterlo in pratica sempre più e aprendomi a prospettive sempre più nuove.
Benché prima di lasciare la casa mi attardassi sempre un po' con la moglie per evitare che si sentisse esclusa, riconosco che avrei potuto integrarla di più in quello "stare insieme" che Veldman definisce il "consensus haptonomicus". Nonostante questo, l'uomo mi ha scelta come intermediaria, poiché la sera prima di morire mi ha confidato un messaggio d'amore destinato ai suoi: "Li amo tanto" sono state le sue ultime parole. Quando, dopo la morte, le ho riferite alla moglie, lei ha pianto di gioia tra le mie braccia.
Più tardi ho cercato di saperne sempre di più sul contatto, e mi sono imbattuta sull'aptonomia. Questo incontro mi ha dato conferma di quell'approccio che già presentivo giusto, incoraggiandomi a metterlo in pratica sempre più e aprendomi a prospettive sempre più nuove.
Marie de Hennezel deplora un'altra forma di
menzogna, speculare a quella così ben descritta da Tolstòj:
"Intorno
al moribondo c'è troppo spesso negli ospedali una tendenza a impedire qualsiasi
espressione emotiva. Grazie a tutta una serie di calmanti, si fa il possibile affinché il moribondo faccia il morto. Deve
restare calmo e a riposo. Lo si avvolge nel silenzio, se non nella menzogna,
proteggendo i vivi dalla voce che potrebbe infrangere quel muro gridando:
"Ho paura, sto per morire, sto soffrendo" Sì, troppo spesso quella
voce viene soffocata. Che cosa si può dire? Che cosa si può fare di fronte a
quel grido? Soffochiamo quel grido, perché non sopportiamo di non poter fare
niente. Chi ci chiede di fare qualcosa? Chi sta per morire ci chiede forse
d'impedirgli di morire? Non ci chiede
invece di poter sfogare dolore e paura, di poter mandare il suo grido?"
(quella che il reverendo Matthew Fox chiama "Via negativa", ndr)" ("La morte amica", op. cit., pagg. 206 - 207).
Riferendosi
ad un amico ammalato terminale scrive la de Hennezel:
"Il suo
corpo si sta dissolvendo, il suo pensiero regredisce. Ma restano il cuore e
l'anima, entrambi intatti. Non è come se alla fine della vita ci fosse una
suddivisione diversa dell'energia vitale? Se c'è una perdita sul piano
fisico e intellettuale, non si osserva un guadagno sul piano affettivo e
spirituale?" ("La morte amica",
op. cit., pagg. 222 - 223)
L’Immaginazione Morale dell’Infermiera
Inglese Cecily Saunders: “Dolore Globale”
No al Lutto Anticipato che ci depriva della Condivisione
di Emozioni col Malato Terminale
Inglese Cecily Saunders: “Dolore Globale”
No al Lutto Anticipato che ci depriva della Condivisione
di Emozioni col Malato Terminale
di MARIE de HENNEZEL
ANGELO UMANO. Cecily Saunders, infermiera britannica, madre delle cure palliative per i malati terminali. |
"Si può immaginare quanto un
approccio del genere possa apportare a una persona in fase terminale di
malattia. Dopo un lungo percorso di sofferenze fisiche, il malato sopporta anche il peso della cospirazione al silenzio che si
è creata intorno a lui, e troppo spesso, purtroppo, anche il tirarsi indietro
dei suoi cari, che tendono, appena conosciuto il pronostico, a rifugiarsi nella
fuga o in un lutto anticipato.
E' questa la ragione per cui Cecily Saunders (1918 – 2005, infermiera britannica, ndr), madre delle cure palliative in Europa, ha introdotto il concetto di sofferenza globale. Se il dolore fisico deve essere assolutamente alleviato (l'accompagnamento non può aver luogo se la persona soffre fisicamente), non può tuttavia essere trattato senza tener conto anche degli altri aspetti psicoaffettivi, sociali e spirituali della sofferenza di chi muore.
Le cure palliative rappresentano quindi un terreno sul quale la competenza tecnica e l'apertura e disponibilità affettiva sono intimamente collegate e debbono procedere congiuntamente.
Si capisce dunque che nell'istituzione le cure palliative rappresentino una rivoluzione: le priorità vengono capovolte, perché si tratta di privilegiare la qualità della vita che resta da vivere, piuttosto che prolungarne ad ogni costo la durata. Questo richiede da parte dei medici e degli infermieri di attribuire più importanza all' "essere" che non al "fare", cosa che può avvenire solo se accettano serenamente i loro limiti e riconsiderano la morte come quel fattore ineluttabile su cui si fonda la vita. E' solo a questa condizione che costoro, anziché combattere contro un nemico che non è tale, si potranno rendere disponibili ad accompagnare i loro pazienti nell'ultimo tratto del cammino.
Le cure palliative si basano, inoltre, su una scommessa: la morte non si riduce a una catastrofe biologica; è un "avvenimento" che comporta il vivere. La scommessa dell'accompagnamento è che se il corpo biologico si degrada, l'attività psichica, invece, continua. L'avvicinarsi della morte fisica non porta con sé necessariamente una riduzione della libido vitale, anzi a volte la risveglia. Michel de M'uzan in un articolo intitolato "Il travaglio del trapasso", constata che alcuni pazienti poco prima di morire conoscono un' "accensione del desiderio", un "appetito relazionale", in cui la posta in gioco è tanto più importante in quanto, attraverso tali emozioni, il morente tenta di assimilare tutto ciò che non ha potuto fino a quel momento, "come se cercasse di mettersi al mondo completamente, prima di sparire".
Cerchiamo di capire bene ciò che questo vuol dire: sapere che uno presto morirà comporta un grande sconvolgimento. La parola 'crisi' non basta a descrivere questo grande sconvolgimento interiore, ancor più violento se avviene quando l'individuo è giovane e ha il sentimento legittimo di non aver realizzato a pieno la sua vita. Si capisce anche che la consapevolezza di avere un tempo limitato da vivere, una volta superato il primo choc, viene accompagnata da una trasformazione, da una maturazione interna, legata agli interrogativi sul senso della vita. Abbiamo l'impressione che la persona, più che mai, cerchi il proprio essere.
Che si parli del "processo del morire", di "crisi del morire", di "travaglio del trapasso", si tratta in effetti di tener conto del fatto che un morente resta comunque un vivente, alle prese con un'esperienza nuova, ma con un'anima viva, i cui movimenti possono, fino al momento della morte propriamente detta, raggiungere un'intimità e una bellezza davvero profonde.
Troppo spesso i parenti, persi nel loro dolore e in un lutto anticipato, e i medici, chiusi nel loro senso di fallimento, non sono in grado di vedere o di sentire tutto quello che si può ancora vivere, condividere, scoprire in questi ultimi momenti di vita. Spesso proietteranno le loro stesse sofferenze sul morente, esigendo al posto suo che vengano abbreviati i suoi giorni visto che non c'è più nulla da fare. Troppo spesso si pensa, a torto, che non ci sia più nulla da sperare da un periodo di tempo che viene vissuto solo come attesa della morte. Ora, l'esperienza ci ha mostrato invece che possono avvenire molte cose sul piano dell'affettività. La morte "psichica" anticipa allora la morte "fisica', quando il morente si sente abbandonato, inutile, quando ha l'impressione di aver perso la dignità, la libertà e la responsabilità. E' possibile non morire prima di morire, e di entrare da vivi nella morte?
Un approccio autenticamente aptonomico mantiene aperta la domanda, in quanto rispetta la morte come tempo e spazio volti a una nuova esperienza. Sappiamo che quando la sua ricchezza affettiva viene riconosciuta, stimolata e valorizzata fino in fondo, il morente può vivere degli scambi relazionali molto intensi. Questo ovviamente implica che il morente va accompagnato con quelle qualità di presenza e di amore 'contenuto' in cui egli troverà la sicurezza di cui ha bisogno per separarsi.
E' questa la ragione per cui Cecily Saunders (1918 – 2005, infermiera britannica, ndr), madre delle cure palliative in Europa, ha introdotto il concetto di sofferenza globale. Se il dolore fisico deve essere assolutamente alleviato (l'accompagnamento non può aver luogo se la persona soffre fisicamente), non può tuttavia essere trattato senza tener conto anche degli altri aspetti psicoaffettivi, sociali e spirituali della sofferenza di chi muore.
Le cure palliative rappresentano quindi un terreno sul quale la competenza tecnica e l'apertura e disponibilità affettiva sono intimamente collegate e debbono procedere congiuntamente.
Si capisce dunque che nell'istituzione le cure palliative rappresentino una rivoluzione: le priorità vengono capovolte, perché si tratta di privilegiare la qualità della vita che resta da vivere, piuttosto che prolungarne ad ogni costo la durata. Questo richiede da parte dei medici e degli infermieri di attribuire più importanza all' "essere" che non al "fare", cosa che può avvenire solo se accettano serenamente i loro limiti e riconsiderano la morte come quel fattore ineluttabile su cui si fonda la vita. E' solo a questa condizione che costoro, anziché combattere contro un nemico che non è tale, si potranno rendere disponibili ad accompagnare i loro pazienti nell'ultimo tratto del cammino.
Le cure palliative si basano, inoltre, su una scommessa: la morte non si riduce a una catastrofe biologica; è un "avvenimento" che comporta il vivere. La scommessa dell'accompagnamento è che se il corpo biologico si degrada, l'attività psichica, invece, continua. L'avvicinarsi della morte fisica non porta con sé necessariamente una riduzione della libido vitale, anzi a volte la risveglia. Michel de M'uzan in un articolo intitolato "Il travaglio del trapasso", constata che alcuni pazienti poco prima di morire conoscono un' "accensione del desiderio", un "appetito relazionale", in cui la posta in gioco è tanto più importante in quanto, attraverso tali emozioni, il morente tenta di assimilare tutto ciò che non ha potuto fino a quel momento, "come se cercasse di mettersi al mondo completamente, prima di sparire".
Cerchiamo di capire bene ciò che questo vuol dire: sapere che uno presto morirà comporta un grande sconvolgimento. La parola 'crisi' non basta a descrivere questo grande sconvolgimento interiore, ancor più violento se avviene quando l'individuo è giovane e ha il sentimento legittimo di non aver realizzato a pieno la sua vita. Si capisce anche che la consapevolezza di avere un tempo limitato da vivere, una volta superato il primo choc, viene accompagnata da una trasformazione, da una maturazione interna, legata agli interrogativi sul senso della vita. Abbiamo l'impressione che la persona, più che mai, cerchi il proprio essere.
Che si parli del "processo del morire", di "crisi del morire", di "travaglio del trapasso", si tratta in effetti di tener conto del fatto che un morente resta comunque un vivente, alle prese con un'esperienza nuova, ma con un'anima viva, i cui movimenti possono, fino al momento della morte propriamente detta, raggiungere un'intimità e una bellezza davvero profonde.
Troppo spesso i parenti, persi nel loro dolore e in un lutto anticipato, e i medici, chiusi nel loro senso di fallimento, non sono in grado di vedere o di sentire tutto quello che si può ancora vivere, condividere, scoprire in questi ultimi momenti di vita. Spesso proietteranno le loro stesse sofferenze sul morente, esigendo al posto suo che vengano abbreviati i suoi giorni visto che non c'è più nulla da fare. Troppo spesso si pensa, a torto, che non ci sia più nulla da sperare da un periodo di tempo che viene vissuto solo come attesa della morte. Ora, l'esperienza ci ha mostrato invece che possono avvenire molte cose sul piano dell'affettività. La morte "psichica" anticipa allora la morte "fisica', quando il morente si sente abbandonato, inutile, quando ha l'impressione di aver perso la dignità, la libertà e la responsabilità. E' possibile non morire prima di morire, e di entrare da vivi nella morte?
Un approccio autenticamente aptonomico mantiene aperta la domanda, in quanto rispetta la morte come tempo e spazio volti a una nuova esperienza. Sappiamo che quando la sua ricchezza affettiva viene riconosciuta, stimolata e valorizzata fino in fondo, il morente può vivere degli scambi relazionali molto intensi. Questo ovviamente implica che il morente va accompagnato con quelle qualità di presenza e di amore 'contenuto' in cui egli troverà la sicurezza di cui ha bisogno per separarsi.
E’ dura Lasciar Andare (come dice Matthew Fox): ecco
perché il Malato Terminale cerca da Persone Nuove un amore
che non trattenga quaggiù
di MARIE de HENNEZEL
L'INTERVISTA ESCLUSIVA: Matthew Fox Ospite a "Il Cinema e i Diritti" alla Casa dei Diritti del Comune di Milano intervistato da Lele Jandon |
“E' senza dubbio molto difficile per un familiare offrire a colui che muore un amore che non sia attaccamento, che non trattenga e che lasci andare verso il suo destino la persona cara (questo “lasciar andare”, letting go, è ciò che Matthew Fox chiama “Via Negativa”, ndr). E' il motivo per cui a volte chi muore si distacca dalle persone amate, chiudendosi alla comunicazione con loro, e cercando al tempo stesso il contatto con una persona nuova, generalmente qualcuno che le ha in cura, o una qualsiasi persona benevola, che sarà semplicemente presente, senza aspettarsi niente, senza cercare di trattenerlo. In questo contatto pieno di rassicurazione, i pazienti, sentendosi amati e accettati nel profondo, si potranno sentire liberi di morire. E' questa sottile qualità dell'amore che Kübler-Ross (psichiatra svizzera, 1926 – 2004, fondatrice della psicotanatologia, cioè il sostegno psicologico davanti alla morte ai malati e ai loro cari, ndr) traduce nel suo concetto di "amore incondizionato" e che Frans Veldman chiama philia.
Vediamo ora qualche aspetto dell'approccio aptonomico, in particolare per
quanto attiene il fenomeno doloroso, la perdita della dignità, l'angoscia,
l'interrogarsi sul senso della morte e gli stati comatosi.”
Le 5 Fasi del Lutto di Elizabeth Kübler-Ross
che fondò la Psicotanatologia
ANGELO UMANO. La psichiatra svizzera Elizabeth Kubler Ross ha fondato la branca del sostegno psicologico di chi sta per morire e dei loro cari. |
Le fasi possono anche alternarsi, presentarsi più volte nel corso
del tempo, con diversa intensità, e senza un preciso ordine, dato che le
emozioni non seguono regole particolari, ma anzi come si manifestano, così
svaniscono, magari miste e sovrapposte.
- Negazione/Rifiuto:
“Ma è sicuro, dottore, che le analisi siano fatte bene?”, “Non è
possibile, si sbaglia!”, meccanismo di autodifesa
- Rabbia:
“perché proprio a me?”, può essere sia il momento di massima richiesta di
aiuto, ma anche il momento del rifiuto, della chiusura e del ritiro in sé.
- Contrattazione o Patteggiamento: la persona
inizia a verificare cosa è in grado di fare ed in quali progetti può
investire la speranza, iniziando una specie di negoziato, “se prendo le
medicine, crede che potrò…”, “se guarisco, poi farò…”. Così riprende il
controllo della propria vita, e cerca di riparare il riparabile.
- Depressione:
la persona non può più negare la sua condizione di salute, e inizia a
prendere coscienza che la ribellione non è possibile e di solito si
manifesta quando la malattia progredisce ed il livello di sofferenza
aumenta. Viene distinta in due tipi di depressione. La depressione
reattiva è conseguente alla presa di coscienza di quanti aspetti della
propria identità, della propria immagine corporea, del proprio potere
decisionale e delle proprie relazioni sociali, sono andati persi. La
depressione preparatoria ha un aspetto anticipatorio rispetto alle perdite
che si stanno per subire.
- Accettazione:
in questa fase il paziente tende ad essere silenzioso ed a raccogliersi,
inoltre sono frequenti momenti di
profonda comunicazione con i familiari e con le persone che gli sono
accanto. È il momento dei saluti e della restituzione a chi è stato
vicino al paziente. È il momento del “testamento” e della sistemazione di
quanto può essere sistemato, in cui si prende cura dei propri “oggetti”
(sia in senso pratico, che in senso psicoanalitico). La fase
dell’accettazione non coincide necessariamente con lo stadio terminale
della malattia o con la fase pre-morte.
La fase terminale nei
malati di cancro rappresenta circa il 70% dei casi di fasi terminali dolorose.
E' ovvio che l'alleviamento del dolore fisico è il presupposto di ogni
accompagnamento aptonomico, poiché il dolore fisico, degradante e avvilente,
impedisce ogni forma di comunicazione con gli altri e rende impossibile tale
accompagnamento. Ora, il dolore è un fenomeno soggettivo. Non è possibile
infatti misurarlo oggettivamente. Questo presuppone quindi dei medici e
infermieri che credano a ciò che i pazienti gli dicono quando si lamentano dei
loro dolori. Tale atteggiamento, che consiste nel prestare fede alla parola del
malato e a lasciarsi guidare da lui, incontra ovviamente parecchie resistenze
nel mondo medico, che non è abituato a lasciare che il malato tenga le redini
della situazione. Credere a una persona sulla sua parola, quando dice di
provare dolore, è già di per sé un comportamento aptonomico. Alcuni malati
arrivano da noi sofferenti anche se ricevono già forti dosi di analgesici.
Abbiamo notato che dopo qualche giorno trascorso nell'Unità di Cure Palliative,
una volta messi a loro agio e sentendosi trattati come "persone",
hanno cominciato loro stessi a chiedere che i dosaggi venissero abbassati.
Altri persistono nel lamentare dolore, malgrado siano sottoposti ad adeguati
trattamenti. Si tratta spesso di persone che rifiutano di lasciarsi avvicinare
e curare, considerandolo come una regressione inaccettabile. Sono individui che
hanno una forte idea della loro autonomia e respingono ogni forma di
dipendenza. Il degrado del loro stato fisico fa nascere in loro un'angoscia che
si esprime anche attraverso il dolore. In molti casi un approccio prudente,
paziente e affettuoso ha permesso dopo un periodo di tempo abbastanza lungo una
serena accettazione della dipendenza e perfino della regressione.
Nel caso di dolori localizzati, l'invito al 'prolungamento' si è rivelato efficace. Mi ricordo in particolare di un uomo che lamentava dei forti dolori al ventre e ai reni. Piegato in posizione fetale, mi è stato facile sedermi sul letto e invitarlo a venire verso di me, mentre io gli toccavo la schiena. Non solo il dolore è progressivamente diminuito, ma in questo contatto pieno di fiducia, l'uomo ha cominciato a parlarmi dal fondo del cuore, raccontando in lacrime che sua madre non l'aveva desiderato e che aveva tentato senza successo di abortire. Questa ferita così antica era ancora cocente in lui. Mi è sembrato che a quest'uomo fosse sempre mancata quella conferma affettiva che lo avrebbe liberato. Non era forse quello che cercava ora in quel contatto con me?
Nel caso di dolori localizzati, l'invito al 'prolungamento' si è rivelato efficace. Mi ricordo in particolare di un uomo che lamentava dei forti dolori al ventre e ai reni. Piegato in posizione fetale, mi è stato facile sedermi sul letto e invitarlo a venire verso di me, mentre io gli toccavo la schiena. Non solo il dolore è progressivamente diminuito, ma in questo contatto pieno di fiducia, l'uomo ha cominciato a parlarmi dal fondo del cuore, raccontando in lacrime che sua madre non l'aveva desiderato e che aveva tentato senza successo di abortire. Questa ferita così antica era ancora cocente in lui. Mi è sembrato che a quest'uomo fosse sempre mancata quella conferma affettiva che lo avrebbe liberato. Non era forse quello che cercava ora in quel contatto con me?
S’arriva allo stadio in cui il Malato non riconosce
più il proprio Corpo: solo il Contatto Affettivo gli fa superare il Corpo e
sentirsi ancora Sé Stesso e la propria Dignità
di MARIE de HENNEZEL
"Mia madre ha l'Alzheimer ed è ancora mia Mamma", testimonia questo ragazzo irlandese in una campagna. |
“Tra le perdite più
dolorose, troviamo la perdita dell'autonomia della persona, quella della
padronanza del proprio corpo e quella della propria immagine, che sono spesso
vissute come un attentato alla propria dignità. Spesso sono la causa dell'isolamento
in cui si chiude il malato e del suo rifiuto di comunicare. Il degrado fisico,
d'altronde, comporta spesso una divisione interiore: il corpo è vissuto come un
nemico, un ostacolo, un oggetto. Il malato si sente tradito dal suo corpo;
l'unità della sua persona è minacciata.
Di recente un giovane malato di AIDS mi diceva che quando vedeva allo specchio il suo corpo dimagrito, ricoperto di Kaposi, aveva l'impressione che non si trattasse di lui.
Viveva una sorta di frattura affettiva.
Il contatto con questi malati è delicato. Sentono tutto e non si può ingannarli, né dar loro false assicurazione narcisistiche. Solamente il contatto affettivo, in cui la persona si sente riconosciuta nella sua propria essenza, nella sua "corporeità animata", permette al malato di "superare" il corpo e di percepire sé stesso in modo diverso. E' solo attraverso un incontro in cui l'individuo si sente rassicurato nella propria "essenza" che si può dimenticare di "avere un corpo" sminuito o degradato, perché solo allora si "è sé stessi".
Molte richieste di eutanasia sono legate a questo sentimento di perdita della propria dignità. Ma tale sentimento è legato al fattore corporeo e non al modo di essere dell'individuo. Se si ha sufficiente tempo a disposizione, e a condizione che l'ambiente che circonda il malato non gli confermi questo senso di sconfitta, si può indurre la persona, attraverso degli "impulsi rassicuranti", a riconoscere che la sua dignità è legata al suo modo di essere.
Molti pazienti spesso mi dicono che non sopporteranno di diventare infermi e dipendenti, e che quel giorno bisognerà aiutarli a morire. Dietro a questa paura ve ne è un'altra: la paura di non essere più amati se non corrispondiamo più all'immagine che gli altri hanno di noi. Finché si è lontani da quella realtà, si può dire che sia solo una paura fantasma, ma quando si è realmente infermi, realmente degradati nel corpo, allora tutto quanto dipende interamente dagli altri. Se i parenti e gli amici, attraverso lo sguardo, la presenza e il modo di fare, riescono a far sentire al malato che egli viene amato per il suo "essere", se sanno fargli dimenticare la sua degenerazione fisica, perché loro stessi l'hanno dimenticata, dimostrando interesse solo per la sua umanità, per la sua "essenzialità", allora la questione della perdita della dignità non si pone più.
Noi siamo persuasi, dopo tanti anni di lavoro vicino ai morenti, che attraverso il nostro sguardo, la nostra aptonomia e il nostro modo di entrare in contatto con la persona con rispetto e tenerezza, noi possiamo restituire al malato il suo senso di dignità. Se la paura della morte in quanto tale si incontra raramente, l'angoscia che accompagna l'incognita della morte sembra essere un passaggio obbligato che, ancora una volta, non bisogna mascherare o far sparire, ma contenere grazie a una presenza affettuosa, al fine di permetterne l'elaborazione e il superamento.
Che cosa si può dare a un essere alle prese con l'angoscia di morire, se non l'intensità della nostra presenza e la nostra fiducia assoluta nelle sue capacità di assolvere fino in fondo questo suo cammino? Certe persone ci si aggrappano, in una stretta fortissima della mano o del corpo. Accogliendo questo contatto disperato, accettando di entrare in quella che M'uzan chiama "l'orbita" del morente, senza paura di perdersi perché si è fortemente sé stessi nella propria sicurezza di base, apriamo al morente il percorso verso la sua sicurezza interiore, in modo infinitamente migliore che non lo farebbe un qualsiasi discorso. Una volta ho tenuto una donna stretta contro di me in un momento di disperazione terribile - aveva appena saputo che stava per morire - e poco dopo mi ha detto come aveva vissuto quel contatto: "Ho avuto l'impressione che lei mi stesse trasportando, come una buona nave, attraverso la notte buia" (torna la similitudine della nave, ndr). Mi ricordo anche di un malato in preda all'angoscia, che lottava contro il sonno, tenendo gli occhi aperti giorno e notte, aggrappandosi allo sguardo di chi gli stava vicino. Forse, in quegli sguardi, cercava "l'avvenire della sua anima"?
Si capisce l'importanza, in questi momenti di grande disperazione, di essere accompagnati col contatto, con lo sguardo, per tutto il tempo di una difficile attraversata. La conferma affettiva che vi si scopre è a volte una rivelazione: è quello che si cercava da sempre! La sofferenza spirituale (e non religiosa) riguarda il dare un senso a ciò che viviamo. Sentire la morte che si avvicina induce a porsi la domanda sul senso della propria vita, per che cosa, per chi abbiamo vissuto? Emerge l'interrogativo sui valori dell'esistenza, ed è anche il momento del bilancio della propria vita. Il peccato di Adamo - che consiste nel pensare sempre al domani, senza tenere nel giusto conto le gioie della vita - quante volte l'abbiamo commesso?
Per chi è testimone di questi interrogativi, e noi che accompagniamo i morenti lo siamo sempre, è significativo constatare quanto l'affettività prevalga sull'effettività dell'esistenza. L'essenza di una vita spesso si riduce a tutti quei momenti di felicità, o di "delectatio", nei quali l'individuo ha trovato il coraggio di vivere e di spingersi oltre. Non possiamo dunque dedurre che una conferma affettiva, anche se tardiva, dia all'individuo il coraggio di morire, liberando la sua facoltà d'amare? A chi è infermo, fisicamente degradato, dipendente, resta ancora la facoltà di amare e di essere amato, e il "vissuto di bontà" può arrivare fino al punto di procurare una gioia spirituale. Ma naturalmente questo avviene se al suo fianco vi sono degli esseri umani pronti a vivere questa "corporeità dell'incontro". A volte, quando accompagnammo agonie che sembrano non finire più, pare che il malato aspetti questo ultimo contatto rassicurante e liberatorio, che gli permetterà di abbandonare il corpo e di vivere la morte.
La conferma affettiva può dunque essere data perfino nel coma, attraverso una sorta di veglia, paziente e tranquilla. Che cosa sappiamo del coma? Si parla di affondare nell'incoscienza, di sprofondare nel coma, ma non si potrebbe forse parlare di "risvegliarsi" all'incoscienza? Chi può dire che l'individuo non stia nascendo a un mistero? Non è forse anche un momento privilegiato di contatto sottile da anima a anima? Siamo stati testimoni di pazienti ritornati da questi "abbassamenti di luce" come rappacificati, pronti a partire, come se la loro coscienza fosse emersa trasformata e dilatata da questo tuffo nell'intemporalità, come se l'essere stati vegliati pazientemente o l'aver ricevuto prove d'affetto che non si aspettavano più, o l'essere stati infine rassicurati sul fatto di essere amati, consentisse loro di prendere congedo.
Non dimenticherò mai una donna che ho vegliato per tutta una mattinata, mentre era in stato di coma agonico agitato, e di come pian piano si è calmata mentre la cullavo cantando il suo nome di battesimo, Lucia. Ad un certo punto ha aperto gli occhi, fissando qualcosa in lontananza, sopra di me. Il volto era diventato bellissimo, completamente assorto in quella certa cosa che vedeva lontano, e poi ha smesso di respirare, così, semplicemente.
E' stato detto che chi muore ci fa da maestro. Al loro contatto, in effetti, ciò che vi è di più vivo e di più profondo in noi si apre. Basta dunque dare a questa apertura il suo spazio, e lasciar maturare in noi "l'extensus affectus".
Di recente un giovane malato di AIDS mi diceva che quando vedeva allo specchio il suo corpo dimagrito, ricoperto di Kaposi, aveva l'impressione che non si trattasse di lui.
"Sono sempre la stessa donna", testimonia questa signora irlandese. Si noti l'uso dell'avverbio "still", tuttora, che c'è anche nel romanzo e nel film "Still Alice" (Ancora Alice). |
Viveva una sorta di frattura affettiva.
Il contatto con questi malati è delicato. Sentono tutto e non si può ingannarli, né dar loro false assicurazione narcisistiche. Solamente il contatto affettivo, in cui la persona si sente riconosciuta nella sua propria essenza, nella sua "corporeità animata", permette al malato di "superare" il corpo e di percepire sé stesso in modo diverso. E' solo attraverso un incontro in cui l'individuo si sente rassicurato nella propria "essenza" che si può dimenticare di "avere un corpo" sminuito o degradato, perché solo allora si "è sé stessi".
Molte richieste di eutanasia sono legate a questo sentimento di perdita della propria dignità. Ma tale sentimento è legato al fattore corporeo e non al modo di essere dell'individuo. Se si ha sufficiente tempo a disposizione, e a condizione che l'ambiente che circonda il malato non gli confermi questo senso di sconfitta, si può indurre la persona, attraverso degli "impulsi rassicuranti", a riconoscere che la sua dignità è legata al suo modo di essere.
Molti pazienti spesso mi dicono che non sopporteranno di diventare infermi e dipendenti, e che quel giorno bisognerà aiutarli a morire. Dietro a questa paura ve ne è un'altra: la paura di non essere più amati se non corrispondiamo più all'immagine che gli altri hanno di noi. Finché si è lontani da quella realtà, si può dire che sia solo una paura fantasma, ma quando si è realmente infermi, realmente degradati nel corpo, allora tutto quanto dipende interamente dagli altri. Se i parenti e gli amici, attraverso lo sguardo, la presenza e il modo di fare, riescono a far sentire al malato che egli viene amato per il suo "essere", se sanno fargli dimenticare la sua degenerazione fisica, perché loro stessi l'hanno dimenticata, dimostrando interesse solo per la sua umanità, per la sua "essenzialità", allora la questione della perdita della dignità non si pone più.
Noi siamo persuasi, dopo tanti anni di lavoro vicino ai morenti, che attraverso il nostro sguardo, la nostra aptonomia e il nostro modo di entrare in contatto con la persona con rispetto e tenerezza, noi possiamo restituire al malato il suo senso di dignità. Se la paura della morte in quanto tale si incontra raramente, l'angoscia che accompagna l'incognita della morte sembra essere un passaggio obbligato che, ancora una volta, non bisogna mascherare o far sparire, ma contenere grazie a una presenza affettuosa, al fine di permetterne l'elaborazione e il superamento.
Che cosa si può dare a un essere alle prese con l'angoscia di morire, se non l'intensità della nostra presenza e la nostra fiducia assoluta nelle sue capacità di assolvere fino in fondo questo suo cammino? Certe persone ci si aggrappano, in una stretta fortissima della mano o del corpo. Accogliendo questo contatto disperato, accettando di entrare in quella che M'uzan chiama "l'orbita" del morente, senza paura di perdersi perché si è fortemente sé stessi nella propria sicurezza di base, apriamo al morente il percorso verso la sua sicurezza interiore, in modo infinitamente migliore che non lo farebbe un qualsiasi discorso. Una volta ho tenuto una donna stretta contro di me in un momento di disperazione terribile - aveva appena saputo che stava per morire - e poco dopo mi ha detto come aveva vissuto quel contatto: "Ho avuto l'impressione che lei mi stesse trasportando, come una buona nave, attraverso la notte buia" (torna la similitudine della nave, ndr). Mi ricordo anche di un malato in preda all'angoscia, che lottava contro il sonno, tenendo gli occhi aperti giorno e notte, aggrappandosi allo sguardo di chi gli stava vicino. Forse, in quegli sguardi, cercava "l'avvenire della sua anima"?
Si capisce l'importanza, in questi momenti di grande disperazione, di essere accompagnati col contatto, con lo sguardo, per tutto il tempo di una difficile attraversata. La conferma affettiva che vi si scopre è a volte una rivelazione: è quello che si cercava da sempre! La sofferenza spirituale (e non religiosa) riguarda il dare un senso a ciò che viviamo. Sentire la morte che si avvicina induce a porsi la domanda sul senso della propria vita, per che cosa, per chi abbiamo vissuto? Emerge l'interrogativo sui valori dell'esistenza, ed è anche il momento del bilancio della propria vita. Il peccato di Adamo - che consiste nel pensare sempre al domani, senza tenere nel giusto conto le gioie della vita - quante volte l'abbiamo commesso?
Per chi è testimone di questi interrogativi, e noi che accompagniamo i morenti lo siamo sempre, è significativo constatare quanto l'affettività prevalga sull'effettività dell'esistenza. L'essenza di una vita spesso si riduce a tutti quei momenti di felicità, o di "delectatio", nei quali l'individuo ha trovato il coraggio di vivere e di spingersi oltre. Non possiamo dunque dedurre che una conferma affettiva, anche se tardiva, dia all'individuo il coraggio di morire, liberando la sua facoltà d'amare? A chi è infermo, fisicamente degradato, dipendente, resta ancora la facoltà di amare e di essere amato, e il "vissuto di bontà" può arrivare fino al punto di procurare una gioia spirituale. Ma naturalmente questo avviene se al suo fianco vi sono degli esseri umani pronti a vivere questa "corporeità dell'incontro". A volte, quando accompagnammo agonie che sembrano non finire più, pare che il malato aspetti questo ultimo contatto rassicurante e liberatorio, che gli permetterà di abbandonare il corpo e di vivere la morte.
La conferma affettiva può dunque essere data perfino nel coma, attraverso una sorta di veglia, paziente e tranquilla. Che cosa sappiamo del coma? Si parla di affondare nell'incoscienza, di sprofondare nel coma, ma non si potrebbe forse parlare di "risvegliarsi" all'incoscienza? Chi può dire che l'individuo non stia nascendo a un mistero? Non è forse anche un momento privilegiato di contatto sottile da anima a anima? Siamo stati testimoni di pazienti ritornati da questi "abbassamenti di luce" come rappacificati, pronti a partire, come se la loro coscienza fosse emersa trasformata e dilatata da questo tuffo nell'intemporalità, come se l'essere stati vegliati pazientemente o l'aver ricevuto prove d'affetto che non si aspettavano più, o l'essere stati infine rassicurati sul fatto di essere amati, consentisse loro di prendere congedo.
Non dimenticherò mai una donna che ho vegliato per tutta una mattinata, mentre era in stato di coma agonico agitato, e di come pian piano si è calmata mentre la cullavo cantando il suo nome di battesimo, Lucia. Ad un certo punto ha aperto gli occhi, fissando qualcosa in lontananza, sopra di me. Il volto era diventato bellissimo, completamente assorto in quella certa cosa che vedeva lontano, e poi ha smesso di respirare, così, semplicemente.
E' stato detto che chi muore ci fa da maestro. Al loro contatto, in effetti, ciò che vi è di più vivo e di più profondo in noi si apre. Basta dunque dare a questa apertura il suo spazio, e lasciar maturare in noi "l'extensus affectus".
Il Brano:
le Testimonianze
“Finalmente
posso coccolare mia Madre: lei sempre così fredda, ora con l’Alzheimer si
lascia abbracciare”
di MARIE de HENNEZEL
“Sono
andata a passare una giornata in una delle Villa Épidaure, una bella struttura
di La CelleSaint-Cloud, che ospita ottantaquattro pazienti affetti dal morbo di
Alzheimer. La struttura è stata progettata per non dare l'impressione di un
grande istituto, ma piuttosto di una pensione familiare, con le sue sette unità
da dodici pazienti ciascuna, che assomigliano
a piccoli kibbutz, ognuno sotto la responsabilità di una padrona di casa.
La filosofia della residenza è profondamente umanista. Le équipe sono animate
da una riflessione costante su come rispettare la dignità degli ospiti e
restare in ascolto delle famiglie. (…) Incontro la moglie di un paziente giunto
all'ultimo stadio dell'Alzheimer. Con molto pudore, mi racconta l'evoluzione
della malattia di suo marito. Il silenzio straziante con cui ha accolto la
diagnosi, poi gli sbalzi d'umore e l'aggressività che rivelavano il suo
malessere. Pur essendo molto vicini tra loro, lui non le ha mai parlato del suo
tormento. Quando lo psichiatra che lo seguiva ha spiegato che bisognava
prendere in considerazione il trasferimento in una struttura specializzata, ha
chiuso gli occhi e non li ha più riaperti fino a che non se n'è andato. Da
allora, sembra essersi murato vivo. «Non ha mai chiesto di rivedere casa». Per
lei la separazione è stata durissima. Non si erano mai lasciati. All'inizio
andava e veniva tutti i giorni, ascoltavano musica insieme, lo portava a
passeggio. Poi una tendinite l'ha obbligata a diradare le sue visite. Adesso
pensa che lui non la riconosca più, anche se la sua sensibilità è sempre viva
come prima. A volte ha le lacrime agli
occhi quando ascolta la musica. Lei continua a venire per fedeltà. La
rassicura il fatto che, fin dal suo arrivo a Villa Épidaure, lui si sia
fiduciosamente lasciato curare. Migliaia di persone soffrono, come questa
donna, assistendo impotenti al declino di una persona amata. Eppure la
accompagnano fino alla fine. Tra le paure che evocavo, all'inizio del libro, la
più diffusa è proprio quella di terminare la nostra vita nella demenza e di
imporre agli altri il peso della malattia. Ognuno di noi desidera ovviamente
che questo destino gli sia risparmiato. Ho riflettuto, tuttavia, in prima
persona, su cosa potrebbe aiutarmi ad accettarlo, se io stessa o uno dei miei
cari fossimo colpiti un giorno dal morbo. Essere a conoscenza dell'esistenza di
strutture come quella che ho appena descritto è qualcosa che mi fa sentire
meglio. Il documentario di Laurence
Serfaty, "Alzheimer jusqu’au bout de
la vie", girato in Québec, mostra la vita quotidiana in un luogo
sperimentale, sotto questo aspetto, la casa “Carpe Diem”. Ed ecco delle immagini che riescono a cambiare il
nostro sguardo cosi pessimista. Il personale curante cerca di vedere «ciò che
ancora funziona» in queste persone che sprofondano progressivamente nella
notte. Si sente che amano i loro pazienti e che rifiutano qualunque procedura
standardizzata scegliendo di adattarsi invece a ogni singolo ospite. Guardando il film, si matura la convinzione
che è possibile terminare la propria vita conservando dignità e integrità,
anche se si è colpiti da questa malattia che cosi tanto ci spaventa. E si capisce che è possibile comunicare
con un individuo affetto da demenza, se si mantiene un legame con lui.
Bisogna, ovviamente, essere certi che ne valga la pena, dato che il malato
rimane pur sempre «una persona, e non il resto di un uomo decaduto e
definitivamente irraggiungibile»... Queste testimonianze placano la mia paura
di dover portare un giorno uno dei miei cari in un'istituzione di quel tipo. Come esprime bene Christian Bobin: «Il
morbo di Alzheimer toglie quel che l’educazione ha messo nella persona, e fa
risalire in superficie il cuore. È attraverso gli occhi che i malati parlano,
e quello che vi leggo mi illumina più dei libri [...]. Mi porto via dalla casa
di riposo un bisogno di toccare, anche solo furtivamente, la spalla di coloro
che incontro e una diffidenza accresciuta verso i bei discorsi». Non è forse
vero che anche i più vulnerabili tra i nostri anziani hanno qualcosa da
trasmetterci? Se così è, dobbiamo
cercare di lottare contro il pensiero dominante secondo cui le persone dementi
non hanno nulla da offrire e la loro vita, in queste condizioni, non è più
tale. L’idea che, anche se fossi colpita dalla demenza, avrei comunque
qualcosa da dare a coloro che mi stanno intorno è un altra presa di coscienza
che mi aiuta a considerare le ipotesi peggiori. Ho ricevuto di recente la testimonianza di una donna della mia età
che dice di aver trovato un senso nella malattia della madre. Essa viene a
riempire, mi scrive, una mancanza molto antica: «Ho infine la possibilità di
coccolare mia madre, di abbracciarla e di dimostrarle il mio affetto. Mi
permette di esprimerle quello che non ho mai potuto fare, perché, prima che si
ammalasse, era fredda e mi allontanava sempre.» Il morbo di Alzheimer resta
un mistero. Esistono diverse teorie circa le possibili cause ambientali. La solitudine, per esempio, dato che uno
studio americano ha provato che una persona anziana lasciata da sola ha il
doppio delle probabilità di svilupparlo. Le associazioni delle famiglie di
malati di Alzheimer percepiscono questa ipotesi come un attacco nel loro
confronti. Preferiscono l'idea della biogenesi, che non solleva questioni
di responsabilità. lo credo che si debba evitare di essere manichei. Si tratta certamente di una malattia
multifattoriale e sulle cui cause psicologiche o situazionali circolano
diverse teorie, sebbene più confidenziali. Lo
psichiatra Jean Maisondieu non esita a ipotizzare che il morbo possa essere «un
grido, un rifiuto una sorta di suicidio sociale e intellettuale». Perché la persona ha deciso di essere morta
prima di morire? Di ritirarsi dalla scena? Per non essere testimone del proprio
invecchiamento, della propria morte, suggerisce. Aude Zeller,
psicoterapeuta, ha pubblicato un libro sui sei anni del declino di sua madre
Denyse. E’ raro che qualcuno scriva della degenerazione fisica e mentale delle
persone affette dal morbo di Alzheimer. E’ un argomento tabù. Ma lo sguardo che
Aude Zeller posa su questa realtà dolorosa è così innovativo e profondo che
merita di essere ricordato. La demenza senile non è soltanto, secondo lei, la
semplice distruzione delle capacità mentali e psichiche di un individuo. Quella
che appare all'esterno come regressione potrebbe essere anche l'occasione di
una lenta e ultima trasformazione. Ecco una tesi originale, una tesi che
potrebbe rivelarsi di grande aiuto. Quando la degenerazione fa regredire
l'anziano a uno stato di dipendenza simile a quello di un bimbo piccolo, questo
gli permette di ripristinare un’organizzazione mentale in cui la paura della
morte non esisteva ancora. Si tratta dunque di un modo di prepararsi.
Comprendere questo può permettere alle persone circostanti di accompagnare una
regressione che è potenzialmente dotata di significato e quindi sottratta
all'assurdo. Seguiamo, dunque, il racconto della vertiginosa caduta nella
demenza, di ciò che Denyse definisce come la sua «depredazione», descrivendo
con questo termine il sentimento di perdita progressiva e implacabile di tutto
ciò che aveva contribuito alla sua identità di donna. Perdita della vista,
dell'udito, della parola, ma anche della mobilità delle mani e dunque
dell'autonomia. «Quando non si è più in grado di prendere un bicchiere per
bere, né una forchetta per mangiare, né di grattarsi il naso per il piacere di
farlo, il rapporto con il proprio corpo si inabissa nel pantano viscoso della
dipendenza totale.» Perdita del proprio potere sugli altri, perdita di
qualunque controllo su di sé e l'affiorare involontario di discorsi aggressivi,
talvolta sboccati, il più delle volte deliranti. Ritorno del rimosso, così Aude
Zeller battezza questi straripamenti, in cui le è ben difficile riconoscere sua
madre. Cerca tuttavia di comprendere ciò che accade. Sua madre non si è sentita
libera di dare spazio ai propri desideri segreti. C'è tutta una libertà
sessuale che lei ha insabbiato nel corso degli anni e che tenta ora di
affrancare dai vecchi impacci morali. «I suoi accessi di delirio tendevano a
tornare sul vasto tema dei soprusi compiuti alla sua sensibilità di donna.
Avevano dunque un senso, nonostante i loro effetti dolorosi. Ed era bene non
contrastarli, ma piuttosto mettersi in ascolto». Malgrado le apparenze, ci dice
Aude, la persona demente ha una certa, vaga, consapevolezza della distorsione
che opera sulla realtà. Sarebbe un torto grave e una mancanza di rispetto
comportarsi come se non fosse così. Le divagazioni non sono altro che «un
tentativo disperato verso l’ampio, il vasto, il largo», da cui la persona
affetta da demenza si sente esclusa a causa dei limiti imposti dalla vecchiaia.
Finiamo per scoprire che, anche quando si è perso quasi tutto, resta
l'essenziale: «Un anno e mezzo prima
della sua morte, dopo che le avevo appena letto un salmo dalla sua Bibbia e
mentre invocavamo insieme la benedizione di Dio conformemente alle sue vecchie
abitudini e alla sua vita spirituale, alzando i suoi occhi pieni di altrove mi
rispose, con mio grande stupore: “Questo non me lo hanno ancora portato via”».
Molti dei miei colleghi psicoterapeuti
sostengono l'ipotesi che il morbo di Alzheimer sia un modo progressivo di
assentarsi dalla vita, per non dover affrontare l'avvicinarsi inesorabile della
morte. C'è una storia che sembra rafforzare questa teoria. L’uomo che me
l’ha raccontata ha più o meno sessant'anni, vive in Madagascar e ogni sei mesi
viene in Francia a trovare i suoi figli e soprattutto il vecchio padre,
ricoverato in un istituto per persone affette da Alzheimer. Suo padre è
arrivato all'ultimo stadio della malattia, non lo riconosce più. Il figlio,
stremato, appena prima di Natale, gli ha chiesto: «Papà, perché sei ancora qui?
Cosa fai ancora in questa vita?». Fare questa domanda gli è costato molto;
l'argomento della morte rimane un tabù. Il padre a quel punto lo ha guardato
dritto negli occhi e gli ha risposto: «Non è facile fare il passo!». A domanda
chiara, risposta chiara. Ho sempre
pensato che se i parenti di persone affette da demenza senile parlassero con
loro in modo sincero, otterrebbero risposte che dimostrano come la coscienza
non sia del tutto spenta... Per quanto mi riguarda, ho chiarito la mia
volontà ai miei figli: se mi dovesse accadere di sprofondare nella demenza, non
voglio continuare a vivere oltre lo stadio in cui non li riconoscerò più. Ho
chiesto loro di parlarmi sinceramente, rivolgendosi a me come se fossi nel
pieno possesso delle mie facoltà, come ha fatto il mio amico del Madagascar. Perché sono intimamente convinta che
probabilmente “qualcosa” in me, qualcosa di sepolto nell'inconscio, sentirà
comunque quello che mi diranno. Mi rassicura il fatto che la legge «Diritti
dei malati e fine della vita» rafforzi il mio diritto a rifiutare trattamenti
che mi costringerebbero a vivere e che mi tuteli affinché i medici tengano
conto delle mie volontà anticipate. Se si avverassero tutte queste condizioni –
un istituto umano, figli che mi parlano in un linguaggio fatto di verità,
medici che rispettano il mio desiderio di non continuare a vivere al di là di
un certo stadio – la prospettiva di terminare la mia vita colpita dal morbo di
Alzheimer sarebbe, credo, meno dolorosa. A maggior ragione se, come mi sembra
di intuire, il processo di realizzazione di sé continua nonostante tutto, nelle
profondità del nostro essere.”
(brano tratto da Marie de Hennezel, “Il calore del cuore impedisce al corpo di
invecchiare”, 2008)
Tom Kitwood: il Contributo dei Cristiani nella Società
"Gesù curò Persone Malate nel Corpo e
nella Mente.
I Credenti sono più Motivati, Impegnati e Sereni da Vecchi"
I Credenti sono più Motivati, Impegnati e Sereni da Vecchi"
Il
gruppo di Kitwood poi si trasferì, dentro la Bradford University, dal
dipartimento di Studi Umanistici Interdisciplinari (Interdisciplinary Human
Studies) alla Scuola di Studi sulla Salute (School of Health Studies) nel 1998.
8 membri fissi, con 18 associati nel Regno Unito. Nello stesso anno, ottenne
una cattedra ad personam di
Psicogerontologia alla Bradford University intitolata allo scopritore
dell'Alzheimer ("Alois Alzheimer Professor of Psychogerontology"). Fu autore di opere come "Person to Person: A Guide to the Care of Those with Failing Mental
Powers" con Kathleen Bredin (1991).
In un
mio articolo sul mio Blog nella mia
recensione al libro "Menti Tribali"
di Jonathan Haidt (http://lelejandon.blogspot.it/2014/10/ri-creare-un-senso-di-comunita-e-una.html)
avevo parlato del ruolo delle fedi nel volontariato: i credenti fanno più volontariato e chi partecipa ad una Comunità
religiosa fa più donazioni. Jonathan Haidt cita i risultati di Putnam e Campbell
che hanno scoperto che le fedi generano eccedenze di capitale sociale che va a
beneficio di estranei. Anche Tom Kitwood aveva già rilevato questo dato di
fatto (riconosciuto dal Premier britannico David Cameron nel suo discorso
pasquale, da me tradotto sul mio Blog in un articolo del 28 aprile 2014), e lo
vede non solo nella compassione dei cristiani verso le persone in difficoltà
bensì anche nella serenità delle persone
anziane credenti:
"Nella vita spirituale non si va
gradualmente verso la vecchiaia; quando il corpo diventa fragile ed esausto, perfino quando anche la mente perde la sua
lucidità, la vitalità spirituale e la crescita spirituale possono ancora
continuare" ("Che cos'è
umano?", edizioni G.B.U., pag. 149).
"I cristiani vedono la sofferenza per
prima cosa come un male che dev'essere vinto. Essi sono i seguaci di Colui che si preoccupò e si prese cura dei sofferenti
di malattie fisiche e mentali, degli affamati, degli ansiosi, dei reietti.
I cristiani sono sempre stati chiamati, e sempre lo saranno, ad impegnarsi
nello stesso lavoro, e che siano stati efficienti in esso, ne danno
testimonianza i molti ospedali, ostelli e rifugi per i proscritti sociali. In
effetti, vi è un modo cristiano di curare, un modo sensibile al mistero della
sofferenza, che può portare un conforto maggiore" (pag. 162)
"Quando la
sofferenza che non si può evitare sopraggiunge, i cristiani cercano di usarla
creativamente" (pag. 163)
Afferma
inoltre che "a volte solamente affrontando disastri e angosce arriviamo a
conoscere la nostra vera umanità", "ma ai cristiani non è mai chiesto
di accogliere la sofferenza con gioia; piuttosto essi sono sempre chiamati ad
impegnarsi nelle attività più utili per debellarla, così come vi si impegnò lo
stesso Gesù" (pag. 157).
"La
sofferenza è un mistero, e con questo vogliamo dire che è un problema che ci
coinvolge personalmente, un problema che non riusciamo a capire completamente, ma che però ci porta ad una visione più
interiore della nostra esistenza. La sofferenza, come l'amore e la gioia, per
la sua profondità va oltre i limiti di una discussione puramente
razionalistica. Non possiamo assumere nei suoi confronti la posizione che si
prende davanti ad un problema di matematica" (pag. 155): come quei
nazisti, appunto, ben descritti ne "La
Vita è bella".
Un'interpretazione della Sfida dell'Alzheimer secondo
la Teologia di Matthew Fox
Possiamo
schematizzare così un modo di vedere completo dell'Alzheimer seguendo il ciclo
delle 4 Viae del teologo Matthew Fox
che ha inaugurato la nostra rassegna il 26 settembre scorso qui alla Casa dei
Diritti
- Via
Positiva: la gratitudine verso la vita (espressa per esempio nelle
belle parole della principessa Yasmin Aga Khan) e i momenti di gioia di chi
esprime le sue emozioni con le creative
therapies, come Rita Hayworth e la pittrice Hilda Gorenstein con la pittura;
- Via
Negativa: è il sapersi abbandonare: da una parte il dolore sia del paziente sia dei vicini che se ne prendono cura,
che va condiviso ed ascoltato (ad esempio negli Alzheimer Café) e dall'altra la capacità di ridere di sé, di
abbandonarsi all'autoironia (come nel caso di Alice);
- Via
Creativa: la creatività come essenza
della nostra umanità che può emergere solo a partire dal dolore e al tempo
stesso dalla gioia di vivere (ad esempio la creatività dei pazienti delle creative therapies);
- la Via
Transformativa: la creatività messa al servizio della Comunità per
trasformare la realtà, come appunto la creazione di spazi dementia friendly, Luoghi
di autentico incontro egualitario come gli Alzheimer Café o come l'invenzione
delle terapie non mediche come la terapia delle bambole ed il metodo validation oppure, ultimo ma non meno
importante, l'attivismo come quello dei familiari dei pazienti che si sono
mobilitati per la piena rimborsabilità dei farmaci e tutti quelli che si
battono per la cultura sia della
visibilità (come la principessa Aga Khan) sia della diagnosi precoce (come Maria Shriver).
Il Potere della Musica
Lo psicologo
clinico Oliver James pensa che possiamo massimizzare la qualità della vita
delle persone che convivono con le demenze, come spiega nel suo bestseller "Contended Dementia". Lo pensa anche Shibley Raman, della
Cambridge University in Inghilterra, autore di "Living Better With Dementia" ove spiega il benessere donato
dalla musica documentato sia nella prestigiosa rivista "Brain" sia mostrato nel documentario
"Alive Inside" (Premio del
Pubblico al Sundance Film Festival, trailer visibile qui
http://www.aliveinside.us/#trailer): vecchi di solito apatici che si mettono a
ballare e saltano in piedi.
Se il cervello è
ancora un mistero, la potenza della musica pure lo è, dal momento che ha l'effetto
di stimolare come nessun'altra sensazione varie zone del cervello.
Concorda con Tom Kitwood Suzanne
Zeedy nel suo blog
(http://suzannezeedyk.co.uk/wp2/2014/10/06/how-dementia-helps-us-understand-our-common-humanity/):
"Noi umani nasciamo
connessi, in cerca di risposte, e le persone che convivono con la demenza
continuano ad attendersi risposte dai vicini. (...) La demenza non deruba della personalità (...) non dissolve il
nucleo di umanità della persona (core
humanity)"
Abbandonare il linguaggio
tradizionale non significa infantilizzare le persone, trattarle da infanti (che
come dice l'etimologia latina, significa che non possono parlare). Si tratta di
ridefinire il rispetto: conta la risposta in sé, la "responsiveness" (che significa: "sensibilità,
comprensione, simpatia"), non la forma. E' il degnare di risposta. Il
rinunziare a dar loro una qualche risposta è irrispettoso (disrespectful) come, appunto, le cosiddette "bugie
terapeutiche" che Tim Kitwood indica come non rispettose della dignità
umana.
Prevenzione dell'Invecchiamento Precoce:
Buon Sonno, Poca Carne Animale, Tanti Antiossidanti (Curry ed Omega Tre) e Moto 30 min. x 3 vv. a 7mana
Buon Sonno, Poca Carne Animale, Tanti Antiossidanti (Curry ed Omega Tre) e Moto 30 min. x 3 vv. a 7mana
Anche se s'ignorano
le cause precise dell'Alzheimer, più in generale per quanto riguarda la
prevenzione dall'invecchiamento precoce, viene raccomandata l'attività fisica:
il nostro corpo è strutturato per il movimento e il moto fa bene tanto al
cervello quanto al resto del nostro fisico.
Poi, seguendo il
detto mens sana in corpore sano, una
dieta a basso contenuto di grassi saturi animali, con frutta quotidiana, curry
(che contiene la curcumina, polifenolo antiossidante) acidi grassi sani come
gli Omega 3 (che costituiscono il 30% della membrana dei neuroni), e si
trovano nei semi di lino, lattuga romana, cavolo, semi
di senape, chiodo di garofano, noci (che hanno una forma simile ad un cervello), mandorle, pistacchi, anacardi, pinoli,
pesce, cavolfiore, zucca, spinaci, cavolo cappuccio, verza e fragole; evitare i grassi idrogenati e naturalmente le carni
rosse specie se lavorate (finalmente dichiarate dall'OMS come cancerogene).
I fattori di
rischio, come spiega il dottor Sam Gandi, sono:
- la pressione
alta;
- il colesterolo
alto;
- il diabete;
(http://www.nydailynews.com/life-style/health/alzheimer-disease-dire-threat-early-action-treatment-slow-progress-article-1.1136755)
E consiglia 30 minuti di attività fisica almeno
tre volte a settimana.
Un'altra cosa
molto sottovalutata è dormire a sufficienza, come spiega Maria C. Carrillo in
questo video: https://www.youtube.com/watch?v=Jk23vH7BbnA
****
Cosa possiamo fare Noi della Società Civile? Creare Comunità Dementia-Friendly
Milano Modello con gli Alzheimer Café creati da un Geriatra
Olandese, Gratis e Diffusi in tutta Europa. Le Emozioni Affratellanti nel
Gruppo creato a Casa da Alice
Come possiamo
attivarci noi come società civile?
Non credo che
dobbiamo sapere cosa sono gli amiloidi, bensì sapere come rapportarci con le
persone che convivono con l'Alzheimer.
Noi non dobbiamo lavorare "per", bensì collaborare con gli anziani.
L'autentica
compassione non è dall'alto in basso, bensì collaborazione (cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/09/la-via-della-compassione-creativa.html,
http://lelejandon.blogspot.it/2014/11/the-help-lezione-sulla-compassione_14.html).
L'idea geniale di Bere Miesen è diventata un successo in Europa e Stati Uniti. |
Creare, come si
dice in Inghilterra, delle "dementia friendly communities"
o "dementia inclusive communities"
o "dementia capable communities",
comunità amichevoli nei confronti delle persone con demenza.
Ci testimonia la
signora Elisabetta Granello
dell'associazione "Al Confine":
"Con queste persone si può stare, non
solo aliene, sono persone!
Anziché
guidarle, lasciamoci accompagnare da loro"
Possiamo partecipare
a corsi come quello sul metodo Feil o metodo validation che ho seguito della signora Cinzia Siviero.
Il governo inglese
sta facendo un buon lavoro in questa direzione.
Un esempio sono gli
Alzheimer Café gratuiti e a regolare cadenza settimanale, ideati nel 1997 dall'olandese
Bére Miesen (psicogeriatra come Tom Kitwood) a Leida e diffusi in tutta Europa,
creati a Milano dall'onlus "Al Confine" (http://www.alconfine.net,
a cui potete donare anche il vostro 5 per mille) in due zone di Milano (nel
quartiere Isola ed in via Pennini): incontri di provata efficacia, come
testimoniano i partecipanti al corso sul metodo validation. Parteciparvi una volta alla settimana, anche se spesso
non ci si ricorda volti e nomi degli altri, restituisce sia il piacere di
essere qualcuno sia il piacere di stare insieme.
Spiega il Professor Miesen uno dei benefìci del suo metodo:
Un efficace esempio di comunicazione: un Alzheimer Café ad Alessandria. Ciascuno può ospitare un'iniziativa del genere anche a casa propria, come fa Alice nel romanzo "Still Alice" |
Spiega il Professor Miesen uno dei benefìci del suo metodo:
"Nel mondo esterno, c'è poco riconoscimento
del fatto che sia la persona con demenza che coloro Che vivono vicino a loro
stanno attraversando un processo di
lutto."
Come ama ripetere il reverendo
Matthew Fox, teologo e attivista sociale che è stato mio Ospite in Esclusiva
per Milano lo scorso 26 settembre ad inaugurare la seconda edizione de “Il
Cinema e i Diritti” alla Casa dei Diritti del Comune di Milano, “abbiamo
bisogno di fare lutto (“we need to grieve”):
se lo viviamo sino in fondo, sapremo riconoscerlo nel nostro prossimo
diventiamo persone compassionevoli capaci di accogliere il dolore del nostro
vicino e trarre ispirazione per mettere la nostra creatività al servizio della
trasformazione sociale.
Come ci testimonia anche la
psicanalista e psicologa Marie de Hennezel nel suo libro “La morte amica” (Bur, Milano 2015),
“Nessuno mi ha
aiutato a svuotarmi del mio dolore. La depressione che segue un lutto è
considerata anormale” (cioè “clinica”), “ci mandano dal medico perché ci
prescriva farmaci” (pag. 128)
"So per esperienza che la sofferenza s'allevia se si
riesce a parlare della morte con i propri cari, se si può anche piangere
insieme" (pag. 157)
La prima realizzazione dell’idea di Miesen di un Caffé
Alzheimer avvenne in una sala conferenza dell'Università di Leida con la
partecipazione di circa 20 persone, ma un mese più tardi i partecipanti furono
35 ed un altro mese dopo il numero era salito a 54; dopo 3 mesi, l’aula
conteneva 80 persone.
"Il
"conduttore" non è colui che conduce - spiega Cinzia Siviero,
volontaria ed insegnante del metodo validation-
bensì colui che facilita il dialogo"
L'Alzheimer Café può anche essere casalingo: ad esempio
nel romanzo Alice lo fa a casa sua:
"Volete
qualcosa da pensare?" chiese Alice.
"Alice,
intendevi "qualcosa da bere"?" chiese Cathy.
"Perché,
cos'ho detto?"
"Hai
detto "pensare"."
"Risero, e quella risata li unì
immediatamente. ("Still Alice",
pag. 222)
"Raccontarono
e risero e piansero per storie di chiavi smarrite, pensieri smarriti e sogni di
vita smarriti. Alice si sentiva ascoltata, senza che nessuno si preoccupasse di
correggerla. Si sentiva normale" ("Still Alice", pag. 224)
Credo che ai
nostri vecchi vada fatto capire che fragilità non è sinonimo di debolezza,
bensì è riconoscimento della nostra interdipendenza.
Il Comune lavora
ad uno sportello badanti specializzate in Alzheimer, e Michele Farina,
giornalista del "Corriere", ci racconta che colei che fu la fedele
badante della madre scomparsa, oggi la considera sua sorella. Sono le nuove
famiglie che abbiamo raccontato al Cineforum sul film "A Lady in Paris" che rivedremo giovedì
17 dicembre 2015 al Cinema Gregorianum alla rassegna "I Nuovi Angeli".
Le Intuizioni Morali di NAOMI FEIL, inventrice del Metodo
Validation
Crebbe nella Casa per Anziani ove lavoravano i Genitori,
Applicò l'Empatia di Carl Rogers: Ascolto Empatico
BASTA BUGIE E RAGIONAMENTI. ACCOGLIAMO LE EMOZIONI
Ho frequentato il
corso del metodo validation tenuto da
una signora di straordinaria intelligenza emotiva, Cinzia Siviero (formatrice
da nove anni a Milano) che opera sia con la Casa Famiglia San Giuseppe di
Vimercate in provincia di Milano, sia con l'onlus "Al Confine" di Milano. Tale metodo è uno stile di
comunicazione che reca provati benefìci a chi vive con l'Alzheimer e si sposa
perfettamente con la filosofia che sta alla base del nostro cineforum che
valorizza "l'intelligenza delle emozioni" (per citare il titolo
italiano di un libro della filosofa ebrea americana Martha C. Nussbaum): esso
consiste nel convalidare, anziché ragionare, nel sentire e nell'intuire anziché
discutere. Il metodo (dall'inglese "to
validate", "legittimare, convalidare") consiste in questo:
grazie all'empatia, se vedi le cose dal
punto di vista dell'altro, troverai sempre una buona ragione valida (da qui
il nome) e assumerai un atteggiamento convalidante. Fu creato da una donna di straordinaria empatia ed
immaginazione morale, Naomi Feil negli anni Ottanta, sia per trattare con
dignità la persona con Alzheimer sia per ridurre lo stress e limitare l'abuso
di contenzione fisica o chimico-farmacologica ed i relativi effetti collaterali
(Per info sui corsi: http://www.validation.it/)
"Mettersi nei panni dell'altro e vedere
le cose dal suo punto di vista"
Ciò significa sia ascolto empatico attivo: ad esempio se
sento una parola-chiave, rivolgo domande e lascio che lei o lui (si) racconti.
(Vorrei ricordare ancora una volta che
la parola "relazione" deriva dal latino "relatio" che significa "racconto").
Ecco un esempio di
dialogo spontaneo riferito da un'infermiera che ha frequentato con me il corso:
paziente: "Mi manca tanto mia mamma,
sai?" (forse non ricorda che è morta, ndr)
infermiera: "Io purtroppo non l'ho conosciuta,
la tua mamma"
paziente: "Ma tu...Tu sei un pò come la
mia mamma!" (si abbracciano: il contatto è molto importante, donde la
creazione della scienza dell'aptonomia, ndr)
infermiera: "e dimmi, com'era tua mamma?"
(la paziente si mette volentieri a
raccontare...)
Nata a Monaco di
Baviera nel 1932, Naomi Feil è cresciuta in America. I suoi genitori lavoravano una casa per anziani a Cleveland (città
di 400.000 abitanti con alta qualità della vita sita nell'Ohio ov'è nata anche
l'attrice Debra Winger) con incarichi dirigenziali: lui come direttore e lei
come boss del servizio sociale. Assistente
sociale laureata in Social Work alla prestigiosa università Columbia di New
York, ancor oggi diffonde il metodo da lei ideato nel mondo. Il suo primo libro
(del 1982) si chiama "The Feil
Method". La Feil intuì che sono spesso controproducenti i seguenti
espedienti:
- sia il tentare
di far ragionare l'anziano ("Ma lei deve capire che...") e
tranquillizzare ("andrà tutto bene, ci penso io");
- sia la c.d. "bugia terapeutica" ("ok, dopo
ti porto a casa");
- sia il diversivo (distrazione da una richiesta
impossibile: "perché nel frattempo noi due non andiamo a bere un
té?")
E ciò perché
minano il rapporto di fiducia e ci sentiremo dire:
"Chi credono di prendere in giro?"
"A te non ti credo più"
"Non ti ci mettere pure tu!"
E' la sensazione
dell'imbroglio. Secondo Geil, è questo
tipo di sfiducia, più ancora che il danno neurologico, a provocare la chiusura
in sé stessa dei pazienti. Infatti, come le persone non vedenti affinano
una simile sensibilità, gli anziani con Alzheimer sono molto attenti al linguaggio
non verbale, in primis tono della
nostra voce (come si dice anche di Alice nel romanzo, a pag. 174). Impariamo,
dunque, a non cogliere le provocazioni: guerreggiare tentando di far ragionare
chi non ricorda più quella cosa, non fa che aumentare il disturbo e non è una
soluzione creativa, anzi distrugge il rapporto di fiducia che si vuol
costruire. "Ma guarda che...." oppure "Ma come mai?" è un
tipico modo di far incominciare una frase che tenta un ragionamento. Piuttosto,
Feil c'invita ad "imparare a suonare
tutti i tasti del pianoforte", cioè ad usare creativamente la nostra
immaginazione morale. Si tratta, con molta semplicità, di chiedere, di
interessarsi: chi ha una così lunga storia di vita ha senz'altro tante cose da
raccontarci. Nelle residenze sanitarie
assistenziali i caregivers -fra le
altre cose- propongono altresì l'attività di disegno, incoraggiandoli anche se
hanno le mani tremanti. Importante è che il disegno non sia imposto, bensì
lasciato libero. Anche così degli anziani che magari hanno perso capacità
verbali possono comunicare le proprie emozioni e stati d'animo. Come dice la
scrittrice Premio Nobel nel suo racconto "The Bear Came
Over The Mountain" (Einaudi, Torino 2014, prima ediz. 2001, titolo
originale “Hateship, Friendship,
Courtship, Loveship, Marriage”, pag.
290)
“Queste persone avevano un’intensa vita mentale”
Tecniche Validation: a
Portata di Sguardo, Voce Calda e in Sintonia
Quali sono le
tecniche non-verbali del metodo validation?
In primis, dobbiamo essere a portata
di sguardo (proprio come i genitori coi bébé), e, se è il caso, abbassarsi in
maniera da essere vis-à-vis. Lo
sguardo dev'essere diretto, dritto negli occhi ed alla stessa altezza. La
nostra voce dev'essere sia abbassata di tono sia calda sia in sintonia con
l'altro: se lui o lei sono agitati, mostriamoci anche noi partecipi per farli
sentire capìti. Eccovi un esempio reale: il signor Guerino è il padre di due
ragazze che han partecipato con me al corso. Un giorno è uscito di casa e si è
smarrito, è finito su un autobus e s'è messo a gridare "Concetta!" e
a quel punto dei giovinastri svergognati si sono messi a sghignazzare ed
additarlo come ridicolo. Guerino, che ha una memoria fortemente compromessa,
per giorni e giorni s'è ricordato ed ha parlato coi familiari sia di questo
trauma dell'irrisione, sia della gentilezza della signora che lo ha aiutato a
ritrovare i suoi familiari. Come fare quando si ritrova un nostro familiare
così? La risposta migliore è
naturalmente l'abbraccio rassicurante. Ed anche se siamo già stati informàti da
altri sulla dinamica, dobbiamo comunque rispondere al suo bisogno di raccontare,
e dunque dobbiamo chiedergli: "Che cos'è successo, Guerino?" in un
tono che sia coerente con il suo stato, quindi accalorati anche noi.
La Terapia Complementare: le Bambole
L'ideò una Svedese pel Figlioletto Malato Terminale
in un Villaggio Specializzato nella Produzione di Questi Giuochi
La psicoterapeuta svedese che ideò la terapia delle bambole. |
Considerando il
bisogno di calore umano (vi
ricordate quando al cineforum sulle mamme vi raccontai dell'esperimento con la
bambola di scimmia di Harry Harlow?), è bene che i caregivers lascino in giro oggetti morbidi (cuscini, peluches, pupazzi, golf arrotolati) che
fungano da surrogati nei momenti di nostalgia. Esiste anche un'altra terapia di
sostegno chiamata "terapia della bambola" ("doll therapy", "empathy
doll") ideata nel 1996 da una signora svedese, psicoterapeuta, Britt-Marie
Egedius-Jakobsson, per uno scopo familiare.
La terapia delle bambole in inglese si chiama "doll therapy". |
La signora viveva
in un villaggio che aveva questa forma di artigianato di creatori bambole
(Joyk) ed aveva ideato questa forma di terapia creativa per il proprio bambino
gravemente malato. Tali bambole, a differenza delle bamboline prodotte in serie, sono prodotte a
regola d'arte per favorire l'abbraccio, sono realizzate in tessuto bello
morbido, hanno un dispositivo che riproduce il battito cardiaco, hanno il collo
molto mobile e lo sguardo laterale, posso sedersi, sdraiarsi come fossero
persone vive, e hanno i capelli sbarazzini, per essere pettinati e carezzati.
Hanno tanti vestìti che il paziente può divertirsi a cambiare. Alcune sono
dotate di tasche contenenti essenza calmanti che fanno aromaterapia. Tramite
l'accudimento del bambolotto ed il maternage
(che è l'arte delle cure materne nei primissimi anni di vita, che possono
essere perfettamente espletate anche da genitori di sesso maschile, cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/12/le-famiglie-felici-si-rassomigliano.html),
il soggetto riattiva sia ricordi positivi di quando è stato genitore, e ricreando
il rapporto col bambino di un tempo, riattiva delle sensazioni tattili che gli
recano piacere, proprio come accade alle bambine e ai bambini coi loro
orsacchiotti sia stili di relazioni e non-verbali, nonché la memoria
procedurale (vestirla e cambiarla).
La manipolazione della bambola è un giuoco: le si affeziona e come se fosse un bambino, il soggetto le parla, la dondola, le canta la ninna nanna e la culla, la stringe a sé, le carezza i capelli, le sorride e ride agli altri che partecipano del giuoco. Ricordo che siamo l'unica specie animale capace di giocare durante tutta l'età adulta, dice l'antropologo britannico Ashley Montagu (1905 - 1999, autore di "The Elephant Man: A Study in Human Dignity" dond'è stato tratto il film di David Lynch). Purtroppo alcuni figli reagiscono male perché si credono svalutati, e fanno i gelosi. Ciò è assai stupido perché bisognerebbe chiedersi che cosa reca benessere ai nostri cari, anziché esigere un'esclusiva tutta per sé.
La manipolazione della bambola è un giuoco: le si affeziona e come se fosse un bambino, il soggetto le parla, la dondola, le canta la ninna nanna e la culla, la stringe a sé, le carezza i capelli, le sorride e ride agli altri che partecipano del giuoco. Ricordo che siamo l'unica specie animale capace di giocare durante tutta l'età adulta, dice l'antropologo britannico Ashley Montagu (1905 - 1999, autore di "The Elephant Man: A Study in Human Dignity" dond'è stato tratto il film di David Lynch). Purtroppo alcuni figli reagiscono male perché si credono svalutati, e fanno i gelosi. Ciò è assai stupido perché bisognerebbe chiedersi che cosa reca benessere ai nostri cari, anziché esigere un'esclusiva tutta per sé.
Il Passo di Benedetta Tobagi:
"Quella Sciarpa di Mio Padre
mi Dona la Sensazione di averlo Vicino"
mi Dona la Sensazione di averlo Vicino"
L'esperienza di godere
di un oggetto morbido come può essere un pupazzetto o un oggetto-ricordo dal
valore affettivo, di una persona cara scomparsa, vale per chiunque di noi vive
una nostalgia e sa riconoscere il proprio lato di fanciullo.
Per esempio, nel
suo bel libro di memorie, commovente e premiato, "Come mi batte forte ilo tuo cuore" (pagg. 42 - 43), la
scrittrice e giornalista di "Repubblica"
Benedetta Tobagi, che ha perso all'età di tre anni suo padre Walter (1947 -
1980), scrittore, giornalista e sindacalista del "Corriere della Sera" ucciso a trentatré anni dai terroristi,
così si racconta:
"Una parte di me è rimasta bambina
nell'attaccamento a certi oggetti che racchiudono pezzi di mondo. Non è
superstizione: tenerli vicino mi dà conforto e tranquillità. In un grande
armadio ci sono ancora i vestìti di papà (...) Elessi mia coperta di Linus una
lunghissima sciarpa di lana tricot color cammello che ha indossato negli ultimi
inverni della sua vita: la ritrovo in alcune fotografie. (...) La sciarpa era un surrogato della
presenza forte e tenera del suo braccio attorno alle mie spalle (...). Ancora
mi tranquillizza avere con me quella sciarpa nei momenti importanti, mi ha
accompagnato a svariati esami, appuntamenti, colloqui di lavoro. Anche la sera
del primo bacio."
L'ASCOLTO secondo due Grandi Psicologi
Rogers: "Ascoltare il Prossimo genera Fiducia"
E Jung: "Diminuisce il suo Dolore"
Lo psicologo americano Carl Rogers |
Quando le persone
con Alzheimer ci fanno una richiesta impossibile (portarli in una casa che non
è più loro, o da una persona che è scomparsa), noi possiamo però rivolgere loro
delle domande intorno a quell'argomento a loro così caro, per lasciargli esprimere
quel bisogno. Quest'ascolto condiviso attiva i ricordi, il dialogo,
l'attenzione (perché il soggetto sta attento a ciò che sta raccontando).
Scrive lo
psicologo americano Carl Rogers (1902 - 1987) nel suo libro "Autenticità":
"Ascoltare
con Empatia genera fiducia, riduce l'ansia e ristabilisce dignità"
Anche il grande
psicanalista svizzero Carl Gustav Jung (1875 - 1961), come ci spiegherà meglio
la dottoressa Enrichetta Buchli, psicanalista di formazione junghiana, la
pensava così:
"Le
sensazioni dolorose che vengono espresse, riconosciute e convalidate (si
noti la parola donde il nome "metodo validation",
ndr) da una persona fidata che sa
ascoltare, diminuiranno. Le sensazioni dolorose che vengono ignorate o
represse prenderanno forza"
Funziona e a
volte, racconta Cinzia Siviero (la mia docente di metodo validation), dopo una richiesta impossibile sono essi stessi a
dire, salvandoci così dall'imbarazzo:
"Ed ora diciamo una preghierina
insieme!"
oppure: "Lasciamo perdere"!
Carl Rogers: Empatia è Comprendere senza Giudicare
Abraham Maslow: Riconoscere i Bisogni crea Assistenza centrata
sulla Persona. Chi s'affida alle Intuizioni è più Generoso
Naomi Feil mise
insieme la sua esperienza e le proprie intuizioni con la psicologia
dell'americano Carl Rogers (1902 -
1987) che sottolineò le parole-chiave "fiducia" ed "empatia" (calco dal tedesco Einfühlung) introdotto dallo
psicanalista Heinz Kohut e dallo psichiatra ungherese di origine ebraica Sándor Ferenczi (1873 - 1933) che ruppe con Freud
sulle tecniche di analisi (come vi ho raccontato al cineforum dedicato al tema
del mobbing http://lelejandon.blogspot.it/2015/04/linvidia-maligna-del-perverso.html)
e dalla filosofa cattolica di origine ebraica Edith Stein (1891 - 1942) autrice
a 27 anni del libro (sua tesi di dottorato) "Zum Problem der Einfühlung" ("Sul
problema dell'empatia", parola che nel pensiero del suo maestro
Husserl significa anche "intuizione").
La Stein, allo scoppio della Prima guerra mondiale, fece un corso d'infermiera e si dedicò in prima linea alla cura degli ammalati di tifo e i denutriti. Senza risposta rimase il suo appello a Papa Pio XI (1857 - 1939) e al Cardinale Pacelli (già nunzio apostolico in Germania) di fermare le persecuzioni antiebraiche e fu internata nel Lager di Auschwitz con la sorella Rosa (anch'ella monaca carmelitana scalza), ove morì.
"INTUIZIONE" è un termine-chiave nella filosofia dell'ebrea Edith Stein: così, infatti, si può tradurre il termine Einfuhlung. |
La Stein, allo scoppio della Prima guerra mondiale, fece un corso d'infermiera e si dedicò in prima linea alla cura degli ammalati di tifo e i denutriti. Senza risposta rimase il suo appello a Papa Pio XI (1857 - 1939) e al Cardinale Pacelli (già nunzio apostolico in Germania) di fermare le persecuzioni antiebraiche e fu internata nel Lager di Auschwitz con la sorella Rosa (anch'ella monaca carmelitana scalza), ove morì.
Per Rogers, l'empatia è la comprensione non giudicante (distinta
dall'immedesimazione, che è quella degli attori che usano il metodo
Stanislavskij): se l'anziano si sente ascoltato empaticamente, si apre da sé
spontaneamente. Nato in un sobborgo di Chicago (Illinois), anch'egli, come Kitwood, ha alle spalle studi di teologia, fu stimolato
da Otto Rank (i cui studi sulla creatività abbiamo citato nel Cineforum sul
tema:
http://lelejandon.blogspot.it/2015/03/il-coraggio-creativo-e-la-risposta.html)
su cui torneremo al Cineforum sul film "Un giorno questo dolore ti sarà utile" giovedì 19 novembre
alle ore 20 puntuali. Aderisce alla psicologia umanista, la "terza
forza" (contrapposta sia alla psicanalisi freudiana sia al
comportamentismo positivista) che aveva una visione fiduciosa e positiva della
natura umana e di cui fu esponente di punta lo psicologo ebreo americano Abraham Maslow (1908 - 1970), della quale
creò una corrente, appunto "rogersiana" col libro "La terapia centrata sul cliente":
la nevrosi nasce da uno sforzo distorto per attuare le proprie potenzialità.
La
sua "terapia non direttiva" ascoltando il paziente con empatia, con
genuinità (senza celarsi dietro le regole del setting ed il ruolo) e senza giudicare, mostrando fiducia nelle
capacità del paziente di trovare la sua strada di autorealizzazione. Maslow fu l'ideatore della famosa teoria della
Piramide di Maslow sui bisogni umani (del 1954, nel libro "Motivation and Personality"): saper riconoscere i bisogni crea
un'assistenza centrata sulla persona (person-centred,
come dice appunto Kitwood). La sua opera fondamentale ("Verso una psicologia dell'essere",
"Toward a Psychology of Being",
1968) fu una novità culturale perché a differenza dei comportamentisti (che si
basavano sugli animali) e dei freudiani (che si basavano sui nevrotici), la sua
ricerca si basava sui sani. Poiché ognuno di noi ha un nucleo intimo d'inclinazioni
innate, dobbiamo lasciar crescere i bambini senza interferire troppo: la
spontaneità favorisce la loro creatività, mentre la repressione provoca la
nevrosi. Le persone che realizzano sé
stesse si affidano alle loro intuizioni ed inclinazioni estetiche, sono
autonome e divengono anche meno egoiste. Una scuola che si rifà a questo modello fu
quella dello psicanalista ebreo tedesco Erich Fromm (1900 - 1980) e dello
psicologo Rollo May (autore di "The
Courage to Create", che abbiamo citato sempre nell'articolo sulla
creatività: http://lelejandon.blogspot.it/2015/03/il-coraggio-creativo-e-la-risposta.html).
A me piace la definizione che dell'empatia (lui la
chiama "simpatia") dà lo psichiatra ebreo russo Eugène Minkowski (Pietroburgo
1885 - Parigi 1972),
“La
simpatia è quel dono meraviglioso che portiamo in noi di far nostre le gioie e le pene dei
nostri simili, di farcene penetrare interamente, di sentirci in perfetta
comunione, di essere tutt'uno con essi (…) è
quanto c'è in noi di più naturale, di più “umano” (…) la base stessa della
vita sentimentale” (Il Tempo Vissuto. Fenomenologia e Psicopatologia”,
Rizzoli, Milano 2011, pagg. 68 – 69 (titolo originale francese Le temps vécu: études phénoménologiques et
psychopatologiques, Collection de l’évolution psychiatrique, Paris 1933.)
Il
Documento-Video: La Forza dell'Empatia
Naomi
Feil Parla alla Signora Muta con Alzheimer
che
le risponde col Body Language e un
Sussurro: "Sei al Sicuro?" "Sì!"
Poi le Canta una Canzonetta: e lei batte le mani a Ritmo
Poi le Canta una Canzonetta: e lei batte le mani a Ritmo
In questo secondo video
che vi ho mostrato alla Casa dei Diritti, vediamo la Feil comunicare con un'anziana donna,
Gladys Wilson, che ormai è "non verbale":
https://www.youtube.com/watch?v=CrZXz10FcVM: la signora non può più parlare ma
sa usare il movimento delle mani per esprimere affetto e simpatia. Sa ancora
apprezzare la musica e mentre Naomi canta, lei stavolta usa le mani per esprimere
sintonia ed apprezzamento per la canzonetta. Quando infine Naomi Feil le
pratica un massaggio rilassante al viso, riesce persino a farle dire una
parola, sussurrata, e alla domanda se si
senta al sicuro, risponde di sì.
Il
Dilemma Morale
Si scorda di essere vegano e vuole sono carne
Il Caso in Svezia finisce in una Commissione Etica del Ministero:
"Convalidiamo la sua Scelta di Oggi"
Ci sono anche casi
curiosi come quello raccontato dalla rivista "Lavoro Sociale" (http://www.lavorosociale.com): poiché
l'Alzheimer provoca mutamenti nella personalità, è successo ad un signore
75enne svedese, Oscar, che è sempre stato attivista vegano, di assaggiare una
polpetta di carne, e da allora ha sempre richiesto questo come suo piatto
preferito. Il ministero della salute ha convocato un comitato etico per
risolvere il dilemma: imporgli una dieta vegana, secondo la sua precedente
fede, oppure rispettare il suo gusto ora che si è scordato delle sue
convinzioni morali? La risposta dei filosofi è stata di convalidare la sua
scelta odierna.
****
I Grandi Film che Trattano il Tema
dell’Alzheimer:
Il
Film Estone "A Lady in Paris"
che vedremo Giovedì 17/12 al Gregorianum
Per approfondire, vi indico
altri film che toccano il tema.
Il premiato
regista estone Ilmar Raag, che ha avuto una madre ammalata di Alzheimer, nel
film "A
Lady in Paris" ("Une
Estonienne à Paris", Francia - Estonia 2012, 94 min.) che vi
presenterò nella mia rassegna "I
Nostri Angeli" giovedì 17 dicembre alle ore 20 al Cinema Gregorianum
in via Settala 27, parla di Anne, una signora che se ne va dall'Estonia (per
recarsi a Parigi ad assistere Frida, il Premio César Jeanne Moreau) proprio
dopo aver finito di assistere la mamma affetta da Alzheimer.
Le Due Biografie
coi Premi Oscar Judi
Dench e Meryl Streep
I Premi Oscar Judi Dench e Jim Broadbent in "Iris - Un amore vero" il film che apre la nuova rassegna "I Nostri Angeli" al Cinema Gregorianum giovedì 5 novembre 2015 alle ore 20 puntuali. |
I Premi Oscar Jim Broadbent e Kate Winslet (a destra) con John Bayley, il vedovo di Iris Murdoch. |
Jim Broadbent (che interpreta John Bayley da anziano, compagno della scrittrice, e premiato sia col Premio Oscar sia col Golden Globe come miglior attore non protagonista) e Richard Eyre, il regista, hanno avuto entrambi le madri colpite da Alzheimer.
Jim Broadbent era stato già l'interprete del marito di Meryl Streep (Margaret Thatcher) nel film "The Iron Lady". |
Figlia di protestanti, Iris Murdoch (1909 - 1999) studiò greco, latino, storia antica e filosofia ad Oxford e poi proseguì quest'ultima a Cambridge, ove fu allieva del filosofo Wittgenstein (Vienna 1889 - Cambridge 1951) e ben presto sostituì con un giuoco di parole la parola "God" ("Dio") con la parola Good ("Bene") ispirandosi al suo filosofo greco preferito: Platone. Nella Seconda guerra mondiale lavorò per l'UNRRA, organizzazione ONU per profughi e rifugiati. Divenne insegnante di filosofia ad Oxford ove conobbe John, col quale si fidanzò (lei aveva 34 anni, lui 26enne studente).
Meryl Streep vinse il suo terzo Oscar per "The Iron Lady": Margaret Thatcher fu amica di Iris Murdoch, che fu spesso Ospite a cena a casa della prima donna Premier britannica. |
Parallelamente, scrisse 26 romanzi ove ha raccontato tutti i colori dell'amore. Nel 1995 - 7 scoprì di avere l'Alzheimer. Il marito scrisse due opere per commemorarla: "Elegy for Iris" (1998) e "Iris and Her Friends: A Memoir of Memory and Desire" (del 1999, anno della morte di lei). Comunista da giovane, divenne amica di Margaret Thatcher, anche lei colpita da demenza.
Il film ci racconta sia la
storia d'amore col marito di sempre sia il suo testamento spirituale.
All'inizio del film la vediamo
ad una conferenza ove dice che è l'istruzione a dirci se siamo felici perché ci
dona la libertà della mente.
E, a
sorpresa, si mette a cantare anziché parlare (anche Séraphine amava
cantare, e nella sigla il nostro Antonello Ghezzi le ha accostate). Ci spiega
altresì che la ricerca della felicità risiede nell'amore e nel potere
dell'immaginazione. Vediamo che la
storia d'amore fra lei ed il marito John, proprio come quella dei registi di
"Still Alice", fu anche una
collaborazione: mentre lei scrive in corsivo, il marito le batte a macchina
i testi per gli editori.
FILM RARO ed INTROVABILE: la rassegna "I Nostri Angeli" parte con un'opera esclusiva (fuori catalogo) che non troverete nelle videoteche né in vendita su Internet. |
Poi, però, nel bel mezzo di un'intervista
Tv, proprio lei sempre così brillante, perde il filo. I sintomi si susseguono:
un giorno si scorda che Nora è morta e quando un neurologo le fa visita, non
ricorda il nome del primo ministro. Della sua condizione dice nel film:
"Mi sento come se veleggiassi nelle tenebre..."
Arriva al punto da non riconoscere
il proprio nome sulle copertine dei propri libri, e a non avere più la concentrazione
per continuare a fare ciò che amava di più: scrivere. L'ispirazione non le
manca, ma le manca la concentrazione: come quando si siede in riva al mare con
le migliori intenzioni e mette i vari bigliettini sotto i sassi, poi li lascia
volare via. Poi, la vediamo mentre continua a seguire per casa il marito come
una bimba sua madre e lui sbotta:
"Smettila di starmi così appiccicata!"
Poi il marito ha un'esplosione
di rabbia per la sua impotenza nel tenere sotto controllo e la sveglia di
soprassalto nel cuore della notte gridandole contro:
"Ci siamo persi! Ci siamo persi!"
Quando si libera un posto a
"Vale House", una nursing home
(specializzata in Alzheimer) "più esclusiva di Eton", il marito cede e la fa venire a prendere,
proprio come il marito di Fiona in "Lontano
da Lei". Per fortuna, può andare a trovarla quando vuole. Continua
il flashback ai tempi d'oro della
brillante conferenziera le cui
riflessioni ora che è vecchia si rivelano verissime intuizioni morali:
"Gli esseri umani si amano nel sesso, nell'amicizia e
quando sono innamorati e si prendono cura degli altri esseri: umani, animali,
piante ed anche pietre. Dobbiamo credere
in qualcosa di divino senza il bisogno di un Dio: qualcosa che possiamo
chiamare amore o bontà."
Poi quando
vediamo il flashback di lei che cita un Salmo ci pare che sia come dedicato al
marito per la sua amorevole cura quando lei ha l'Alzheimer:
"Più puro me ne andrò dallo spirito, più puro fuggirò
dalla Tua presenza. Se ascenderò al Cielo, Tu ci sarai; se mi troverò nelle
fiamme dell'Inferno, Tu ci sarai. Se prenderò le ali del mattino e nuoterò
nelle profondità del mare, anche in quelle mi guiderà la Tua mano ed essa sarà
a sostenermi"
"Lontano
da Lei", il Film Canadese: altra grande Storia d'Amore
La Moglie si dimentica di lui e s'innamora di un altro ma questi viene
riportato a casa:
la Magnanimità del Marito che li fa reincontrare. Dal Racconto del Nobel
Alice Munro
Anche il film "Away From Her" (Canada 2006) di
Sarah Polley (tratto dal racconto "The
Bear Came Over The Mountain" del Premio Nobel per la letteratura Alice
Munro, che cito dalla mia edizione Einaudi, Torino 2014, prima ediz. 2001,
titolo originale “Hateship, Friendship,
Courtship, Loveship, Marriage”) è una bellissima storia d'amore (si può
trovare anche nel Meridiano Mondadori a lei dedicato). La protagonista Fiona (il
Premio Oscar Julie Christie), anche lei
piena di vita come Iris, vive col marito Grant (l'attore canadese Gordon
Pinsent) nell'Ontario (Canada) ma incomincia a manifestare strani sintomi:
- mette una pentola nel frigorifero;
- a volte, come lei stessa
dichiara ancora ignara della diagnosi, esce
di casa in cerca di qualcosa che le sembra importante ma poi si scorda cosa
va cercando;
- anche lei, come Iris, si perde
durante una passeggiata ed il marito la va a cercare con l'automobile.
“Le capitava di fermarsi sulla porta di una stanza cercando
di ricordare dove fosse diretta. Dimenticava di accendere il fuoco sotto le
verdure o di mettere l’acqua nella caffettiera. Chiese a Grant a quando
risalisse il loro trasferimento in quella casa.
- E’ stato l’anno scorso o due
anni fa?
- Lui disse che stavano lì da
dodici anni.
E lei: - Incredibile.” (pag.
271)
Quando un dottore le sottopone
dei semplicissimi test (proprio come ad Iris), le sue non risposte confermano
il decadimento cognitivo:
"Se Lei va al
cinema e scoppia un incendio, che cosa fa?"
"Se trova una
lettera col francobollo, dove la mette?"
Nel racconto:
“Fiona, che non andava più a fare la spesa da sola, sparì
dal supermercato non appena Grant la perse d’occhio per un attimo. Un
poliziotto la fermò mentre procedeva in mezzo alla strada, a parecchi isolati
di distanza. Le chiese come si chiamava e lei non ebbe difficoltà a rispondere.
Poi le domandò il nome del primo ministro in carica.
- Bè, giovanotto, se non lo sa non
dovrebbe svolgere un lavoro come il suo.
Lui rise. Poi però
Fiona commise l’errore di chiedergli se aveva visto Boris e Natasha.
Erano i due levrieri russi che
aveva adottato qualche anno prima per fare un piacere a un amico e ai quali
aveva poi dedicato ogni cura fino alla loro morte.” (pagg. 271 – 272)
Come Alice, Fiona ha il dono
dell'autoironia: Quando il marito le chiede se intenda andare alla casa di
riposo, lei replica: "Quale posto? Sto scherzando!", ride.
Nella casa di riposo la regola
vuole che non riceva visite il primo mese per ambientarsi. Da nessuno, nemmeno
da lui! Non era mai successo, in 44 anni insieme, che i due fossero separati. Quando
torna a trovarla, il marito con sconcerto viene trattato con molta freddezza
dalla moglie, che “gli aveva parlato come se l’avesse scambiata per un
eventuale nuovo residente” (pag. 284) e che nel frattempo pare aver trovato un
"amico del cuore", Aubry, un signore coetaneo che siede su una
carrozzina e di cui si prende amorevolmente cura:
"Ma sa chi sono io?" chiede all'infermiera
(la bravissima Kristen Thomson, vincitrice del Genie Award
per questo ruolo)
"Imparerà a non prendersela, a vivere un pò alla
giornata"
Addirittura, si chiede se non
sia una “messa in scena” (pag. 284) per punirlo delle scappatelle del passato:
"Mi chiedo se non stia mettendo in scena una recita,
una punizione"
Ma “così era troppo crudele”
(pag. 284).
L’infermiera gli spiega: “Queste
forme di simpatia nascono qui. Per un po’ sono la cosa più importante. Come
farsi l’amica del cuore. E’ una specie di fase.” (pag. 285)
E lo rassicura:
"Nessuno può portarvi via quello che avete vissuto
insieme, e anche se lo sembra, resta"
Il marito non osa fare la
domanda-clou:
“Grant non poteva pretendere di sapere da lei se lo
riconoscesse come il marito di quasi cinquant’anni vissuti insieme. Aveva
l’impressione che quella domanda l’avrebbe messa a disagio – non tanto per sé
stessa quanto per lui. Sarebbe forse scoppiata a ridere in modo frivolo,
mortificandolo con il suo educato stupore, e avrebbe finito comunque col non
dire né sì né no. Oppure gli avrebbe dato una risposta affermativa o negativa,
senza peraltro soddisfarlo.” (pag. 285)
“Sempre meno sicuro del proprio diritto a restare in scena,
ma anche capace di ritirarsi. (…)
Certe volte gli pareva di somigliare a un ragazzo testardo
impegnato in un corteggiamento senza speranza, altre volte a uno di quei
miserabili che seguono per la strada donne famose, convinti che un giorno si
volteranno per prendere atto del loro amore.” (pag. 289)
Finalmente, nel film si decide a
chiedere infine alla moglie che cosa ci trovi in quest'uomo, e lei gli risponde
molto semplicemente che almeno lui non la scombussola, riferendosi al fatto che
il marito le chiede ognivolta uno sforzo di ricordarsi:
"Che cosa fai con Aubry?"
"Lui non mi
scombussola"
Quando la moglie del signore in
carrozzina (il Premio Oscar Olympia Dukakis che avete amato nella storia
d'amore fra donne in "Cloudburst - Un amore fra le nuvole")
riporta a casa il marito, perché non può più permettersi la retta e non vuol
rischiare di dover vendere la propria casa di proprietà (pag. 307), Fiona ne
rimane assai addolorata e la sua diviene una depressione clinica:
“Fiona non si era ripresa dal dolore. Saltava i pasti, anche
se lo negava, nascondendo il cibo nel tovagliolo. (…) Se Kristy o un’altra
infermiera, oppure Grant in orario di visita, non l’avessero fatta passeggiare
nei corridoi o portata fuori, non si sarebbe più mossa per niente” (pag. 299)
Così
il marito, sia pur addolorato per la gelosia, in uno slancio di generosità, si
decide ad incontrare la moglie di questo signore che tanto manca alla propria
moglie, e spiega
la situazione particolare a questa signora che lo accoglie sulla difensiva:
“Mio marito non è stato appresso a sua moglie, se è questo
che intende insinuare, - disse lei- Non l’ha mai molestata in nessun modo. Non
è in grado di fare una cosa simile e non l’avrebbe fatta comunque. Da quel che
ho saputo è stato il contrario semmai.
Grant disse: -No. Non ci siamo capìti. Non sono qui per
accusare nessuno di niente.
Oh- disse lei.- Bè, mi dispiace. Credevo.
Non ci sarebbero state altre scuse da parte sua. E non
sembrava dispiaciuta affatto. Delusa, piuttosto, e perplessa.” (pag. 302)
Dopo un colloquio in cui
convince questa signora (che lo inviterà anche ad uscire insieme, e nel film
finisce a letto con lui mentre nel racconto non le risponde neanche),
accompagna Aubry da Fiona.
Ma lei nel frattempo pare aver
dimenticato l’amico del cuore (nel racconto alla domanda “Fiona, ti ho portato
una sorpresa. Ti ricordi di Aubry?” lei replica “I nomi mi sfuggono”, pag. 315)
e nell'ultima battuta, prima del forte abbraccio, lei lo ringrazia per la sua
magnanimità:
"Potevi andare via senza neanche voltarti e invece sei
qui" (nel film)
“Per quanto ne sapevo potevi essere semplicemente sparito.
Potevi essere montato in macchina senza un pensiero al mondo e avermi lasciata
qui. Abbandonata” (...) (E lui: “Mai e poi mai”, nel racconto)
Il Film coreano premiato a Cannes: la
Nonna che s'iscrive al Corso di Poesia
e non fa Caso al proprio Alzheimer
Incipiente
Nel film "Poetry" (2010, Premio
Miglior Sceneggiatura Festival di Cannes), una bella signora 66enne (la
premiata Yoon Jeong-hee), quieta e solare, di professione badante, che suo
malgrado si ritrova ad essere l'unica figura familiare di uno scapestrato,
chiuso ed apatico nipote 16enne che le è stato affidato dalla figlia (via per
lavoro in un'altra città) è ricca di umana curiosità, e proprio lei che non ha
mai composto una poesia in vita sua, improvvisamente sente una forte
motivazione ad iscriversi ad un corso di scrittura poetica che la induce a
soffermarsi a prestare attenzione alle piccole cose ed incomincia ad appuntarsi
le sensazioni: gustare una susina colta da terra od ascoltare il canto degli
uccellini. Per questo viene vista come un'eccentrica. Nel frattempo, le viene diagnosticato l'Alzheimer, ma lei non sembra
farci caso, concentrando altrove la sua attenzione per creare poesia. A lezione,
a sorpresa, fra gli altri c'è un ex poliziotto, trasferito per punizione per aver
denunziato delle irregolarità. Sarà un delitto orribile ed impunito a dare alla
protagonista l'ispirazione per dar voce alla giovane vittima, rimasta senza
giustizia, e sarà proprio lei, l'aspirante poetessa che riscopre la compassione
nell'attenzione poetica, ad avere l'umanità e l'immaginazione morale per fare
giustizia, e non solo con la poesia.
Il
Film Iraniano Premio Oscar
La
Badante per Caso: "Sarà Peccato se gli Cambio i Pantaloni?"
Il regista iraniano Asghar
Faradi in "Una separazione"
(Premio Oscar Miglior Film Straniero e Orso d'Oro al Festival di Berlino) narra
la storia di una famiglia dell'alta borghesia di Teheran. Il padre di famiglia
(il fascinoso Peyman Moaadi, Orso d'Argento Miglior Attore) vive un periodo
sotto forte stress perché si sta separando dalla moglie (Leila Hatami, Orso
d'Argento anche lei): lei, dopo aver
ottenuto un non scontato permesso di libera uscita, avrebbe voluto che lui la seguisse negli USA lasciando "questo
Paese senza speranza", mentre lui pensa al padre ammalato d'Alzheimer, e
non vuole lasciarlo solo. Il giudice auspica un accordo, ma non essendoci
questo, non li fa separare. Lei lascia lo stesso il marito, sicché lui si trova
a vivere da solo col padre e con la figlia undicenne, la quale ha scelto di vivere
con lui affinché i due genitori non si separino, sapendo che la madre non se ne
andrà senza di lei. Lavorando tutto il giorno, si trova costretto ad assume una
badante, anche se non esistono professioniste: assume una signora di un
quartiere povero, la quale non gli ha detto di lavorare di nascosto dal marito
disoccupato e di essere incinta. La nuova assunta è così estremamente bigotta
da farsi scrupoli persino nel momento in cui è necessario cambiare i pantaloni
bagnati di pipì dell'assistito, e telefona all'ufficio preposto alla consulenza
sui comportamenti conformi alla religione. Come
appunto spesso càpita a chi ha l'Alzheimer, un giorno l'anziano si mette a
vagabondare uscendo di casa (il fenomeno del wandering) e lei, nel rincorrerlo, viene investita da un'auto. Quindi,
nel maldestro timore che il vecchio si faccia male, una volta riportatolo a
casa lo lega al letto: quando rientra prima del previsto il figlio, furibondo
per l'evidente irresponsabilità, la licenzia in tronco e la scaraventa fuori di
casa, accusandola anche di avergli rubato dei soldi. Lei si ostina, per
difendere la propria onorabilità, a voler rientrare e spiegare che non è stata
lei a rubare quei soldi, sinché lui non la spinge decisamente fuori casa. Poco
dopo, saprà di aver perso il bambino che recava in grembo, e lei lo accuserà di
averle causato l'aborto, che invece fu determinato dall'investimento del giorno
prima. Il film è tutto giocato sullo scontro sociale fra le due famiglie.
Mia
Farrow non lo dice ai Parenti
Nel film americano "Il
silenzio dell'amore" ("Forget
Me Never", del 1999, di Robert Allan Ackerman), ispirato ad una storia vera, il Premio Golden Globe Mia
Farrow ("Rosemary's Baby")
interpreta anche lei come Julianne Moore una professionista di successo (nel
suo caso un'avvocatessa), Diana, che manifesta improvvisamente vuoti di memoria
e quando le viene diagnosticato l'Alzheimer decide di non rivelarlo ai familiari,
nemmeno il marito (il Premio Golden Globe Martin Sheen di "Platoon" ed "Apocalypse Now"). Ma un giorno nel
bel mezzo di una sua conferenza perde la cognizione di dove si trovi e allora
si ritrova costretta a fare la rivelazione. Cade in depressione sinché incontra
un insegnante in pensione che le preannuncia ciò che l'aspetta e la invita a
frequentare un gruppo di aiuto.
LA STORIA D'AMORE dei
REGISTI di "STILL ALICE":
VENT'ANNI INSIEME: AMORE, COLLABORAZIONE ed AMICIZIA
"LA GRAZIA con cui RICHARD ha COMBATTUTO LA SLA
mi è di GRANDE ISPIRAZIONE"
I registi del film, Richard
Glatzer e Wash Westmoreland, una coppia gay sposata, in questo film che
vediamo oggi rappresentano
solo lo stadio iniziale dell'Alzheimer ben sapendo cosa significhi convivere
con una malattia degenerativa: Glatzer comunicava con la troupe tramite Ipad,
avendo la sclerosi laterale amiotrofica diagnosticatogli quattr'anni prima (di
SLA parla anche Marie de Hennezel nel suo libro "La morte amica", pag. 150 sgg.). Morì pochi mesi dopo.
“Sono distrutto (devastated).
Rich (diminutivo di Richard) era la mia
anima gemella (soul mate), il mio
collaboratore, il mio migliore amico e la mia vita.
Vederlo combattere la
sclerosi laterale amiotrofica per quattr'anni con una tale grazia e coraggio dà
ispirazione a me e a tutti coloro i quali l'hanno conosciuto. Nel suo
periodo buio, ho tratto consolazione dal fatto che è riuscito a vedere "Still Alice" uscire nel mondo. Ci ha messo il suo cuore e la sua mente in
quel film e il fatto che ha toccato così tante persone era una gioia costante
per lui. Richard era un tipo unico: caparbio (opinionated), divertente, altruista, di buona compagnia, generoso,
e così smart! Un vero artista e un uomo brillante. Faccio tesoro di ogni giorno
dei brevi vent'anni vissuti insieme. Non riesco a credere che se ne sia andato.
Ma nel mio cuore e nei cuori di quelli che gli han voluto bene sarà sempre
vivo."
Il
Romanzo "Still Alice"
dond'è tratto il Film Omonimo
Alice (il
Premio Oscar Julianne Moore), splendida 50enne, brillante docente, ha sempre
definito sé stessa per la propria intelligenza e proprietà di linguaggio,
quand'ecco che incomincia a scordare nomi, ricette, appuntamenti, volti,
luoghi, le note in agenda. E' un esordio precoce d'Alzheimer: si ritira e usa
questo prezioso tempo libero per prendere in mano tutti quei libri che non era
mai riuscita a leggere. Proprio grazie alle sue risorse intellettive (che le
danno una marcia in più per ideare strategie mnemoniche creative e ritrovare sé
stessa), all'ausilio della tecnologia (domande-e-risposte scritte sul
BlackBerry sempre a portata di mano) e soprattutto all'amorevole sostegno del
marito (il Premio Golden Globe Alec Baldwin) e della figlia (il Premio César
Kristen Stewart), "Ali" trova un modus
vivendi coi momenti d'oblio in cui i ricordi divengono vaghi come sogni e
si prepara a tenere la più importante conferenza della sua vita: dinanzi a
medici e all'Associazione dei familiari fa appello alla collaborazione per
incoraggiare l'autonomia delle persone che come lei hanno ancora una volontà,
dei desidèri e voglia di partecipare alle discussioni, e per sviluppare insieme
soluzioni pratiche per aggirare gl'inconvenienti.
Alice non è vittima, fa delle scelte libere: è lei a scegliere sia di usare la tecnologia, di creare l'Azheimer Café a casa propria, di fare il discorso, di non seguire il marito a New York:
Alice non è vittima, fa delle scelte libere: è lei a scegliere sia di usare la tecnologia, di creare l'Azheimer Café a casa propria, di fare il discorso, di non seguire il marito a New York:
"Mamma, ti prego, non trasferirti a New York"
"New York? Non essere sciocca. Io abito qui. perché dovrei
trasferirmi a New York?" ("Still
Alice", pag. 261: insomma, è
ancora lei, è “still Alice”, come
dice il titolo del romanzo)
"Solo perché uno ha l'Alzheimer non significa che non
sappia cosa vuole o non vuole" ("Still
Alice", pag. 263)
Lievi Differenze
fra il Romanzo ed il Film
Nel libro, prima si rivolge alla
propria dottoressa, poi va dallo specialista; nel film va direttamente dal
neurologo.
Nel libro, rinuncia a fare la
torta di Natale, nel film la cerca su Google.
Nel romanzo, scrive una lettera
a sé stessa, nella trasposizione cinematografica registra un proprio video ove
parla a sé stessa.
In conclusione, i due registi
hanno voluto rendere più moderna, più telematica Alice.
Vediamo i passi-clou del romanzo (mia edizione 2015).
I Primi Sintomi
La Parola Mancante
"Aveva una vaga sensazione
di quello che intendeva dire, ma la specifica parola le sfuggiva. Sparita.
Forse era lo champagne. O forse era il jet
lag" (pagg. 16 - 17)
Il Panico/1:
Dov'è Casa Mia?!
Harvard Square, jogging: "Non sapeva da che parte fosse
casa sua. Il cuore prese a batterle forte. Cominciò a sudare. Cercò di
convincersi che pulsazioni accelerate e sudorazione facevano parte di una
risposta orchestrata e adeguata alla corsa. Ma mentre se ne stava immobile sul
marciapiede, la sensazione che provava era di panico. (...) Riaprì gli occhi.
Così, all'improvviso, come l'aveva abbandonata, il paesaggio si riassestò al
suo posto." (pagg. 28 - 29).
"In più di un'occasione si era seduta per mangiare
senza sapere bene quale pasto stava per consumare" (pag. 149)
Il Panico/2:
quando non trova il Bagno:
Nel
film vediamo la stessa scena:
Alice cerca il bagno e non lo trova: "Come posso
perdermi in casa mia?" si chiede.
"Non riusciva più a trattenerla. Provò la strana
sensazione di vedersi dall'esterno, quella poveraccia dall'aria familiare che
piangeva nell'ingresso. Non sembrava il pianto in qualche modo controllato di
una donna adulta. Era il pianto disperato, spaventato, sconfitto e
irrefrenabile di una bambina piccola. John si precipitò in casa giusto in tempo
per vedere l'urina che le scorreva lungo la gamba destra e le inzuppava i
pantaloni della tuta.
"Non guardarmi!"
"Va tutto bene, sei qui."
"Mi sono persa."
"Non ti sei persa. Ali, sei qui con me."
John la abbracciò, cullandola dolcemente, consolandola fino
a tranquillizzarla come tante volte aveva consolato i loro bambini dopo
svariati acciacchi fisici e ingiustizie sociali." ("Still Alice", pag. 155)
I Test Cognitivi/1:
Prove Verbali: Nominare, Contare, Indicare
Dal neurologo:
"Conti in senso inverso per sei, a partire da
cento"
"Nomini questi oggetti"
"Prima di indicare la finestra si tocchi la guancia
destra con la mano sinistra"
"Può scrivere una frase sul tempo che fa oggi su questo
pezzo di carta?"
("Still Alice",
pag. 63)
La seconda serie di test (elencati a pagina 74) "erano
studiati per evidenziare ogni minima difficoltà a carico della fluenza verbale,
della memoria a breve termine o delle funzioni cognitive. Ricopiare,
riprodurre, organizzare e riconoscere le presero quasi due ore."
Dopo l'esame istologico del tessuto cerebrale, la diagnosi:
Alzheimer precoce. "il dieci per cento delle persone affette dalla
malattia presenta questa forma presenile e ha meno di sessantacinque anni"
("Still Alice", pag. 76)
"Il Questionario delle attività quotidiane dev'essere
compilato da un informatore, NON dal paziente" ("Still Alice", pagg. 78 - 79)
I Test Cognitivi/2:
Dopo la Diagnosi:
"potrebbe compitare "acqua" al
contrario?"
"Ripeta dopo di me: Chi, cosa, quando, dove,
perché" ("Still Alice",
pag. 132)
"Elenchi quante più parole possibili che comincino con
la lettera F"
"nomini quante più verdure le vengono in mente"
"Mi elenchi quanti più animali a quattro zampe
riesce" (pag. 133)
"Disegni un orologio che segna le tre e
quarantacinque" ("Still Alice",
pag. 142): "l'Alzheimer colpisce abbastanza presto i lobi parietali, vale
a dire la sede della nostra rappresentazione interiore dello spazio
extrapersonale." ("Still Alice",
pag. 143)
La Saggezza di
Alice:
Pur nel Dubbio che
sia Inutile, prova a tenere in esercizio il Cervello
"Meditava e giocava a carte. Si lavava i denti usando la sinistra, la mano non dominante. Eppure
nessuno di questi sforzi sembrava conseguire risultati visibili e
quantificabili. Forse le sue capacità cognitive sarebbero notevolmente
peggiorate senza l'esercizio fisico, l'Aricept o i mirtilli. Forse, se non
l'avesse contrastata, la demenza avrebbe avuto il sopravvento. Forse. Ma forse
tutte quelle contromisure non servivano a niente. Non c'era modo di saperlo, se non smettendo di prendere le medicine,
eliminando vino e cioccolato e restandosene seduta sulle proprie chiappe per
tutto un mese. Non era un esperimento
che avesse voglia di azzardare." ("Still Alice", pag. 170)
"Aveva letto che una meditazione regolare poteva incrementare lo spessore corticale e
ritardarne l'assottigliamento dovuto all'età. (...) Ad Alice piaceva quel
momento di concentrazione silenziosa, che riusciva efficacemente a mettere a
tacere la cacofonia indistinta e le preoccupazioni che le si agitavano nella
mente. Le davano letteralmente la pace dello spirito" ("Still Alice", pag. 173)
****
L'autoironia
"Non riesco a capire come si infila
questo cazzo di reggiseno"
"Alice, questo non è un reggiseno. Sono
un paio di mutande."
Lei scoppiò a ridere forte.
("Still
Alice", pagg. 201 - 202)
****
I Libri/1: Le
Speranze di leggere le opere mai lette
Dopo
la diagnosi, Alice
"pensò a tutti i libri che avrebbe sempre voluto
leggere, quello sullo scaffale più alto della sua camera da letto, per i quali
pensava di avere tutto il tempo in sèguito.(...) Tutto quello che faceva e che amava, tutto quello che era, necessitava
del linguaggio" ("Still
Alice", pag. 80)
"Voleva vivere abbastanza a lungo da tenere in braccio
il bambino di Anna con la consapevolezza che era suo nipote. Voleva vedere
recitare Lydia in un ruolo che la rendesse orgogliosa. Voleva leggere tutti i libri che poteva prima di non essere più in
grado di leggere" (pag. 125; leggerà: "Ragione e Sentimento" di Jane Austen, "Moby Dick", "Angels in America")
I Libri/2: le
Difficoltà di Lettura
"Doveva rileggere più volte le stesse pagine per mantenere
la continuità della narrazione o delle argomentazioni, e se per qualche ragione
interrompeva la lettura, doveva a volte tornare indietro di un intero capitolo
per riprendere il filo. E poi le prendeva l'ansia per la scelta dei libri da
leggere. E se non avesse avuto il tempo di leggere tutto quello che voleva? Era
doloroso stabilire delle priorità, le ricordava che l'orologio continuava a
ticchettare, che certe cose sarebbero rimaste in sospeso." (pag. 153)
IDEE
CREATIVE: ecco degli ESEMPI di COME ESSERE COLLABORATIVI
Idea/1: Meglio
i Dvd ai Libri, la Soluzione Creativa del Marito
"Le porse uno dei sacchetti. Era pieno di DVD: "Moby Dick" con Laurence Olivier,
"Casablanca", "Qualcuno volò sul nido del cuculo"
e "Tutti insieme appassionatamente",
che erano i suoi preferiti in assoluto.
"Pensavo che questi ti dovrebbero creare meno problemi.
E possiamo vederli insieme."
Lei sorrise.
"Cosa c'è nell'altra borsa?"
Era eccitata come una bambina la mattina di Natale.
John tirò fuori un pacco di popcorn da microonde e una
scatola di Milk Duds ricoperti di cioccolato." ("Still Alice", pag. 169)
Idea/2: Il
Regalo dei Figli: Film con le Interviste per Ricordarla
"C'erano tre DVD: I
ragazzi Howland, Alice e John e Alice Howland.
"E' un video ricordo per te. I ragazzi Howland è una
raccolta di interviste ad Anna, Tom e me. Le ho girate quest'estate. Sono i
ricordi che abbiamo di te, della nostra infanzia e della crescita. Quello di
papà è il racconto di quando vi siete conosciuti e avete cominciato a uscire
insieme, e il matrimonio e le vacanze e tutto il resto. Ci sono anche un paio
di storie notevoli, di cui nessuno di noi era a conoscenza. Il terzo lo devo
ancora fare. Sarà un'intervista a te, con le tue storie, se ti va di
farlo" ("Still Alice",
pag. 205)
Idea/3: La
Lettera piena di Gratitudine dell'Ex Allievo:
Grazie per la
Collaborazione, la Guida e l'Ispirazione
"Mi considero così fortunato a essere stato un tuo
studente. Voglio che tu sappia che sei tu la ragione per la quale ho scelto la
linguistica come settore di studi. La passione nel voler comprendere come
funziona il linguaggio, il tuo approccio rigoroso e collaborativo alla ricerca,
il tuo amore per l'insegnamento, mi ha ispirato in così tanti modi. Grazie per
la tua guida e la tua saggezza, per avermi imposto traguardi molto più alti di
quelli che avrei mai pensato di raggiungere, e per avermi lasciato tutto lo
spazio necessario per sviluppare le mie idee. Sei stata la migliore insegnante
che abbia mai avuto."
Dan le porse una busta bianca.
"Ecco, te le ho scritte tutte, tutto quello che ti ho
appena detto, così potrai rileggerlo, quando vuoi e sapere quanto mi hai dato,
anche se non te lo ricordi" ("Still
Alice", pagg. 275 - 276)
****
Come funziona
la Memoria:
"Attenzione, ripetizione, elaborazione o significato emotivo erano i requisiti
essenziali affinché l'informazione percepita oltrepassasse la memoria a breve
termine per essere archiviata in quella a lungo termine. Altrimenti sarebbe
stata rapidamente e naturalmente cancellata dal trascorrere del tempo." ("Still Alice", pag. 68)
Sull'attenzione, vedasi il mio
articolo recensione al libro "Focus"
dello psicologo americano Daniel Goleman:
http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/allenare-lattenzione-muscolo-della.html).
Le Discussioni riguardo
le Scelte di Vita della Figlia Ribelle
Nel romanzo e nel film Alice ha
sempre discussioni con la figlia che ha fatto la scelta radicale di non
frequentare l'università (stessa scelta che voleva fare il protagonista del
film "Un giorno questo dolore ti
sarà utile" che abbiamo visto a "Il Cinema e i Diritti") e la madre è preoccupata per il suo
futuro:
"Durante la settimana sono
da Starbucks, e il sabato sera lavoro in un ristorante."
"Non sembra ti resti molto
tempo per la recitazione."
"Non ho scritture in questo
momento, ma seguo seminari e faccio parecchi provini"
"Seminari di che genere?"
"Tecnica di Meisner"
(...)
"A un certo punto bisogna diventare persone
responsabili, affrontare questioni come l'assistenza sanitaria, un mutuo, i
risparmi per la pensione..."
"Voglio solo che non limiti le tue possibilità di
scelta".
"Frequento un serissimo corso di recitazione per
quindici ore la settimana. Quante ore di lezione fanno di solito i tuoi
studenti in una settimana, dodici?"
"Non è la stessa cosa"
"Non mi hai nemmeno vista recitare"
Non aveva niente contro la carriera di attrice in sé, ma era
convinta che la testardaggine della figlia nel perseguire soltanto quella,
senza un'istruzione accademica, rasentasse l'incoscienza. Se non andava al
college adesso, ad acquisire le conoscenze di base o la preparazione canonica
nel settore prescelto, se non otteneva una laurea, cosa avrebbe fatto se la
recitazione non l'avesse portata da nessuna parte? (...) Avrebbe voluto che Lydia
riuscisse a vedere quanto amore e quanta saggezza ispiravano ciò che desiderava
per lei. Avrebbe voluto sporgersi attraverso il tavolo e abbracciarla, ma
c'erano troppi piatti e bicchieri, e anni di lontananza a separarle ("Still Alice", pagg. 21 - 24)
"Un diploma ti aprirebbe comunque altre porte, nel caso
dovessi mai averne bisogno."
"E quali porte?"
"Be', per esempio un diploma ti conferirebbe le
qualifiche per insegnare, se lo volessi."
"Mamma, io voglio fare l'attrice, non l'insegnante.
Quella sei tu, non io." (...)
"Ma cosa succederebbe se un giorno decidessi di mettere
su famiglia e di rallentare un pò gli impegni pur rimanendo nel giro? Tenere
dei workshop come insegnante, persino da casa, sarebbeuna possibilità in più. E
poi non dipende solo dalle cose che conosci, ma anche da chi conosci. Pensa a
tutte le possibili relazioni con compagni di studi, professori, alunni: sono
sicura che c'è un nucleo di professionisti al quale semplicemente non puoi
avere accesso senza un titolo di studio o una carriera dimostrabile"
("Still Alice", pag. 164)
Altra discussione col marito:
"A lei non interessa andare all'università".
"Credo sia solo una sua ribellione verso di noi."
"Ce la sta mettendo tuta, è seriamente convinta di
quello che fa, è felice. E' questo che vogliamo per lei."
"E' nostro dovere trasferire ai figli la saggezza che
abbiamo accumulato nel corso della nostra esistenza. Mi fa davvero paura che le
possa mancare qualcosa di essenziale. Il contatto con tutte quelle diverse
materie, i diversi modi di pensare, le sfide, le opportunità, le persone che si
ha occasione di conoscere. Noi ci siamo conosciuti all'università."
"Tutte queste cose le ha"
"Non è lo stesso"
I
Cambiamenti nel comportamento del Marito:
Dalla diagnosi, lui non si fa
più aiutare ("Still Alice",
pag. 98):
"Lo imbarazzava troppo chiedere aiuto a una malata di
Alzheimer?"
Si
mette a correre con lei, anche se a lui non è mai piaciuto il jogging ("Still Alice", pag. 171). Ma poi
smette, con grande dispiacere della moglie che pensa fra sé: "Cercava di
essere comprensiva. Lui doveva lavorare. Ma perché lui non capiva che invece
lei aveva bisogno di correre? Se qualcosa di così semplice come il regolare
esercizio fisico poteva davvero contrastare il progredire della malattia, allora
avrebbe dovuto correre quanto più spesso poteva. Ogni volta che si sentiva
rispondere "non oggi", probabilmente perdeva più neuroni di quanti
avrebbe potuto salvarne. Moriva inutilmente più in fretta. John la stava
uccidendo" ("Still Alice",
pag. 200).
I
Cambiamenti in Alice:
- Dimentica i propri gusti (ordina caffé dimenticando che lo detesta,
pag. 100);
- Scorda gli appuntamenti (una
cena, e si attarda fuori a fare jogging: "Me ne sono dimenticata. Ho
l'Alzheimer", pag. 106).
-una volta sbaglia casa ed entra
nella cucina di una vicina, e quando questa entra lei la accoglie come se fosse
casa sua: ""Oh, Lauren, mi gai fatto paura. Vuoi accomodarti? Stavo
preparando un tè" (pagg. 197 - 198);
- Prova noia: "Rimase seduta in poltrona cercando di pensare a
qualcosa da fare. Non le venne in mente nulla di significativo. Cercò di
immaginarsi domani, e la settimana prossima, e il prossimo inverno. Non le
venne in mente niente che avesse senso. Si annoiava, si sentiva ignorata ed estranea su quella poltrona del suo
salotto." (pag. 201),
- sviluppa una nuova
sensibilità:
"era nel frattempo cresciuta
la sensibilità di Alice rispetto al non detto, al linguaggio del corpo e ai
sentimenti inespressi. Aveva spiegato il fenomeno a Lydia, e la figlia le aveva
confermato che era una capacità
invidiabile per un attore. Le aveva detto che lei e i suoi colleghi
dovevano concentrarsi molto per riuscire a staccarsi dal linguaggio verbale e
lasciarsi genuinamente influenzare da quello che gli altri attori stavano
facendo e provando. Alice non aveva ben compreso la distinzione, ma aveva
apprezzato che Lydia considerasse il suo handicap una qualità invidiabile"
(pag. 174).
Le Paure
Profonde: Perdere il Controllo di Sé
Alice
soffre d'insonnia e spiega al suo neurologo:
"Lo so che è irrazionale, ma ho come la sensazione che
l'Alzheimer possa far fuori le mie cellule cerebrali solo quando dormo, e che
finché mi mantengo sveglia, come se montassi la guardia, resterò me
stessa." ("Still Alice",
pag. 130)
La Fiducia nei
Vicini nella sua piccola Comunità:
Nello
spiegare al marito le ragioni per cui lei non può seguirlo a New York, cita il
atto che nella piccola località balneare ove si sono trasferiti tutti la
conoscono e l'aiutano:
"Anche quando mi càpita di perdermi, prima o poi vedo
qualcosa di familiare, e nei negozi c'è sempre qualcuno che mi conosce e che mi
rimette sulla strada giusta. La ragazza che c'è da Jerri's tiene sempre
d'occhio il mio portafoglio e le chiavi." ("Still Alice", pag. 233)
Momenti
Drammatici/1: Si scorda che la sorella è morta:
"Dov'è Anne?"
"Anna è a Boston, con Charlie."
"No, Anne, mia sorella: dov'è Anne?"
"Mamma, Anne è morta. E' morta in un incidente stradale
insieme a tua madre." (pag. 160)
Momenti
Drammatici/2: Non riconosce la Figlia:
Alla fine della pièce, va a fare i complimenti all'attrice,
non riconoscendola:
"Avremo occasione di vederla in qualche altro
allestimento quest'estate?" chiese Alice.
La ragazza fissò Alice per un tempo fastidiosamente lungo
prima di rispondere.
"No, è il mio unico ruolo per l'estate."
"E' qui solo per la stagione estiva?"
La domanda sembrò intristirla mentre la prendeva in
considerazione. Le si riempirono gli occhi di lacrime.
"Sì, rientrerò a L.A. alla fine di agosto, ma tornerò
spesso a trovare la mia famiglia."
"Mamma, è Lydia, tua figlia" disse Anna ("Still Alice", pag. 178)
I Colleghi la
Evitano, gli Amici del Marito malcelano il Disagio
"Cercavano di evitarla. Affrontare lei significava
affrontare la sua fragilità mentale e l'inevitabile riflessione che, in un
batter d'occhio, sarebbe potuto succedere anche a loro. Affrontarla era
inquietante. Perciò finché potevano, tranne che per le riunioni e seminari, la
evitavano." ("Still Alice",
pag. 188)
"Quando entro in una stanza faccio l'effetto di un
grosso elefante rosa di peluche. Metto tutti a disagio. Trasformo una cena in
un folle spettacolo da circo, con la gente che si arrabatta tra imbarazzo
nervoso e sorrisetti forzati e giocherella con bicchieri e posate per darsi un
contegno" ("Still Alice",
pag. 219)
Il Collegamento
con il padre:
Alzheimer mai
diagnosticato e confuso con l'alcolismo
Alice ricollega la sua malattia
ai sintomi manifestati dal padre alcolista negli ultimi anni prima che lui
morisse:
"Le farneticazioni senza senso, una disgustosa mancanza
d'igiene, l'incapacità di riconoscerla: Alice aveva dato per scontato che fosse
colpa del liquore. Possibile che avesse convissuto con il morbo di Alzheimer
senza che gli fosse stato diagnosticato?" ("Still Alice", pag. 84)
La Visita al
Reparto Alzheimer: solo Anziani
Quando chiede di visitare la
casa di cura, l'impiegata le chiede: "E' per un suo parente?", Alice
mente e risponde di sì ("Still Alice",
pag. 118). Le viene spiegato che gli ospiti più giovani sono sui settant'anni,
e le viene illustrata la filosofia della casa:
"Vagare irrequieti durante la notte è un comportamento
comune per i malati di Alzheimer (è il wandering
di cui abbiamo parlato sopra, ndr). Nel reparto i pazienti sono incoraggiati a
muoversi a qualsiasi ora, purché avvenga in sicurezza e senza il rischio di
perdersi. Di notte non somministriamo tranquillanti né li rinchiudiamo nelle
stanze. Cerchiamo di aiutarli a mantenere quanta più libertà e indipendenza
possibile. Sappiamo che è molto importante per loro e per le loro
famiglie." (pag. 119)
"La retta per il reparto speciale Alzheimer ammonta a
duecentottantacinque dollari al giorno."
Alice fece un rapido calcolo mentale. Circa centomila
dollari all'anno. Moltiplicato per cinque, dieci, venti anni." ("Still Alice", pag. 121)
****
Riflessioni
sull'Alzheimer/1: La similitudine: "E' come l'Oceano"
"Immaginò il proprio Alzheimer come quell'oceano a
Lighthouse Beach: inarrestabile, feroce e distruttivo. Solo che nel suo
cervello non c'erano frangiflutti a proteggere dall'assalto i suoi ricordi e i
suoi pensieri." ("Still Alice",
pag. 157)
Riflessioni
sull'Alzheimer/2: La similitudine: "Come una Mano che non si muove"
"Conosco quello che sto cercando di ricordare, solo che
il mio cervello non ci arriva. E' come se tu decidessi di voler prendere quel
bicchiere d'acqua ma la tua mano non lo prendesse. Glielo chiedi con
gentilezza, la minacci, ma non si muove. Alla fine magari riesci a muovere la
mano, ma quella afferra invece la saliera oppure rovescia il bicchiere sulla
tovaglia. Oppure, quando finalmente riesci a far sì che la mano afferri il
bicchiere e lo porti alle labbra, il pizzicore in gola si è placato e non hai
più bisogno di bere. Il momento di sete è passato." ("Still Alice", pagg. 165 - 166)
Riflessioni
sull'Alzheimer/3: "Come un Demone"
(Quando non riesce a ricordare la figlia e ricorda invece il
genero): "Si raffigurò l'Alzheimer come un demone che nella sua testa si
apriva un varco di distruzione sfrenata e priva di logica, una distruzione che
strappava le connessioni tra "Lydia adesso" e "Lydia
allora", lasciando inalterate tutte le connessioni su Charlie"
("Still Alice", pag. 203)
Riflessioni sull'Alzheimer/4:
Il Confronto col Cancro
La solidarietà a
chi combatte contro il Tumore
vs. l'emarginazione
dei malati d'Alzheimer
"Desiderò di avere piuttosto un cancro. Avrebbe
barattato l'Alzheimer con il cancro in un batter d'occhio. Si vergognò di
averlo desiderato e di sicuro era un patto inutile, ma si concesse comunque la
fantasticheria. Un cancro era qualcosa contro cui potersi battere. C'erano la
chirurgia, la radioterapia, la chemioterapia. La sua famiglia e la comunità di
Harvard l'avrebbero sostenuta nella sua lotta e l'avrebbero considerata nobile.
E se anche ne fosse stata sconfitta, alla fine, avrebbe potuto guardarli consapevolmente
negli occhi e salutarli tutti prima di andarsene. L'Alzheimer invece era una
brutta bestia. Non c'erano armi che potessero abbatterlo. Prendere Aricept e
Namenda era come puntare due pistoline ad acqua contro in furioso incendio.
(...) Il fuoco consumava tutto. E se una testa calva e un nastrino anticancro
erano consideràti emblemi di coraggio e speranza, il suo vocabolario
difficoltoso e i ricordi annebbiati parlavano invece di instabilità mentale e
demenza incombente. Chi era malato di cancro poteva contare sul sostegno della
comunità. Alice si aspettava di essere emarginata. Persino le persone più
istruite e meglio intenzionate tendevano a tenersi a timorosa distanza dai
malati mentali. Non voleva diventare qualcuno che la gente temeva e allontanava."
Riflessioni
sull'Alzheimer/4: il Suicidio Programmato come Ipotesi Futura
Alice
accarezza il pensiero del suicidio programmato:
"E quando il fardello della malattia avesse superato il
piacere di quel gelato, voleva morire. Ma avrebbe avuto la presenza di spirito,
letteralmente, di riconoscere il momento in cui le due curve si sarebbero
incrociate? Temeva che in futuro sarebbe stata incapace di ricordare e portare
a termine quel piano. Chiedere a John o a uno dei suoi figli di aiutarla non era
un'ipotesi praticabile. Non avrebbe mai addossato quel fardello a uno di loro.
Le serviva un piano che la costringesse in futuro a commettere un suicidio
organizzato fin da ora. Le serviva una semplice verifica, qualcosa che fosse in
grado di fare da sola tutti i giorni." ("Still Alice", pag. 125)
E così scrive una serie di cinque domande rivolte a sé
stessa, che diventerà un suo test quotidiano:
"Che mese è?", "Dove abiti?",
"Dov'è il tuo ufficio?", "Quand'è nata Anna?". "Quanti
figli hai?".
Poi si annota questa domanda: "Se hai difficoltà a
rispondere a qualcuna di queste domande, apri il file "Farfalla" sul
tuo computer e segui immediatamente le istruzioni che trovi." "Regolò
la suoneria sulla vibrazione in modo che comparisse come appuntamento ricorrente
sulla sua agenda tutte le mattine alle otto, senza scadenza. Si augurava solo
di aprire "Farfalla" prima di diventare del tutto incapace."
("Still Alice", pag. 126)
IL
GRANDE DISCORSO di ALICE:
"SONO ANCORA
ME STESSA: con le mie OPINIONI e la VOGLIA PARTECIPARE
"Non siamo privi di linguaggio o di opinioni che
contano o di prolungati periodi di lucidità."
("Still Alice",
pag. 252)
"Sono brava a tirare a indovinare" ("Still Alice", pag. 252)
"La parte del mio cervello responsabile del mio essere
me stessa e nessun'altra è vulnerabile alla malattia? O la mia identità è qualcosa che trascende neuroni, proteine e difetti
molecolari del DNA? Il mio corpo e il mio spirito sono immuni dal
saccheggio dell'Alzheimer? Io credo di sì" ("Still Alice", pagg. 252 - 253)
"Ma io non sono quello che dico o quello che faccio o
quello che ricordo. In realtà io sono molto di più. Sono una moglie, una madre,
un'amica e presto sarò una nonna. Provo sentimenti, capisco e merito l'amore e
la gioia di questi rapporti (...) Non
sono una persona che sta morendo. Sono una persona che vive con l'Alzheimer.
E cerco di farlo nel modo migliore possibile" ("Still Alice", pag. 253)
"Vorrei incoraggiare la diagnosi precoce chiedendo ai
medici di non dare per scontato che problemi cognitivi e di memoria in persone
di quaranta o cinquant'anni dipendano sempre da depressione o stress o
menopausa." ("Still Alice",
pag. 253)
"Guardateci negli occhi e parlate con noi. Non
spaventatevi e non prendetela come un'offesa personale quando faremo degli
errori perché li faremo." ("Still
Alice", pag. 254)
"Vu incoraggio a darci maggiore autonomia, anziché
limitarci. Lavorate con noi. Aiutateci a sviluppare soluzioni che ci permettano
di aggirare i nostri deficit di memoria, linguaggio e proprietà cognitive.
Incoraggiateci a partecipare ai gruppi di sostegno." ("Still Alice", pag. 254)
"I miei ieri stanno scomparendo, i miei domani sono
incerti, e allora per cosa vivo? Vivo giorno per giorno. Vivo nel
presente." ("Still Alice",
pag. 254)
"Oggi sono qui davanti a voi a tenere un discorso che
spero sarà il più importante della mia vita" ("Still Alice", pag. 254)
La scena
finale:
La figlia aspirante attrice le recita un intenso monologo:
!"Allora, cosa provi?"
"Sento amore. Parla d'amore."
L'attrice squittì, corse da Alice, la baciò sulla guancia e
sorrise, raggiante.
"Ho indovinato?" chiese Alice.
"Sì, mamma. Hai indovinato in pieno." ("Still Alice", pag. 289)
****
I VOLTI
L'iniziativa del
Fotografo ten Napel
Il filosofo ebreo
Lévinas: nel Volto del Prossimo riconosciamo la sua Inviolabilità
Il
grande filosofo ebreo Emmanuel Lévinas (1906 - 1995) sviluppò un'etica basata sul volto umano:
quando noi guardiamo il nostro prossimo negli occhi ci ricordiamo della nostra
umanità e vediamo il volto di Dio nel nostro vicino. Nel momento in cui
guardiamo vis à vis l'altro, il
sentimento è il rispetto dell'autonomia e della sua inviolabilità. Non a caso,
i nazisti uccidevano dopo aver fatto voltare le vittime designate dai capi, e
non guardavano i volti delle persone rinchiuse nelle camere a gas. E lo psicanalista Jacques Lacan
(Parigi 1901 – 1981), come ricorda Marie de Hennezel nel suo libro “La morte amica” (BUR, Milano 2015, pag.
85) notò che
“E’ lo sguardo dell’altro che mi conferisce identità”
Il
fotografo olandese Alex ten Napel ha trascorso un'ora con ciascuno degli ospiti dell'ospedale
per anziani Wittenberg di Amsterdam ed ha colto l'espressione più interessante
nei volti di queste persone con Alzheimer.
Passiamo ora dunque in rassegna
alcune storie di personalità celebri che hanno convissuto con l'Alzheimer:
questi volti aiutano le persone che ci convivono ad avere consapevolezza che
questa malattia non risparmia nessuno.
Fra i famosi ci sono l'attrice Mabel Albertson (1901 - 1982, famosa
per "A piedi nudi nel parco"),
l'attore Dana Andrews (1909 - 1992,
noto per il film Premio Oscar "I
migliori anni della nostra vita"), il regista Premio Oscar Mervyn Leroy (1900 - 1987), il regista Otto Preminger (1905 - 1986) ed il
pittore Norman Rockwell (1894 -
1978), Medaglia Presidenziale della Libertà, di cui vi avevo mostrato (durante
il Cineforum su "The Help"
alla Casa dei Diritti, cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/11/the-help-lezione-sulla-compassione_14.html)
il dipinto del 1964 "The Problem We
All Live With", che ritrae una bella ragazzina di colore scortata
dalla polizia per proteggerla dai razzisti segregazionisti mentre si reca a
scuola. Notizia di pochi giorni fa è che il
calciatore Gerd Muller, attaccante del Bayern Monaco, ha l'Alzheimer. 69enne,
è in una clinica privata ed è assistito dalla famiglia. Nella sua carriera ha
messo a segno 730 goal.
Gli
attori famosi con l'Alzheimer/1: Peter Falk
La
curiosità: aveva una figlia detective
che
gli fa Outing dopo il suo smarrimento
in centro a LA
Le
sue volontà: Mi affiderò a Mia Moglie
Il Premio Golden Globe Peter Falk (NY 1927 - Beverly Hills 2011), vincitore
di 4 Emmy, famoso per aver
interpretato per più di trent'anni il serial
poliziesco-psicologico l'Ispettore Colombo nel serial "Il
Tenente Colombo" (negli USA dall'86, in Italia dal '79, con un
successo costante, repliche comprese) ove aveva sempre in bocca penzolante un
sigaro spento, un impermeabile stropicciato e un'aria finto-distratta che
dissimula la sua intelligenza. Ebbe anche un
ruolo nel film cult "Il Cielo sopra
Berlino" di Wim Wenders (ove interpreta sé stesso).
Nacque da genitori ebrei: padre
polacco di origini ungheresi e da madre russa. A causa di un cancro aveva perduto
l'uso di un occhio e gli fu impiantata una protesi oculare ("occhio di
vetro") che ha reso ancora più penetrante l'altro occhio di detective
indagatore. Ma un produttore della Columbia Pictures aveva detto: "Per gli
stessi soldi posso avere un attore con due occhi".
Adottò con la moglie due figlie,
di cui una, Catherine, investigatrice privata.
81enne, nel 2008 era apparso ad aprile confuso e malvestito
e trasandato mentre gridava frasi disconnesse nel centro di Los Angeles, aggredendo
verbalmente chiunque gli si avvicinasse: il tipico fenomeno del wandering (vagabondaggio). E la paura,
si sa, genera aggressività. La
figlia, allora, ha spiegato l'accaduto all'opinione pubblica facendo outing dell'Alzheimer del padre, e chiedendo
la custodia dei beni onde evitare frodi ai danni del ricco papà. Fece ricorso
la moglie che ottenne l'esclusiva: il
giudice ha accolto il documento firmato dall'attore anni prima ove esprimeva la
propria volontà di essere affidato alle cure della moglie qualora avesse
perduto la capacità di badare a sé e ai propri affari. E' morto 83enne quattr'anni fa. Interessante
dal punto di vista della ricerca scientifica è la circostanza in cui si è
ammalato: subito dopo un intervento dentistico invasivo (dopo aver devitalizzato
un dente dolorante) che gli aveva provocato un'infezione. L'odontoiatra allora allontanò la corona, fresò il materiale di riempimento
sottostante (l'amalgama), per arrivare al canale radicolare e sterilizzarlo,
pulirlo e liberarlo dall’infezione. La polverizzazione dell’amalgama dentale
causa livelli di vapori tossici dell’ordine di 100.000 microgrammi. Soprattutto
negli anziani, essendo gli organi emuntori affaticati o comunque meno attivi,
ciò può portare ad un’intossicazione acuta da mercurio (i topi esposti per un
paio di minuti all’ambiente saturato di vapori di mercurio ottenuto
polverizzando l’amalgama con il trapano, secondo gli studi sperimentali di
Cutright del 1973). Uno studio di prof. Joachim Mutter sul "Journal of Alzheimer Disease"
(vol.8, pag. 52, Settembre 2010) ha dimostrato che avere otturazioni di
amalgama ed avere un enzima mutato che fa perdere la capacità di disintossicare
il cervello dal mercurio sono due grossi fattori di rischio per i pazienti
d’Alzheimer. Quanto maggiore è il numero di otturazioni dentali, tanto più
cresce il rischio di elevati livelli di mercurio nel cervello e di morbo di
Alzheimer. Mentre un recente articolo che ho letto sulla rivista del San
Raffaele mostra una correlazione da
approfondire fra il non avere più i propri denti naturali e l'Alzheimer. Allo
scrittore inglese Terry Pratchett (1948 - 2015) è stato consigliato di farsi
togliere l’amalgama dentale in modo protetto perché il suo sistema biologico
poteva essere diventato molto suscettibile al mercurio e ha fatto poi da testimonial per la campagna contro l’uso
di mercurio in odontoiatria. Pratchet, con i suoi romanzi di genere "fantasy umoristico", è il secondo
autore britannico più letto di tutti i tempi con i suoi 65 milioni di libri
venduti. Nel 2007 gli viene fatta una diagnosi errata: ictus di due-tre anni
prima. Tale ictus avrebbe danneggiato la parte destra del cervello. Tre mesi
dopo gli fu fatta una nuova diagnosi: sarebbe stato l'Alzheimer ad aver causato
quell'ictus. Anzi una rara forma d'Alzheimer, l'atrofia corticale posteriore
che come suggerisce il nome provoca una riduzione di volume della corteccia.
Con tipico understatement britannico,
ha detto ai fans di considerare
l'Alzheimer un "problemuccio" (embuggerance)
e di prendere la cosa "con filosofia". Nel 2008 dona un milione di
dollari all'Alzheimer Research Trust (la principale associazione di
beneficienza britannica dedicata alla ricerca intorno all'Alzheimer), gesto che
ha ispirato un'iniziativa della società civile (Match it for Pratchett) che ha raccolto online un'equivalente
cifra. Nello stesso anno la BBC, la Tv
di Stato britannica, lavora con lui ad un documentario sull'Alzheimer in
due puntate ("Terry Pratchett:
Living With Alzheimer's"), molto seguita e premiata col BAFTA. In un
articolo del 2009, esprime il desiderio del suicidio assistito (assisted suicide, termine che non ama).
Grazie ad un programma software di
riconoscimento vocale, non ha smesso di "scrivere", dettando i testi
all'assistente negli ultimi tempi. Quattr'anni fa ha presentato un proprio
documentario ("Terry Pratchett:
Choosing To Die") sulla morte assistita, vincitore del Premio BAFTA
scozzese.
Gli
attori famosi con l'Alzheimer/2: Charles Bronson
Il
Sogno Americano: dalle Miniere a Hollywood
Sempre
accanto alla Moglie che lottò contro il Cancro
Poi
toccò a lui (che mai era stato malato in vita sua)
Quella di Charles Bronson (1921
- 2003) è una tipica storia che testimonia il sogno american: da operaio
minatore proletario divenne uno degli
attori più pagati di Hollywood, fu protagonista di film western ed action movies come "I
magnifici sette", "La
grande fuga", "Quella
sporca dozzina", "C'era una
volta il West". Nato nella regione del carbone della Pennsylvania, figlio
d'immigrati lituani (di cognome Buchinski), fu l'undicesimo di quindici figli,
metà dei quali morti in tenera età. Il padre gli morì quando lui aveva undici
anni e allora lui si trovò costretto a lavorare lui stesso in miniera per
mantenere la famiglia. Parleremo del duro lavoro in miniera il mese prossimo
alla Casa dei Diritti del Comune di Milano, domenica 22 novembre alle ore 16
(puntuali) col film "North Country",
storia vera di una madre (il Premio Oscar Charlize Theron) che pur di mantenere
i figli è fra le primissime donne ad accettare un posto come operaia nelle
miniere del Minnesota.
Dopo aver servito il Paese nella
Seconda guerra mondiale, studiò arte drammatica a Philadelphia. Ebbe tre mogli,
e a differenza di certi uomini che non
vogliono riconoscere la malattia delle mogli e delegano ai figli l'assistenza, Bronson
assistette amorevolmente la seconda moglie
Jill Ireland (1936 - 1990), anche lei attrice sino alla sua morte per cancro al seno (come racconta in
quest'intervista: http://www.dougiethompson.com/charles-bronson.html), intorno a
cui lei ha scritto due libri diventando portavoce dell'American Cancer Society,
testimoniando sul peso del costo delle spese mediche dinanzi al Congresso e
venendo insignita dal Presidente Ronald Reagan dell'American Cancer Society's
Courage Award. Proprio
a lui, che non aveva mai fatto un giorno di malattia in vita sua, a tarda età
fu diagnosticato l'Alzheimer, ed è morto per una polmonite come il collega
Charlton Heston. La curiosità: Bronson fu presentato alla Ireland dall'allora
di lei marito sul set di un film. L'attrice Jill Clayburgh (1944 - 2010) l'ha
interpretata nel film Tv "Reason for
Living" (Ragione di vita).
Gli
Attori Famosi con l'Alzheimer/3: il Premio Oscar Charlton Heston
Attivista
per i Diritti dei Neri Americani col Collega Poitiers
La
Battuta Volgare di Clooney contro il Collega: Non mi scuso
Anche Charlton Heston (1923 -
2008), Premio Oscar per il suo ruolo di Giuda Ben-Hur in "Ben Hur"
(1960) del Premio Oscar William Wyler, fu un veterano del Vietnam. Interpretò
anche Tommaso Moro nel film Premio Oscar "Un uomo per tutte le stagioni". Liberal del Partito Democratico americano, fu anche presidente del
sindacato degli attori e marciò per i
diritti dei neri alla March on Washington for Jobs and Freedom il 28 agosto
1963 accanto al collega Sydney Potiers (Premio Oscar per "I gigli del campo") ove Martin Luther King Jr pronunziò il
discorso "I Have a Dream".
Poi preferì il Partito Repubblicano dell'ex collega Ronald Reagan (anche lui
colpito da Alzheimer). Dopo l'assassinio di Bob Kennedy, nel 1968, sostenne il
disegno di legge di Lyndon Johnson per il controllo delle armi. Ha creato scandalo la battuta di George
Clooney, che ha in odio Heston per le sue posizioni politiche, contro Heston:
"Oggi Heston ha annunciato ancora di avere l'Alzheimer" (ebbene sì, a
tali livelli di meschinità può portare l'odio politico-ideologico). L'attore
gli ha replicato che l'Alzheimer potrebbe un giorno toccare anche a lui.
Anch'egli, come il collega Charles Bronson, è morto per una polmonite. Ai suoi
funerali c'erano colleghi come i Premi Oscar Olivia de Havilland e Christian
Bale.
Gli
Attori Famosi con l'Alzheimer/4: Ronald Reagan
Coming Out nel '94: "Io come Milioni di Americani"
Il
Figlio: "Ce l'aveva già Dieci anni Prima"
(come
Rita Hayworth). Gli scienziati confermano.
"Ma
se l'avesse saputo si sarebbe dimesso"
Nello stesso giorno in cui oggi
dedichiamo questo Cineforum all'Alzheimer, il 5 novembre del 1994, l'ex
Presidente (1981 - 1989) Ronald Reagan (1911 - 2004) annunciò di essere
"uno dei milioni di americani affetti al morbo d'Alzheimer", e che così come la sua famiglia aveva deciso di
rendere noto a tutti il cancro al seno della moglie Nancy, così ora hanno
deciso di rendere pubblica la malattia di lui. Durerà dieci anni. Quando muore
a 93 anni, la salma fu portata in aereo dalla California alla Washington
National Cathedral, quella bellissima chiesa neogotica che vi ho mostrato il
mese scorso, una chiesa episcopale di stampo ecumenico ed ospitale (quella
a cui appartiene anche il reverendo Matthew Fox) ove tradizionalmente si
celebrano i funerali di Stato dei leader.
Nella sua biografia, il figlio Ronald Reagan Jr sostiene che il padre avrebbe
già mostrato i segni dell'Alzheimer durante la sua campagna dell'84 per la
rielezione vinta. Ed effettivamente, proprio lui, grande comunicatore, ripeteva
sia la parola "thing"
(cosa), tipico dei portatori di Alzheimer, sia intieri passi di discorsi, come
scoperto dai ricercatori dell'University of Arizona Visar Berisha e Julie Liss, docenti di Scienze del linguaggio, i
quali hanno analizzando le trascrizioni di 46 conferenze stampa tenute da
Reagan mettendole a confronto con le 101 alle quali ha invece partecipò il suo
successore, George H. W. Bush,
nei suoi quattr'anni alla Casa Bianca. (I due presidenti sono stati paragonati
perché avevano un'età simile). Per la ricerca, pubblicata su "The Journal of Alzheimer's Disease",
e rilanciata dal "New York Times",
sono state usate tecniche per l'individuazione delle degenerazioni cognitive
associate con l'Alzheimer. La conclusione è stata che "il presidente
Reagan nel corso del tempo mostrava una significativa riduzione di parole
uniche e un significativo aumento di
riempitivi discorsivi e di sostantivi non specifici ("thing", coso, cosa, roba, ndr). Per
il presidente Bush non c'è stata invece alcuna tendenza significativa in questo
senso". Ma
"Non vi sono prove del fatto che mio padre, o nessun altro,
sapesse della sua malattia: se gli fosse stata diagnosticata prima, diciamo nel
1987, io credo che si sarebbe dimesso".
La Scrittrice Figlia di Reagan: i Momenti di Gioia con Papà
"La
mia Idee-Regalo: Libri Illustrati
con
Prati, Laghi e Monti: senza bisogno di Leggere"
di PATTI DAVIS REAGAN
"Mio fratello Michael e io ci incontriamo nell'
ufficio di nostro padre e gli portiamo dei regali, anche da parte di nostro
fratello Ron (Ronald Jr., ndr), che e' bloccato a Seattle per lavoro. Tutti
noi, comprandogli i regali, abbiamo fatto lo stesso ragionamento: abbiamo
scelto qualcosa che mio padre sia in grado di osservare con piacere, senza
dover leggere. Qualcosa per attirare la sua attenzione. Abbiamo portato dei
libri illustrati con fotografie di paesaggi, e dei cioccolatini, un regalo
proibito. E anche una sfera di vetro contenente il modellino di un paesaggio:
quando la agiti, la neve cade sulle casette. Quando la vidi nel negozio mi
ricordai di quando, da piccola, mio padre mi raccontava dei Natali innevati
della sua gioventù. L'ufficio di mio padre è in un grattacielo che sovrasta Los
Angeles. Dalle finestre si vedono il cielo azzurro, le strade, i tetti delle
case. Lui ci va ancora un paio d'ore la mattina. Non ha molto da fare, in ufficio, ma non è questo il punto. Si tratta
di una routine, e i malati di Alzheimer devono mantenere le loro abitudini.
La routine li aiuta a dare una
struttura al tempo che passa, a riempire le ore. E' bello vedere tutti i regali
posati sulla scrivania di mio padre. Ormai non c'è molto: è quasi vuota. Un
blocco di fogli gialli, intonso, è sempre allo stesso posto da mesi. Guardo le
mani di mio padre mentre cercano con cautela di aprire i pacchetti, staccando
il nastro adesivo senza strappare la carta. Alla fine però, si lascia prendere
dall'impazienza. I suoi occhi s'illuminano alla vista dei cioccolatini e per un
momento Michael e io diventiamo suoi complici in una piccola marachella: si
tratta di una ghiottoneria "proibita" che non riceve spesso.
"Sono tutti per te, papà - gli dice Michael -. Non devi dividerli con
nessuno". "Ah, bene", risponde allegro, tirando la scatola verso
di sé. Quando vede i libri con le
fotografie di laghi, di praterie e di montagne resta ammirato. Poi rigira
la sfera di vetro e sorride davanti a quel paesaggio invernale in miniatura.
Gli dico che quando è stanco di guardare
il sole californiano dalla finestra basta che guardi nella sfera di vetro per
cambiare la stagione. Mi fissa e mi dice un "ok" secco. Non so se mio padre sappia ancora cosa
rappresenta il Natale, ma sono sicura che sappia cosa vuol dire donare. E,
mentre siamo accanto a lui, lo sappiamo anche Michael e io. Siamo lontani dalla
follia degli acquisti natalizi, e dei problemi di parcheggio. Mentre ce ne
andiamo dall'ufficio, dopo aver salutato papà, chiedo a mio fratello chi abbia
fatto il regalo più grande, se noi due a nostro padre o lui a noi. Michael non
ha bisogno di rispondermi, lo sappiamo entrambi. Non dovrebbero essere necessari la malattia o il dolore per ricordarci
il vero significato del Natale. E invece, purtroppo, spesso è così. Poco
tempo fa, ho fatto un'escursione in collina e mi sono fermata davanti a una
cascata e a un laghetto, all' ombra di grandi alberi. Mi sono seduta su una
roccia a ascoltare lo scorrere dell' acqua, il vento che muoveva le foglie.
Avrei voluto regalare quell'esperienza a mio padre. Avrei voluto regalargli la
pace di quegli istanti, la dolcezza di quei suoni, la serenità di quel luogo.
Ma non posso" (brano pubblicato sul "New York Times" e poi sul "Corriere della Sera" del 5. 1.1999)
Alcune curiosità: anche lui
(come Charlton Heston) passò dai Democratici (anche lui dopo aver rivestito la
carica di presidente del sindacato attori) ai repubblicani, diventando Leader del partito e presidente per due
mandati, mentre entrambi i figli, Ronald Jr e Patti (Patricia) sono
dichiaratamente liberal (liberali
progressisti).
Le
Attrici Famose con l'Alzheimer/1: il Premio César Annie Girardot
La
Figlia Giulia ne scrive la Biografia
Il Premio César Annie Girardot
(Parigi 1931 - 2011) dopo gli studi di teatro diviene un'attrice famosa: la
ricordiamo nella parte di una professionista del sesso, Nadia, in "Rocco
e i suoi fratelli" di Luchino Visconti e nel '66 è Persefone nella
"Perséphone" di Ivor
Stravinsky alla Scala e la madre della protagonista (Isabelle Huppert) del film
"La Pianista" (dal romanzo
del Premio Nobel Elfriede Jelinek) e farà una serie di ruoli innovatici che di
solito erano affidati ai maschi. Nel 2006 "Paris Match" fa outing:
la diva ha l'Alzheimer (http://www.parismatch.com/Culture/Cinema/Annie-Girardot-le-jour-ou-elle-a-annonce-sa-maladie-146327).
La figlia Giulia Salvatori (nata dall'amore con Renato Salvatori) in occasione
della Giornata mondiale Alzheimer chiese ai paparazzi di non andare più a recare
disturbo a sua madre, la quale non ricordava più di essere stata un'attrice, e
di ricordarla per come era; poi girò un documentario ove svela i retroscena del
set ove le venivano suggerite le battute che non riusciva a ricordare e scritto
la biografia "La mémoire de ma mere".
E' morta a 79 anni serenamente, come testimonia la nipote, l'attrice Lola
Vogel.
Le
Attrici Famose con l'Alzheimer/2: Rita Hayworth
Riconosciutole
dopo 10 anni a 62 anni perché beveva
Rita Hayworth (New York 1918 -
1987), nata a Brooklyn da un ballerino spagnolo ed una ballerina americana di
origini irlandesi ed inglesi, è stata una delle più amate attrici di Hollywood
ed è ricordata per il noir "Gilda" del regista ebreo americano
di origini ungheresi Charles Vidor (Budapest 1900 - Vienna 1959). Girò 60 film
in trent'anni. Come un'altra attrice statunitense, Grace Kelly (1929 - 1982)
divenne principessa, avendo anche lei sposato un principe (Ali Khan,
considerato un sex symbol): per
queste nozze interreligiose fu scomunicata da Papa Pio XII (Papa Pacelli, 1856
- 1958) e si trasferì in India e Pakistan, poi divorziò e col principe rimasero
amici. A fine anni Sessanta, mostrò i sintomi dell'Alzheimer, diagnosticatole solo nel 1980, all'età di
62 anni dal momento che beveva molto, con dieci anni di ritardo come il suo
amico Ronald Reagan, anche perché si tendeva a credere che le sue defaillances fossero dovute all'alcool,
proprio come il padre di Alice nel romanzo, ed effettivamente nel cervello degli alcolisti si rivengono simili
mutazioni delle persone affette da Alzheimer.
L'impegno
sociale della Figlia Yasmin Aga Khan:
"E'
l'amore a ispirare la mia Azione Positiva"
La figlia Yasmin Aga Khan, che
vedete nel documentario del 2009 della sua amica Berna Huebner e di Eric Ellena
"I Remember Better When I Paint",
la portò in ospedale ove le sottoposero dei semplici test di memoria (proprio
come ad Alice nel libro: "Chi è il presidente americano?").
Le rimase accanto sino alla
morte, all'età di 68 anni, ed è diventata una filantropa in quest'àmbito. Nata
nel 1949, 65 anni, è vicepresidente della Alzheimer's
and Related Disorders Association (cfr. l'articolo sulla "Huffington Post" leggibile al link:
http://www.huffingtonpost.com/rosalia-gitau/art-therapy-for-alzheimer_b_495914.html).
Nell'intervista a
"Paris Match" (leggibile al
link:
http://www.parismatch.com/Royal-Blog/Monde/Yasmin-Aga-Khan-Le-naufrage-de-ma-mere-a-bouleverse-ma-vie-163991)
rivela di aver rinunziato al sogno d'intraprendere la carriera di cantante
(dopo gli studi universitari ed aver iniziato a comporre) per assistere
l'adorata mamma:
"E' da quel momento che ho deciso di trasformare questo doloroso handicap in un'azione positiva.
Approfittando della celebrità e della gloria che lei aveva avuto come attrice
più adulata ed ammirata dei suoi tempi, associando il suo nome alla malattia,
mi sono messa allora ad allertare senza sosta l'opinione pubblica mondiale
sulla malattia d'Alzheimer"
"Da dove trae la sua forza
sorprendente?"
"Innanzitutto, dall'amore
della mia famiglia, dall'affetto dei miei fedeli amici e dal mio temperamento
positivo e volitivo. Sono visceralmente presa dalla mia azione e vorrei più di
ogni altra cosa che prima di morire si trovi il modo di fermare l'Alzheimer.
infine, ringrazio ogni mattino il cielo di avermi dato la salute che mi
permette di apprezzare ogni istante dell'esistenza perché la vita è breve, e
bisogna cercare di non perdere troppo tempo!" (traduzione mia dal francese)
Racconta di
essersi fatta ricevere dal Presidente Ronald Reagan, il quale nella precedente
carriera di attore aveva conosciuto la madre e che in sèguito sarebbe stato anch'esso
colpito dall'Alzheimer. Fu poi invitato al Gala di beneficienza in memoria
della Hayworth. Pensate (per fare un raffronto con l'arretratezza dell'Italia)
che già nel 1983 Reagan proclamò novembre
(che è anche il Family Caregivers' Month) il mese della prevenzione
dell'Alzheimer (National Alzheimer's Disease Awareness Month) di cui
avrebbe manifestato i sintomi proprio l'anno seguente, secondo la testimonianza
del figlio Ron Jr.
Ora Yasmine
convive col compagno nelle montagne dello Utah ma va a New York, ove ha una
casa con vista sul Central Park, una volta al mese per le riunioni
dell'associazioni assieme all'ex marito. La principessa ha vissuto anche
un'altra tragedia in famiglia: il figlio Andrew Embirico è stato trovato senza
vita nel suo appartamento a NY probabilmente per un'asfissia autoerotica, dopo
una giovinezza di autodistruzione. Si era messo per due anni e mezzo a lavorare
in un salone di abbronzatura per pura ribellione, aveva avuto problemi di
tossicodipendenza e aveva girato film pornografici gay amatoriali senza
protezione, contraendo l'AIDS. Gli amici lo ricordano come una persona dolce e
compassionevole, che non voleva morire. La vicenda ricorda la storia del figlio
di Philomena Lee, anche lui con un'educazione cattolica pesante e
colpevolizzante, ed anche lui con l'aids: storia che abbiamo raccontato e
analizzato al cineforum su "Philomena"
(cfr. la scheda di approfondimento ove recensisco il romanzo di Martin Sixmith:
http://lelejandon.blogspot.it/2015/01/la-sessuofobia-rende-spietata-e.html).
Il
Documento Unico: tiene il Diario col Magnetofono
E'
la prima testimonianza in Diretta di uno Stadio Precoce
"Il
mio Cagnolino mi è stato tanto vicino": racconteremo le Meraviglie dei Nostri
Cani Giovedì 14/1/2016 con "Hachiko"
Nel 1985, all'età di 55 anni, il
Professor Cary Smith Henderson, docente di Storia alla Duke University (uno degli atenei più prestigiosi degli USA, nel North Carolina) si
sottopone ad un intervento chirurgico al cervello e il chirurgo estrae
materiale per una biopsia: ha l'Alzheimer. Inizia a documentare l'evoluzione
della malattia mediante un magnetofono, un documento che costituisce la prima
testimonianza diretta di uno stadio così precoce.
Il suo libro, che sarà
pubblicato col titolo: "Partial
View: An Alzheimer's Journal" (USA 1998), è stato completato dalla
moglie e dalla figlia, e corredato da splendide fotografie di Nancy Andrews
della "Washington Post". Fra
le altre cose, testimonia la vicinanza ed il calore del cagnolino.
Ci
racconteremo le prove di straordinaria empatia dei nostri compagni a quattro
zampe giovedì 14 gennaio 2016 al cineforum sul film "Hachiko - il Tuo Migliore Amico" al Cinema Gregorianum.
©LELE JANDON
attivista sociale e conferenziere professionista
ideatore ed organizzatore di eventi culturali.
Per proporre ed organizzare cineforum ad hoc
su un tema specifico nella vostra azienda o scuola od associazione o
Comunità
scrivete a lelejandon@gmail.com
temi affrontati: diversity management (omoaffettività,
transessualità), mobbing sul lavoro
ed in famiglia, Alzheimer, vecchiaia,
rapporti intergenerazionali, badanti/colf
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