recensione di LELE
JANDON*
Nella sua ultima fatica
(“Il caso o la speranza? Un dibattito senza diplomazia”,
Garzanti, Milano 2013, 153 pagine), il grande teologo, intorno al cui pensiero è stata pubblicata anche una monografia da una delle più prestigiose case editrici accademiche tedesche (foto a fianco), non perde neanche per un momento il suo aplomb, e non si lascia minimamente intimorire
dall'arroganza di Paolo Flores D'Arcais, un esempio del fenomeno
figlio della controriforma cattolica italiana (speculare
all'apologetica dei clericali) che è l'ateismo militante. Un
atteggiamento, come vedremo, piuttosto diverso da quello di un altro non credente con cui Mancuso ha scritto un libro, Corrado Augias ("Disputa su Dio e dintorni", Mondadori, Milano 2009). Il quale Augias, che come lui scrive su "Repubblica", aveva invece avuto parole di stima ed elogio per Mancuso: "La sua capacità di elaborare ipotesi teologiche molto articolate e di notevole seduttività" (pag. 148), "sono impressionato dalla ricchezza delle sue citazioni" (pag. 170), "attraverso questa nostra disputa ho imparato non solo a stimarla, ma anche a nutrire una viva simpatia per le sue idee" (pag. 174). Un dialogo civile, fra due galantuomini, quello di cui sopra.
Molto diverso dallo stile di Flores D'Arcais, una vita all'insegna dell'estremismo il quale ha l'arroganza di dichiarare infine di essere dispiaciuto che questa "discussione non si concluda come nei dialoghi platonici, dove uno dei contendenti riconosce, passo dopo passo, la validità della tesi opposta" (pag. 99): evidentemente, D'Arcais non ricorda che esistono anche i dialoghi aporetici, aperti.
Non ci addentreremo
troppo nel merito degli argomenti così appassionatamente esposti da Mancuso. Piuttosto, in questa sede c'interessa fare un raffronto sullo stile e sul metodo, fra
questi due personaggi, dalla nostra prospettiva liberale che nutre un sacro rispetto per l'orientamento ed il sentimento religioso.
Molto diverso dallo stile di Flores D'Arcais, una vita all'insegna dell'estremismo il quale ha l'arroganza di dichiarare infine di essere dispiaciuto che questa "discussione non si concluda come nei dialoghi platonici, dove uno dei contendenti riconosce, passo dopo passo, la validità della tesi opposta" (pag. 99): evidentemente, D'Arcais non ricorda che esistono anche i dialoghi aporetici, aperti.
CREDENTI. Vito Mancuso (docente, scrittore, teologo)
con padre Alberto Maggi.
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I riferimenti di Mancuso
sono (fra gli altri) Kant (un liberale, illuminista, credente) gli
scienziati credenti come Paul Davies ("Da dove viene la vita", come già aveva fatto nella sua disputa con Augias, op. cit., pag. 24), e Francisco J. Ayala (“Il
dono di Darwin alla scienza”), la filosofia classica, neoplatonica
e rinascimentale; i riferimenti di Flores D'Arcais sono Leopardi e i
darwinisti amici suoi. Che non cita per nome: per ragioni di privacy?
Misteri della Fede (ortodossa darwinista).
Per il primo la Vita non è un "colpo di fortuna chimico" ("Disputa su Dio e dintorni", op. cit., pag.10) ma ha un significato, un logos; per il secondo è priva di senso
("Il caso o la speranza?", cit., pag. 71): Mancuso è un emergentista, Flores D'Arcais è un
riduzionista (riduce le nostre persone alla nostra materia). L'emergentismo, spiega Mancuso, "consiste in una fiducia verso la realtà" ("Disputa su Dio e dintorni", op. cit., pag. 113). E' lo scontro fra l'analisi (distruttiva) e la sintesi (costruttiva).
Per F. D'A., un relativista culturale che non crede in nessun fondamento, non esiste nel nostro DNA una morale comune (nonostante molti neuroscienziati e neuroeticisti abbiamo prodotto numerose evidenze sul fatto che noi siamo “altruisti nati”, per citare il titolo di un famoso libro, da lui stesso citato!http://lelejandon.blogspot.it/2014/08/le-intuizioni-morali-innate-come-i.html), mentre per Mancuso un'etica universale c'é: ed è la regola aurea delle religioni (pag. 80) che c'invita a trattare "il prossimo come noi stessi": con Rispetto. Quel rispetto che manca da parte di Flores D'Arcais nei confronti del suo interlocutore, sempre pronto ad accettare il dialogo con chi la pensa diversamente da lui.
Per F. D'A., un relativista culturale che non crede in nessun fondamento, non esiste nel nostro DNA una morale comune (nonostante molti neuroscienziati e neuroeticisti abbiamo prodotto numerose evidenze sul fatto che noi siamo “altruisti nati”, per citare il titolo di un famoso libro, da lui stesso citato!http://lelejandon.blogspot.it/2014/08/le-intuizioni-morali-innate-come-i.html), mentre per Mancuso un'etica universale c'é: ed è la regola aurea delle religioni (pag. 80) che c'invita a trattare "il prossimo come noi stessi": con Rispetto. Quel rispetto che manca da parte di Flores D'Arcais nei confronti del suo interlocutore, sempre pronto ad accettare il dialogo con chi la pensa diversamente da lui.
Per Mancuso, un liberale, esiste la Libertà (e, di conseguenza, aggiungiamo noi, il Rispetto di kantiana memoria); per D'Arcais, che ha una maniera di porsi illiberale, la libertà non esiste (pag. 44). Al massimo, esistono solo alcuni pochi uomini liberi, fra cui lui: liberati da false credenze. La cosiddetta 'libertà', ci spiega Flores D'Arcais, “è semplicemente un insieme di funzioni caratteristiche della neocorteccia che indeboliscono i nostri istinti” che non sono certo buoni (pag. 44). Una libertà debole, secondo il “pensiero debole” di D'Arcais.
Per D'Arcais -nonostante egli stesso citi la meraviglia dei neuroni specchio e quindi del cervello umano, e dell'inibizione naturale ad uccidere fra intraspecifici (pag. 92) che (secondo me come per Lévinas) è la prova che il comandamento "non uccidere" è inscritto nel nostro dna morale purché noi abbiamo il coraggio di guardare il nostro prossimo dritto negli occhi - l'essere umano non è buono per natura.
SGUARDI OPPOSTI. Paolo Flores D'Arcais vs Vito Mancuso. Il pessimismo antropologico leopardiano vs l'"ottimismo drammatico", come lo stesso Mancuso definisce il proprio pensiero. |
Se sfoglierete questo
volumetto in libreria, v'invito a soffermarvi sulle due fotografie
nella sovraccoperta dei due: il teologo si presenta con il suo
sorriso sereno e filosofico che ha anche di persona, il secondo ha gli occhi che
guardano altrove, altèro e arcigno. Ma i due contendenti non sono solo due
modi di guardare al lettore opposti, ma anche due modi di parlarsi opposti, due personalità agli
antipodi, due modi di guardare il mondo opposti. Infatti D'Arcais ci pare proprio di vederlo (anche se qui per fortuna solo lo leggiamo) adirarsi (non proprio come un antico stoico, il nostro “filosofo”), mentre esercita la sua violenza verbale “azzerando” (ma solo a
parole) gli argomenti del suo interlocutore. Ora vedremo come.
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IL “TUTTO” e lo
“ZERO”
Sentite per esempio cosa
risponde, gentile, al suo civilissimo interlocutore: “è un
argomento che vale zero” (pag. 37), “questa obiezione vale
assolutamente zero” (pag. 60). Questo è lo stile dei
“filosofi” figli del Sessantotto, a quanto pare. Dal '68 siamo
passati allo Zero come numero magico. Gli argomenti filosofici,
quindi, per D'Arcais (animatore del movimento ideologico che
chiedeva come numero il diciotto politico e che, con la riduzione
dell'Università ad università di massa, ha ridotto anche gli
studenti a mero numero) si misurano in numero. Un numero “arabo”: lo
zero.
E il numero magico
ritorna anche quando questo intellettuale, non proprio un esempio di politicamente corretto, propone il suo principale
(unico, presunto) argomento per cui la Vita sarebbe null'altro che un
“accidente cosmico” (pag. 51) “poiché” la probabilità
statistica che si presentasse è “vicina allo zero” e
“dunque” una “lotteria” (pag. 59), una “contingenza”
(pag. 60).
Inutile citargli Bobbio
(agnostico come il suo Darwin) che si sente avvolto dal mistero,
D'Arcais ha ZERO dubbi nella sua vita. Solo certezze.
Infatti, lui stesso
spiega che per lui la filosofia è guerra, proprio come un altro ex
comunista, Umberto Curi (autore di “Polemos. Filosofia come
guerra”, Bollati Boringhieri, Torino 2000): il dialogo DEVE essere polemos (pagg. 17 et
20), quindi anche guerra di religione dichiarata contro i credenti.
Questi ostinati che non si lasciano persuadère dai suoi argomenti ragionevoli. Questo è lo spirito dell'ateismo militante.
Certo, anche per Platone la
matematica era fondamentale, eppure mai in un suo dialogo ho letto
Socrate (che al massimo usava l'elegante arma dell'ironia) annullare la dignità dei suoi interlocutori dicendo una
simile frase: “il tuo argomento vale zero”.
Leggendo le risposte
e gli attacchi di Flores D'Arcais, ci facciamo un'idea di cosa sia l'intolleranza
religiosa, che non è meno intollerante dell'intolleranza sessuale, o dell'intolleranza politica. D'Arcais ha perfino l'ardire di citare (secondo noi, a sproposito) il credente Guglielmo di Occam il quale “intima di non
introdurre cause aggiuntive” (cioé il Creatore) “per eventi
altrimenti già spiegati” (col darwinismo ortodosso, naturalmente). Mancuso
gli replica con il grande filosofo ebreo Hans Jonas: la selezione
naturale “spiega la scomparsa, non la comparsa di forme”
(“Organismo e libertà”, Einaudi, Torino 1999, pag. 65).
Addirittura, il
“sapiente” dichiara (con un plurale maiestatis) che “oggi
sappiamo tutto rispetto ai grandi interrogativi
tradizionali della filosofia e della teologia” (pag. 37, corsivo
mio). Inutile dirvi le implicazioni totalitarie di una simile
affermazione. Per lui la Scienza è al singolare, egli non usa mai il plurale: le scienze.
Ed è anche inutile
tentare di spiegargli l'affermazione di Mancuso che “Dio esiste
solo per chi lo fa esistere” (pag. 41, citazione da “Io e
Dio”, Garzanti, Milano 2011, pag. 428) perché D'Arcais non la
capisce. Sa tutto, lui, ma non capisce tutto. Anzi, alcune cose
proprio non le concepisce. E siccome noi abbiamo più immaginazione
di lui, possiamo immaginare che, proprio come nel socialismo
sovietico, metterebbe fuorilegge la religione per il bene
dell'umanità.
Vito Mancuso, invece, che è un liberale kantiano, schematizza così i due opposti dogmatismi (che io chiamo degli atei militanti e dei clericali fondamentalisti):
1) il dogmatismo positivo: la ragione dimostra l'esistenza di Dio. E' la posizione dei clericali secondo cui sono ragionevoli solo i credenti (nei dogmi della chiesa).
2) dogmatismo negativo: la ragione dimostra la non esistenza di Dio. E' la posizione, non meno prepotente, degli atei comunisti come D'Arcais, secondo cui hanno ragione solo gli atei o gli agnostici come Darwin. (Tutti gli altri sono esseri infantili, da sottoporre a psicanalisi, ovviamente freudiana).
3) Criticismo: critica della pretesa della ragione e posizione dell'antinomia (tesi + antitesi). E' la posizione di Mancuso. Solo così, aggiungiamo noi, si può fondare il rispetto dell'altrui pensiero religioso.
Vito Mancuso, invece, che è un liberale kantiano, schematizza così i due opposti dogmatismi (che io chiamo degli atei militanti e dei clericali fondamentalisti):
1) il dogmatismo positivo: la ragione dimostra l'esistenza di Dio. E' la posizione dei clericali secondo cui sono ragionevoli solo i credenti (nei dogmi della chiesa).
2) dogmatismo negativo: la ragione dimostra la non esistenza di Dio. E' la posizione, non meno prepotente, degli atei comunisti come D'Arcais, secondo cui hanno ragione solo gli atei o gli agnostici come Darwin. (Tutti gli altri sono esseri infantili, da sottoporre a psicanalisi, ovviamente freudiana).
3) Criticismo: critica della pretesa della ragione e posizione dell'antinomia (tesi + antitesi). E' la posizione di Mancuso. Solo così, aggiungiamo noi, si può fondare il rispetto dell'altrui pensiero religioso.
Vorrei concludere in
bellezza questa recensione a questo libro, che è un must, per capire chi sono i veri laici e chi sono gl'intolleranti, con la
citazione che Mancuso riporta dallo scienziato Max Planck, in
risposta all'insulto di D'Arcais che freudianamente definisce i
credenti degli esseri infantili: “La ragione per cui l'adulto non
si meraviglia più non è perché ha risolto gli enigmi della vita,
ma perché si è abituato alle leggi che regolano la sua immagine del
mondo. Ma il problema del perché queste e non altre leggi valgano,
resta per lui stupefacente e inesplicabile come per il bambino. Chi
non capisce questa situazione ne falsa profondamente il significato,
e chi ha raggiunto lo stadio di non meravigliarsi più dimostra
semplicemente di aver perduto l'arte del ragionare e del riflettere”.
Anche se D'Arcais pensa
di averci dimostrato che gli argomenti del professor Mancuso valgono il suo voto “zero”, questo libro VALE la pena acquistarlo.
LELE JANDON
* laureato con Lode
in Filosofia della Mente, della Persona, della Città e della Storia
all'Università “Vita – Salute” del San Raffaele di Milano
Note: La citazione da Max
Planck è da “La conoscenza del mondo fisico”, Bollati
Boringhieri, Milano 1993, pag. 361.
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