di LELE JANDON
Nasciamo già dotati di una natura morale per fare
il bene del nostro prossimo (familiari e membri del nostro gruppo) e privi di forza
morale verso gli estranei.
Veniamo al mondo con una mente che non è una tabula rasa, bensì armata d’intuizioni preziose (Darwin le
chiamava “emozioni morali”) che l’Evoluzione (secondo alcuni scienziati
credenti, sotto la guida divina) ci ha dato per orientarci verso la compassione
(attiva) per i nostri vicini che soffrono, la gratitudine per chi è gentile, la
gioia di leggere e ascoltare le storie ove vincono i buoni, la rabbia e la condanna
dei malvagi (gl’imbroglioni e gli scrocconi): questi sentimenti (che ci rendono
orgogliosi) costituiscono dei piccoli, grandi fondamenti innati, inconsci ed automatici che ci guidano ad essere
compassionevoli verso il nostro prossimo che significa appunto vicino e
familiare. Quest’inconscio cognitivo ci guida cioè verso il bene: termine
(della filosofia) morale che, tradotto scientificamente, significa
collaborazione spontanea e cooperazione e, col liberale illuminista scozzese
del Settecento Adam Smith, “generosità,
umanità, gentilezza, compassione, amicizia reciproca e stima”.
Quest’intuito ci guida altresì a condannare il male: tradotto nel linguaggio della scienza, i profittatori, gli scrocconi.
Quest’intuito ci guida altresì a condannare il male: tradotto nel linguaggio della scienza, i profittatori, gli scrocconi.
E se la Psicologia intuizionista di Jonathan Haidt conferma la tesi del filosofo liberale David Hume: “La Ragione è al servizio delle Passioni” (Trattato sulla Natura Umana, 1740, http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/i-liberali-conservatori-han-piu.html), la Psicologia intuizionista di Paul Bloom e la serie di esperimenti (da lui fatti o citati) coi bambini
(la durata dello sguardo e le loro preferenze) dimostrerebbero la tesi di un altro grande filosofo illuminista scozzese (nonché grande amico fraterno di Hume): Adam Smith (Teoria dei Sentimenti Morali, 1759) che pensava come Thomas Jefferson che il nostro senso morale sia come i cinque sensi, parte integrante della nostra natura. Essi hanno già delle capacità morali, sia pure
limitate: sanno intuire ed indicare i buoni e i cattivi. Poi, come illustrano
gli stadi di sviluppo morale dello psicologo Lawrence Kohlberg, evolviamo maturando ragionamenti
morali universalizzabili.
E tale fondamentale bontà innata è un
adattamento dell’Evoluzione biologica perché fare il bene è socialmente utile a
tutti, come intuì già Adam Smith due secoli prima di Darwin. Possediamo altresì
dei limiti (come il disgusto omofobico) che vanno corretti con l’uso della
ragione.
INTUIZIONISTA: Paul Bloom, psicologo dell'età evolutiva. |
(traduzione di Sara Prencipe, Codice edizioni, Torino
2014, titolo originale “Just Babies. The
Origins of Good and Evil”, 2013): un sottotitolo che ricorda quello del primo
libro che argomenta questa tesi, quello dell'ex biologo di Harvard Marc Hauser “Menti
Morali. Le origini del bene e del male” (il Saggiatore, Milano 2007, tit.
orig. Moral Minds: How Nature Designed
Our Universal Sense of Right and Wrong, 2006), che infatti Bloom stesso aveva recensito nell'articolo "The Chomsky of Morality?" pubblicato su Nature (numero 443, pagg. 909 –
910, leggibile online all'indirizzo:
http://www.yale.edu/minddevlab/papers/bloom&jarudi.pdf).
http://www.yale.edu/minddevlab/papers/bloom&jarudi.pdf).
L’autore, canadese di Montréal, ha già pubblicato in italiano “Il
bambino di Cartesio. La psicologia evolutiva spiega che cosa ci rende umani”
(il Saggiatore, Milano 2005, titolo originale Descartes’ Baby: How the Science of Child Development Explains What
Makes Us Human, 2004): anche questo con un’orribile copertina.
Anch’egli, come il collega Jonathan Haidt, del quale condivide la
teoria delle nostre sei intuizioni politiche innate, è un intuizionista, ed anche lui, come il suo connazionale, spiega i
risultati degli esperimenti alla luce della teoria dell’Evoluzione; ma a
differenza di Haidt egli mette in guardia dal credere che siamo irrazionali: la
ragione, che ci porta alla ricerca d’imparzialità, è stata fonte decisiva di
progresso morale.
Il volume è importante anche per il suo dialogo fra la psicologia morale e la filosofia
morale: le intuizioni del grande filosofo Adam Smith (il quale oltreché economista e filosofo dell’economia
merita di essere ricordato come filosofo morale nonché, dice Bloom, fondatore
della psicologia morale contemporanea), si sono rivelate vere. Bloom ricorda
che molti dei migliori psicologi morali hanno avuto una formazione filosofica:
i loto metodi e teorie attingono dalla filosofia etica.
Oggi un leader spirituale come Matthew
Fox argomenta che “abbiamo bisogno della compassione non perché vogliamo essere
altruisti, non per ragioni filosofiche o teologiche, ma perché vogliamo
sopravvivere” (“Compassione”, Claudiana,
Torino 2014, pag. 5): una prospettiva concorde con la teoria scientifica di
questo libro che recensiamo.
Va fatta una premessa a scanso di
equivoci: quando nel libro si parla di sensibilità innata contro il male, ci si
riferisce alle trasgressioni morali, non alle trasgressioni
socio-convenzionali, come ben distingue Elliot Turiel (The Development of Morality, New York 2006, pagg. 789 – 857). Infatti
solo alcune di queste sono intuizioni morali: alcune convinzioni morali sono
delle usanze apprese, perché diverse fra cultura e cultura, come già spiegato
dallo scrittore Erodoto, il primo reporter della storia che aveva scritto
che le abitudini sono relative (“l’usanza è regina”) e che tutti siamo
assolutisti (“tutti crediamo che le nostre Tradizioni e la religione che ci
hanno insegnato siano le migliori in assoluto”).
LE
ECCEZIONI alla REGOLA:
I
Sociopatici sono come Ciechi Nati
Finiscono
sempre Male: sono senza Paura
Per Noia o
Crudeltà si fanno scoprire
Da queste intuizioni innate, inoltre,
sono esclusi, naturalmente, per un difetto biologico, i sociopatici (della cui sintomatologia – la menzogna, la mancanza di
rimorso, paura, senso di colpa e di compassione- potete leggervi il mio saggio http://lelejandon.blogspot.it/2014/02/senza-rimorso-colpa-o-pieta-come.html)
i quali, “a causa di alcune sfortunate combinazioni di geni, del ruolo dei
genitori e di particolari esperienze personali” sono privi di sentimenti
morali: sono come ciechi dalla nascita: se anche gli provate ad argomentare la
morale, la risposta sarà “non m’importa”. Per loro la vita è più complicata:
mentre noi siamo guidati dai nostri sentimenti morali inconsci, loro devono
continuamente scervellarsi su ciò che gli altri normali si aspettano, e poiché
sono insensibili alla paura finiscono per soccombere agl’impulsi
negativi/autodistruttivi (facendo cose terribili per avidità, crudeltà o noia)
e vengono smascherati e catturati.
Ci sono altresì dei limiti, come nel caso, già citato da Haidt (cfr. la mia recensione http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/i-liberali-conservatori-han-piu.html)
su due fratelli adulti e consenzienti che fanno l’amore (protetto da ambo le
parti) di cui non si riesce a rendere conto dell’immoralità perché non c’è
oggettivo danno. C’è poi il caso dell’omofobia: il disgusto omofobico sarebbe
un errore dell’evoluzione. E vari altri esempi di cui fa l’elencazione completa
l’antropologo Richard Shweder: cose che, a seconda delle culture, sono neutre,
lodevoli o spaventose: matrimonio combinato o per amore, democrazia, pene
corporali etc. A proposito di relativismo culturale, Bloom rivolge questa critica agli
antropologi: essi esagerano le differenze culturali a scapito delle rassomiglianze,
per un semplice motivo: il voler stupire con delle novità e venire così volentieri pubblicati (pag. 10). Una
“negligenza professionale” la chiama Maurice Bloch (e Bloom ne avrà anche per i colleghi psicologi, come vedremo!).
ADAM SMITH
Intuì la Gioia di Condividere i Piaceri col Prossimo:
Intuì la Gioia di Condividere i Piaceri col Prossimo:
"La Condivisione è una forma di Compassione"
Compassione Necessaria ed Universale
Sarà bene rinfrescare la distinzione fra una
serie di termini:
1)
empatia
che, secondo Adam Smith (1723 – 1790), che non usava questo termine,
coniato nel 1919 su calco del tedesco Einfühlung (“sentire
dentro”), bensì la parola "simpatia", è quell'intelligenza tale per cui é “come se entrassimo nel corpo
di qualcun altro, e diventassimo in una certa misura la sua stessa persona”.
Una banconota con l'effige di Adam Smith (1723 – 1790), il grande filosofo illuminista scozzese padre del liberalismo. |
2)
Il
contagio emotivo come quando vediamo il video Baby laughing histerically at ripping paper su YouTube, oppure
quando, esemplifica Adam Smith, leggiamo ad alta voce una poesia o un libro ad
un altro: ci fa piacere vedere in lui la sorpresa. Il grande filosofo aveva
così spiegato già il piacere di noi contemporanei di condividere le nostre
scoperte, come anche il piacere di chi, scrivendovi qui, su questo blog, condivide ciò che studia e pensa. Anche
Padre Matthew Fox, nella sua Teologia della Gioia, insiste sulla compassione
come condivisione. Per Platone, vorrei poi ricordare, amicizia è koinonia (condivisione). Si spiega così
anche una delle gioie di essere genitori: provare di nuovo esperienze come
andare allo Zoo o mangiare il gelato come se fosse la prima volta.
Le storie che più ci appassionano, scrive
Bloom,
sono quelle che riguardano il bene e il male: vogliamo vedere i cattivi puniti e i buoni ricompensati (pag. XII, Prefazione).
sono quelle che riguardano il bene e il male: vogliamo vedere i cattivi puniti e i buoni ricompensati (pag. XII, Prefazione).
Thomas Jefferson aveva
ragione, dice Bloom, quando scrisse che “Il
senso morale, o coscienza, è parte integrante dell’uomo come lo sono le sue
braccia e le sue gambe”, tesi condivisa da altri liberali illuministi come Adam Smith nel suo “Teoria dei sentimenti morali, ove
descrive l’empatia, la compassione e l’immaginazione morale (concetto ripreso
dalla filosofa Martha Nussbaum) come universali umani: “Sono chiaramente
presenti nella natura umana alcuni princìpii che lo rendono partecipe delle
fortune altrui, che rendono per lui necessaria l’altrui felicità, nonostante
non ottenga altro che il piacere di contemplarla” (come dice Matthew Fox:
“Abbiamo bisogno della compassione perché vogliamo sopravvivere”)
“Di questo
genere è la pietà o compassione,
l’emozione che proviamo per la miseria altrui, quando la vediamo, oppure siamo
portati ad immaginarla in maniera
molto vivace. Il fatto che spesso ci derivi sofferenza dalla sofferenza degli altri
è troppo ovvio da richiedere esempi per essere provato; infatti tale
sentimento, come tutte le altre passioni
originarie della natura umana, non è affatto prerogativa del virtuoso o del
compassionevole, sebbene forse essi lo provino con più spiccata sensibilità”.
Le lacrime sono un adattamento (e non un incidente biologico come pensava Darwin) |
Come dicevo dall’inizio, il presupposto
metodologico della Teoria di Bloom è la Teoria dell’Evoluzione (che,
ricordiamo, non fu solo di Darwin, ma anche di ): talvolta Darwin sbagliava,
come quando sosteneva che le nostre lacrime agli occhi non fossero altro che un
accidente dell’evoluzione, e non un adattamento, mentre il neuroscienziato
olandese (Ad Vingerhoets) ha dimostrato nel suo bellissimo libro Why Only Humans Weep: Unrevealing the
Mysteries of Tears che sono parte integrante del nostro bagaglio di
compassione innata che ci aiuta a ottenere la pietà del nostro prossimo. A
proposito, strano che Bloom non lo citi.
Gli
Appunti di Darwin sul figlioletto:
c’è già il
Senso di Colpa e la Vergogna
Tesi confermata dagli esperimenti moderni
Charles Darwin col figlio: lo scienziato britannico scrisse una delle prime biografie infantili, Biographical Sketch of an Infant (1877). |
Charles Darwin (in “A Biographical
Sketch of an Infant”, articolo pubblicato su “Mind”, 2, pagg. 285 – 294, nel 1877) condivide gli appunti di 37
anni prima presi osservando lo sviluppo del figlioletto (William), ove aveva
annotano prima le reazioni fisiche e poi le “emozioni morali”: “l’espressione melanconica” che dimostra
“comprensione simpatetica” dinanzi alla nanny
che finge di piangere, l’autocompiacimento quando dona un pezzetto di pane alla
sorellina, il senso di colpa e vergogna (“un contegno stranamente innaturale”)
quando il padre scoprì che aveva preso delle zollette di zucchero che gli era
stato detto di non prendere. A tal proposito, mi viene in mente l’osservazione
di Sartre (1905 – 1980) nel suo libro di antropologia filosofica “L’essere e il nulla” (1943) ove scrive
che è proprio lo sguardo degli altri (che mi sento addosso) che suscita in me
emozioni come la vergogna (“con l’apparizione di altri sono posto in
condizione di portare un giudizio su me stesso come un oggetto, perché come
oggetto mi manifesto ad altri (…) La vergogna è, per natura, riconoscimento.
Riconosco di essere come altri mi vede” (traduzione di Giuseppe del Bo, il
Saggiatore, Milano 1991). Che esista già il senso di colpa è confermato
dalla psicologa Charlotte Buhler nel 1935: un adulto fa divieto al bimbo di
toccare un giocattolo; tutti i bambini, quando l’adulto esce, prendono il
giocattolo e quando il grande torna tutti i piccoli di 18 mesi (solo il 60% dei
bimbi di 16 mesi) arrossiscono e mostrano imbarazzo e spavento. A 21 mesi,
tentano di riparare al guaio: rimettendo il giuoco a posto. A 2 anni, tentano
di giustificare la disubbidienza, dicendo che il giocattolo era loro!
Il libro della psicologa è citato da Bloom. |
E Bloom prova ad argomentare, con
un’elencazione di esperimenti, come i due grandi liberali avessero ragione.
Gli psicologi e i colleghi citati da
Bloom hanno creato delle scenette con dei pupazzi e li hanno mostrati a dei
bambini di pochi mesi od anni ed hanno scoperto che questi bimbi.
E’ la conferma della tesi di Adam Smith
che ben prima di Charles Darwin aveva intuito che la collaborazione è resa
possibile dai nostri sentimenti morali ed è socialmente utile: “Tutti i membri della società umana hanno bisogno dell’assistenza degli altri, e allo stesso modo sono
esposti a reciproche offese. Quando la necessaria assistenza è reciprocamente
fornita dall’amore, dalla gratitudine, dall’amicizia e dalla stima, la società
è fiorente e felice”.
Secondo Darwin, in un’ipotetica guerra
fra due tribù immaginarie, una collaborativa e l’altra no, vincerebbe la prima;
secondo una teoria alternativa, comunque d’ispirazione darwiniana, la
collaborazione e l’altruismo si evolvono perché i buoni puniscono i cattivi e
premiano i buoni.
I bambini piccoli sono più difficili da
studiare dei ratti da laboratorio: le neuroimmagini, che pure (come la spettroscopia
nel vicino infrarosso, ci dicono le aree esatte del cervello ove sono in corso
processi cognitivi) non sono adatte perché o sono pericolose o i soggetti
devono stare a lungo immobili.
PSICOLOGIA DELL'ETA' EVOLUTIVA. Alcuni sperimentatori interrogano con dei bambini. |
La psicologa Elisabeth Spelke di Harvard ha studiato per trent'anni i bambini ed è convinta innatista. |
I bimbi guardano più a lungo ciò che li sorprende: ciò che non si aspettano. Con questo metro si è scoperto che posseggono già delle intuizioni di matematica, fisica e psicologia. |
Socrate nel dialogo “Menone” (82 b – 86 c) dimostrò che esistono concetti innati interrogando un bambino schiavo ignorante che riesce a risolvere un problema di geometria!) Karen Wynn (la moglie di Paul Bloom e sua collaboratrice) scopre che hanno già delle intuizioni matematiche, sanno per così dire contare mentalmente il numero di marionette e sono stupiti se spariscono;
3La psicologia e sociologia ingenua
(una cui branca è, potremmo dire, la
psicoeconomia) i bambini hanno aspettative sulle intenzioni, gli obiettivi
e le espressioni degli adulti e a 4 mesi sanno attribuire
credenze anche false.
’ E' questa categoria d’intuizioni, le intuizioni
morali legate alle emozioni, che
interessano al nostro, il quale ha condotto a Yale degli esperimenti con sua
moglie (Karen Wynn) e pubblicati su “Nature”: sono
situazioni di interazioni “sociali” che, verosimilmente, i bambini non hanno ancora
visto. Strano che Bloom dimentichi qui il quarto punto, che aggiungiamo noi:
Per gli esperimenti sui bambini, si usano delle marionette che simulano delle scenette. |
Il linguaggio ingenuo: secondo la teoria della grammatica
universale del linguista del MIT Noam Chomsky,
nasciamo già con delle competenze linguistiche sul modo di strutturare le frasi
corrette per cui intuiamo quando c’è un errore grammaticale (anche se non
sappiamo spiegare perché). Ascoltando i nostri nipotini, fratellini, figlioletti, notiamo che non producono mai frasi interrogative malformate in inglese. I bambini di madrelingua italiana sanno già che il soggetto può essere omesso nelle frasi, mentre quelli anglofoni sanno già che il soggetto va sempre espresso.
Adoperando dei cartoni animati, in cui un
oggetto aiutava un altro ad infilarsi in un passaggio o lo bloccava, i bambini
preferivano la situazione collaborativa.
La stessa preferenza confermata nel caso di animazioni con figure geometriche (una palla rossa che tenta di salire su una collina: un quadrato giallo e la spingeva su aiutandola, mentre un triangolo verde si metteva davanti e la spingeva giù, ostacolandola. Quando la palla s’avvicina all’elemento ostacolante, i bimbi fissano più a lungo: evidentemente, si aspettano che la situazione è più complicata.
La stessa preferenza confermata nel caso di animazioni con figure geometriche (una palla rossa che tenta di salire su una collina: un quadrato giallo e la spingeva su aiutandola, mentre un triangolo verde si metteva davanti e la spingeva giù, ostacolandola. Quando la palla s’avvicina all’elemento ostacolante, i bimbi fissano più a lungo: evidentemente, si aspettano che la situazione è più complicata.
In una variante della palla, lo
sperimentatore metteva dinanzi al bimbo l’aiutante e l’ostacolatore per vedere
chi avrebbe preso.
Indovinate? Sceglievano l’aiutante. Scelta confermata anche con l’introduzione, da parte degli psicologi, di un terzo personaggio, neutro: i bimbi già di 3 mesi non solo lo vogliono afferrare, ma lo fissano. La moglie di Bloom crea una nuova situazione simile per tradurre, in un linguaggio comprensibile ai bambini, i concetti di aiuto e ostacolo, bene e male: un pupazzo che afferra il coperchio di una scatola e lo apre, mentre un altro saltava sopra e la teneva chiusa; oppure: uno che giuoca a palla, che poi gli scappa di mano, un pupazzo gliela ridà e un altro la prende e scappa: i bambini di 5 mesi preferiscono il personaggio buono. Benché lo stesso Bloom conceda ai suoi critici di non essere riuscito a dimostrare il valore morale della comprensione che guida la scelta dei bambini, sottolinea che sono comunque giudizi disinteressati: non sono situazioni che riguardano i bambini stessi.
Indovinate? Sceglievano l’aiutante. Scelta confermata anche con l’introduzione, da parte degli psicologi, di un terzo personaggio, neutro: i bimbi già di 3 mesi non solo lo vogliono afferrare, ma lo fissano. La moglie di Bloom crea una nuova situazione simile per tradurre, in un linguaggio comprensibile ai bambini, i concetti di aiuto e ostacolo, bene e male: un pupazzo che afferra il coperchio di una scatola e lo apre, mentre un altro saltava sopra e la teneva chiusa; oppure: uno che giuoca a palla, che poi gli scappa di mano, un pupazzo gliela ridà e un altro la prende e scappa: i bambini di 5 mesi preferiscono il personaggio buono. Benché lo stesso Bloom conceda ai suoi critici di non essere riuscito a dimostrare il valore morale della comprensione che guida la scelta dei bambini, sottolinea che sono comunque giudizi disinteressati: non sono situazioni che riguardano i bambini stessi.
L’Empatia Adattamento evolutivo: guida la Compassione
La famosa teoria di Rizzolatti (nemmeno
citato per nome, si cita invece Gallese), la "teoria del sistema dei neuroni
specchio", è bella chiara e lineare, ma insufficiente a spiegare il linguaggio o
il complesso ragionamento morale/sociale o l'imitazione: i macachi rhesus non hanno tali
facoltà. Ma a noi, taglia corto Bloom, non interessa la neuroanatomia
o la neurofisiologia, bensì il ruolo dell’empatia nell’Evoluzione da un punto di vista della psicologia evoluzionistica: così come
gli altri istinti hanno una funzione (la fame ci spinge a trovare il cibo, la
rabbia ad essere aggressivi contro una minaccia), l'empatia, per Bloom, è un adattamento
funzionale nato per motivare la compassione e l’altruismo.
Esiste sia la
Compassione senza Empatia
(salvare per
dovere chi che annega)
sia l’Empatia senza Compassione
(vedo un
dolore ma distolgo lo sguardo e vado via)
Noi diciamo: empatia cognitiva vs empatia emotiva
Ma è complesso: a volte io posso
scegliere di empatizzare. L’empatia è una scelta morale e non una causa. Ed è
influenzata da cosa pensiamo dell’altro.
Secondo, non è necessaria l’empatia
perché nasca la compassione: come nell’esempio del filosofo Peter Singer,
quando vedo una bimba che sta annegando in un lago e ci sono solo io, mi tuffo
e la trascino fuori. Ma non è che io mi identifico e mi sento soffocare. Così
come, esemplifica lo psicologo Steven Pinker, se una bimba trema di paura
perché un cane abbia, non è che io tremo insieme a lei, ma la consolo e
proteggo, semplicemente.
Come esiste compassione senza empatia,
così esiste empatia senza compassione: io posso vedere una scena di una persona
che soffre e scegliere di voltarmi dall’altra parte. Mi viene in mente la frase
ironica di uno scrittore: “Ci sono persone così sensibili che dinanzi al dolore
degli altri fuggono perché non possono sostenerlo”. Se posso fare un esempio io, mi viene in mente l’arcivescovo di New York Timothy Dolan che ha negato
il suo aiuto ad una ONG che si occupa dell'assistenza agli homeless gay: egli
sicuramente avrà empatizzato con la situazione di senzatetto di questi ragazzi
(spesso afroamericani) sbattuti fuori di casa dai loro genitori snaturati, ma
non ne ha compassione perché evidentemente il suo giudizio morale sul loro stile di
vita impedisce di compatirli. Se posso esprimermi con altri termini
forse più chiari, qui Bloom distingue quella che in due altri saggi del blog
abbiamo definito empatia cognitiva ed
emotiva (http://lelejandon.blogspot.it/2014/02/senza-rimorso-colpa-o-pieta-come.html
http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/allenare-lattenzione-muscolo-della.html).
http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/allenare-lattenzione-muscolo-della.html).
La Morale
non si riduce a Compassione!
Ad es., la
Polizia non può cedere dinanzi
ad un Criminale: prima i Doveri Morali
Ci sono casi in cui non si può cedere alla compassione bisogna onorare altri princìpii morale come il rispetto della legge eguale per tutti. |
Bloom distingue anche la morale dalla compassione.
Facciano attenzione le anime belle che le
confondono: “Immaginate un criminale che supplichi un
poliziotto di lasciarlo andare; il poliziotto potrebbe provare compassione, ma
non cederebbe, perché ha altri princìpii morali da onorare” (pag. 39).
Quel Giuoco di Sguardi fra Genitori e Figli
Il Bimbo non ha mai visto lo Specchio,
ma sa già
d’Istinto come imitare l’Adulto
I bambini, più crescono, più imparano a consolare. Ma abbiamo esempi di bimbi piccoli che già ci provano: come il bambino di 14 mesi che accompagna il bimbo che piange dalla propria mamma! |
I bambini sono molto sensibili e poiché
non han mai visto uno specchio, la loro imitazione (come quando gli facciamo le
boccacce e loro fan lo stesso) dev’essere un istinto sapere già che quella cosa
che ha dentro la bocca corrisponde a quella dell’altro che gli sta facendo le
linguacce. Questo meccanismo potrebbe essersi creato per rinforzare il legame
genitori/figli che infatti, spesso, si rispecchiano, sovente inconsciamente,
nelle reciproche espressioni (cfr. C. Trevarthen, “The Concept and Foundations of Infant Intersubjectivity”, in Intersubjective Communication and Emotion in
Early Ontogeny, a cura di Stein Braten, Cambridge University Press, New
York 1998, pagg. 15 – 46).
Che già i bambini provino compassione lo
dimostra il fatto che essi, quando vedono qualcuno piangere, non solo tendono a
piangere a loro volta, ma non distolgono
lo sguardo dalla persona sofferente (segno di empatia senza compassione): i
bimbi di un anno l’accarezzano e le danno buffetti
affettuosi (M. L. Hoffman, Empathy and
Moral Development: Implications for Caring and Justice, Cambridge
University Press, New York 2000).
Come negli altri primati (dice Frans de Waal ne La scimmia e l'arte del sushi. La cultura nell'uomo e negli altri animali, Garzanti, Milano 2002) le femmine mostrano più empatia e compassione.
Karen Wynn, psicologa di Yale, è moglie e collega di Paul Bloom. |
Come negli altri primati (dice Frans de Waal ne La scimmia e l'arte del sushi. La cultura nell'uomo e negli altri animali, Garzanti, Milano 2002) le femmine mostrano più empatia e compassione.
Più sono grandi, più i bambini imparano a
consolare, per quanto maldestramente (come il bimbo di 14 mesi che accompagna
il bimbo piangente dalla propria mamma,
non dalla sua!); i piccoli tendono a consolare sé stessi: come i ratti, che
dinanzi alla chance di premere una levetta per por fine alla scossa elettrica
che fa male ad un loro conspecifico, si ritirano in un angolino squittendo e
contorcendosi pel disagio.
I Bimbi si offrono d’aiutare: spontaneamente La Collaborazione è un Istinto adattativo
I bambini ti sorprendono pel loro aiuto
spontaneo: come han raccontato vari psicologi, c’è chi prende le pantofole pel
papà che ritorna a casa, chi usa il rastrello o la paletta, o ci son bimbi che
si offrono di aiutare a pulire la casa o aiutano gli adulti ad afferrare un
oggetto che non riescono a raggiungere o ad aprire una porta se han le mani
occupate.
E’ degno di nota che non vi è
suggerimento neanche con lo sguardo da parte dell’adulto. La sfida allora per
noi adulti è: qual è la motivazione di tale gesto? Ottenere approvazione (e
quindi la collaborazione sarebbe un adattamento per captatio benevolentiae, proprio come la loro attrattiva fisica, con
le loro guanciotte piene e i loro occhioni grandi che ce li rendono subito
simpatici)? O rendere felice l’adulto, insomma un’attenzione genuina?
Risulta poi che essi sian più inclini ad
aiutare chi abbia già aiutato qualcun altro in precedenza anziché ai
ricercatori dispettosi.
Un esempio mio di collaborazione spontanea: Daniela, 35 anni,
milanese, mi racconta che il figlioletto Francesco di 3 anni si offre spontaneamente di aiutarla a medicarla dove è stata operata di melanoma, e le
dice: “Mi aiuterai quando da grande vorrò fare il medico?”.
I Bimbi non condividono cogli Estranei?
Sono
perfettamente normali
La condivisione col prossimo, che è una
manifestazione di compassione, incomincia già dal(la seconda metà del) primo
anno di vita ed aumenta esponenzialmente negli anni seguenti. (Non condividere
cogli estranei è perfettamente normale e naturale: il bias (l’errore metodologico) di chi pretende di dimostrare una
presunta gentilezza verso presunti estranei consiste semplicemente nel fatto
che quei ricercatori presenti agli esperimenti maldestri non sono estranei ma
interagiscono col bimbo già prima in un “riscaldamento” che inficia il
risultato proprio perché familiarizzano!).
I Bambini
più Grandi pensano la Generosità come Proporzionalità
Su quello che Jonathan Haidt chiama
“Principio di correttezza/inganno” e “Principio di libertà/oppressione” abbiamo
già parlato nel blog (http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/i-liberali-conservatori-han-piu.html)
ed infatti Bloom cita il medesimo esempio: il movimento di protesta di Occupy
Wall Street (citato anche da Matthew Fox nel suo libro “Compassione”, Claudiana, Torino 1014, pag. 88).
Benché gli esperimenti che pretendono di
dimostrare una tendenza all’equità nella “distribuzione delle risorse” secondo
Bloom siano inficiati dall’influenza dei contesti scolastici delle scuole della
classe media ove “il concetto di eguaglianza è costantemente inculcato nella mente
dei bambini” (pag. 53), tuttavia vi sono esperimenti che mostrano che i bambini
indicano i pupazzetti che fanno doni a tutti equamente come buoni: di nuovo,
con la misurazione della durata dello sguardo, guardano più a lungo la scenetta
ove la suddivisione è iniqua. Ma attenzione: i bambini non sono per
l’egualitarismo che nega il merito individuale. Infatti, quando due individui, finito di giocare, riordinano
insieme, e la ricercatrice li ricompensa in modo iniquo, la guardano più a lungo (segno di stupore), così come fissano
di più quando la ricercatrice ricompensa due personaggi di cui uno ha
riordinato e l’altro è rimasto a giocare (segno che non se l’aspettavano un premio
eguale per meriti diversi). Quando c’è un numero dispari di risorse, i bambini
buttano via il premio (ad esempio la quinta gomma) piuttosto che darne una in
più a qualcuno, ma se si aggiunge la frase “Dan ha fatto più lavoro di Mark”,
quasi tutti mutano idea: la danno a Mark. Esperimenti condotti dallo stesso Bloom
dimostrano che i bambini più grandi pensano alla generosità in termini di
proporzionalità (un individuo che possiede 3 oggetti e ne regala 2 è più
gentile di chi ne ha 10 e ne dona 3). Comunque, per coloro i quali ancora
sognano il comunismo e se lo immaginano come uno stato di natura, Bloom ricorda che le piccole società ove regna
l’egualitarismo sono egualitarie solo fra maschi adulti mentre sono gerarchiche (patriarcali) verso mogli e figli, sono basate solo su caccia e raccolta, e
sono estremamente violente verso donne, uomini e gruppi rivali. Inoltre, come
spiega l’antropologo Christopher Boehm (in Hierarchy
in the Forest: The Evolution of Egalitarian Behavior, Harvard University Press 1999) qui gli uomini sono eguali solo per tema che nessuno abbia
troppo potere su di lui, tantoché adoperano lo scherno per demoralizzare chi
osasse montarsi la testa, magari perché caccia in maniera più abile (come fra i
Boscimani !Kung del Kalahari, in Africa) o perché chiede ad un altro di
lavorare per lui (come fra gli Hazda). Noi, invece, abbiamo avuto chi si è preso troppo potere come Hitler,
Stalin e Tito perché le nostre società non sono così piccole.
Un'Offerta troppo bassa suscita la nostra Indignazione Morale:
si vede dalla Faccia e dalle Neuroimmagini
Gli studiosi di economia cognitiva (detta
anche psicoeconomia) hanno progettato giuochi semplici ed ingegnosi, come il Giuoco dell’Ultimatum (che avviene una
sola volta): si sceglie a caso un proponente od un ricevente. Il proponente
viene data una somma (es. 10 dollari) e lui sceglie se darne una parte o mano
alla controparte (che potrà accettare o rifiutare: nel caso rifiuti, nessuno
dei due potrà tenere i soldi). Se si crede ancora alla teoria economica
classica (secondo cui noi siamo attori perfettamente razionali, e pensiamo solo
al nostro utile: la massimizzazione del profitto), il proponente dovrebbe
offrire il meno possibile e il ricevente accettare (1 dollaro è meglio di
niente). Invece no! (Succede solo cogli studenti
di economia, appunto). I non economisti
offrono di solito metà o poco meno di metà: evidentemente sanno che un’offerta
troppo bassa viene rifiutata (punendo così lo spilorcio). Ci siamo evoluti,
spiega Bloom, per avere relazioni economiche ripetute, e non per transazioni
anonime e uniche: siamo programmati per reagire all’offerta tirchia come se
fosse la prima di una serie: possiamo osservare lo sdegno sia sui volti dei
riceventi (contratti in un’espressione di disprezzo e disgusto, sia nei loro
cervelli (con le neuroimmagini): sono attive elettricamente le aree associate
all’emozione primaria della rabbia. (Vorrei aggiungere che questi dati
dovrebbero far riflettere certi imprenditori italiani che, facendo offerte di lavoro e stipendio indegne ai candidati italiani, hanno concorso, con la loro
insipienza, a generare la disoccupazione e la depressione economica).
Il bias del Giuoco del Dittatore:
voler
apparire generosi
(cosa che
non siamo con gli Estranei)
Allora, poiché questo esperimento la
generosità è spiegabile con la paura che l’offerta sia rigettata (quindi
comunque per una razionalità), lo psicologo israeliano Daniel Kahneman (Premio Nobel per l’Economia) ha ideato il Giuoco del Dittatore: viene data una
somma al partecipante che può dare ciò che vuole ad un estraneo anonimo e può
tenersi ciò che vuole. Se fosse vero, come pensa l’economia classica, che siamo
agenti egoisti, non daremmo niente. Invece i più fra le persone donano il 20%:
questa generosità, a differenza del precedente giuoco, non è motivabile dal timore
della ripicca. Secondo alcuni, sarebbe questo innato senso di equità, ma,
obietta Bloom, non succede che se troviamo 20 dollari per strada ne doniamo 10
al primo che passa.
Il bias è la
pressione sociale: i partecipanti sanno di prender parte ad uno studio
sull’onestà e la gentilezza e non vogliono passare per stronzi (immaginate di
giocare in Tv) e, benché lo scenario sia anonimo, tuttavia chi partecipare può
sospettare che non sia così e dunque non si comporta in maniera naturale.
Lo psicologo Jason Dana ha perfezionato
il giuoco del dittatore dimostrando che non abbiamo poi tanto questo senso di
generosità cogli estranei: i
partecipanti, cui venivano dati i dieci dollari, potevano scegliere se giocare come
nel giuoco del dittatore descritto sopra oppure tenere 9 dollari e lasciare il giuoco. E
venivano avvertiti che, nel secondo caso, il (mancato) ricevente non l’avrebbe
mai saputo.
Se fossimo perfettamente egoisti, giocheremmo per tenere l’intiera
somma, che è meglio di 9 dollari.1/3 si tiene i 10 dollari. Come quando,
teorizza Bloom, nel vedere un mendicante, anziché passare dritto decidiamo di
evitarlo attraversando la strada, per non sentirci in obbligo.
IL VERO JOHN NASH. Il grande matematico americano è nato nel 1928. |
Secondo me, questi esperimenti sono
capziosi e non hanno un grande senso perché risulta evidente che nasciamo per
instaurare relazioni anche economiche di tipo personale, e non con perfetti
estranei come in questi giuochi.
L’economista John List ha creato una
variante: al Dittatore eran dati 10 dollari, al ricevente 5. Il Dittatore
poteva scegliere quanto donare: la cifra media donata era 1,33 dollari. Ad un
secondo gruppo fu detto che poteva donare ciò che voleva, ma che poteva anche
prendere un dollaro dall’altro: la somma media donata scese a 33 cents. Ad un
terzo gruppo fu detto che poteva dare quanto voleva e che poteva prendere
all’altro sino a 5 dollari: in media furono dati 2,48 dollari. Stavolta, il
poter prendere fa la differenza perché la variante peggiore non è più non dare
nulla, ma portare via tutti i soldi all’altro, e uno può pensare: non voglio
apparire stronzo.
Il
Giuoco dei beni pubblici
è un altro test di psicoeconomia che
dimostra quanto sia un istinto (che si nutre dell’empatia verso le vittime) la punizione altruistica (una logica
intuita anche dai bambini piccoli): puniamo chi non ci danneggia direttamente
(magari attraverso il pettegolezzo, che non ci costa nulla) perché così
facendo, istillando il timore della punizione, facciamo comportare gli altri in
maniera corretta e li scoraggiamo dal comportarsi in maniera scorretta. Come
già intuì Adam Smith (nella solita "Teoria dei Sentimenti Morali") il colpevole “deve essere spinto a pentirsi e a
dispiacersi proprio per quell’azione”. “Tutti gli uomini –scrisse il grande
filosofo liberale- anche i più stupidi e irriflessivi, detestano la frode, la
perfidia e l’ingiustizia, e provano piacere nel vederle punite. Ma pochi hanno
meditato sulla necessità della giustizia per l’esistenza della società, per
quanto ovvia tale necessità possa sembrare”. Si pensi (volendo fare noi un esempio) a come
rimangono impuniti in Italia gli assassini che uccidono le persone quando sono
ubriachi al volante. Gl’istinti moralizzanti dei bambini talvolta si riflettono
nella violenza (che ha il suo picco nei due anni di età) ma anche nel
pettegolezzo: essi vanno a riferire i torti a chi di dovere affinché costui
venga punito, per il piacere di mostrarsi buoni agenti morali, e liberarsi dei
costi potenziali della vendetta personale.
Per verificare se anche i bambini piccoli
provano desiderio di vendetta e giustizia, a Bloom piacerebbe tanto poter fare
questo esperimento che però il comitato etico di Yale non gli lascia fare:
mostrare ai piccoli un personaggio buono ed uno cattivo (uno aiuta qualcuno a
salire lungo il fianco di una collina e l’altro gli blocca la strada), poi li
mettiamo entrambi dinanzi al bimbo che ha in mano un pulsante che, se premuto,
farà contorcere il personaggio come se avesse subito una scossa elettrica: il
bimbo toglierà il dito quando a gridare è il buono? E continueranno a premerlo
col personaggio malvagio? Un esperimento è comunque stato fatto con bimbi già
in grado camminare: coi pupazzi che giocano a palla. Uno la passa all’altro che
gliela ripassava a sua volta e poi a un terzo che se la prendeva e scappava
via. Alla domanda su chi meritasse un premio e chi punire togliendogli il premio,
i bambini sanno indicare il buono e il cattivo. Ma non sappiamo se abbiano un
impulso a ricompensare e punire e soprattutto sono già troppo grandi e
potrebbero già aver appreso, osservando gli adulti, questi concetti.
(Dalla punizione altruistica sono escluse
le società con scarso senso civico "come l’Arabia Saudita o la Grecia", ma potremmo aggiungere quelle parti del Sud Italia ove padroneggiano le mafie, ove esiste
la punizione antisociale: chi è
punito dalla punizione altruistica, lungi dall’essere in imbarazzo, è
arrabbiato e si vendica contro chi l’ha attuata).
La Teoria
della Coalizione: c’interessa la Razza così come la Divisa o la Lingua per riconoscere i potenziali Estranei
Noi prudenti. Gli scimpanzé invece aggrediscono le altre tribù
La nostra empatia e compassione si limita
al cerchio dei familiari e membri del nostro gruppo. Gli estranei c’ispirano
paura, disgusto ed astio, eppure anche le culture che non hanno il concetto di
viaggio elaborano codici di ospitalità. Non siamo cioè al livello degli scimpanzé
che, racconta la famosa primatologa Jane Goodall, quando s’imbattono in un
gruppo più piccolo di un’altra tribù, uccidono il cucciolo e lo divorano,
tentano di accoppiarsi con la femmina e aggrediscono il maschio. Sulla base del
calcolo della durata dello sguardo (i bambini guardano di più ciò che gli
piace), i bimbi mostrano una preferenza, adattativa, verso le persone
familiari: ma è qui il seme del razzismo?
Noi adulti, quando vediamo un volto,
registriamo tre cose: sesso, età, razza. Ma dal punto di vista evolutivo che utilità adattativa ha questo terzo
elemento? Esso non è intrinsecamente interessante, ma conta solo nella
misura in cui:
1) si fonda sulla coalizione: nelle società dei nostri antenati, già dal colore della
pelle si poteva subito capire chi erano i gruppi nemici, proprio come quando
riconosciamo i membri della squadra avversaria nei giuochi dal colore delle
divise. Abbiamo biologizzato la razza, scambiando le coalizioni per diverse
specie, e il razzismo è un epifenomeno dell’”effetto familiarità” (mere exposure effect: la ripetuta
esposizione ad uno stimolo neutro lo rende familiare e dotato di positività).
La primatologa Jane Goodall con uno dei suoi scimpanzé |
Tale
ipotesi è confermata dagli esperimenti di Kurzban che ha usato il memory confusion paradigm: si chiede di
ricordare una lunga serie di volti e frasi attribuite a tali facce (con tratti somatici di varie razze), e la gente
finisce per far confusione. Così si verifica ciò che resta davvero impresso
come significativo per noi. Ne risulta che ci si ricorda comunque della razza.
In una variante, presentarono queste facce da ricordare suddivise in due gruppi
con egual numero di bianchi e neri con delle divise dai colori molto diversi. Secondo
Pratto e Sidanius, le società generano gerarchie su tre fattori: sesso, età e
una terza variabile (razza o religione o etnia o clan). Infatti, i bambini sono
attenti anche alla lingua, come mostra il passo dei Giudici (12: 5 – 6) della Bibbia ebraica, ove la tribù dei
Galaaditi, per accertarsi che nessun abitante di Efraim, la città conquistata,
attraversasse i loro posti di blocco, imposero a chi chiedesse di passare di
pronunziare la parola shibboleth
(poiché il dialetto efraimita non aveva il suono sh i fuggiaschi avrebbero
pronunziato sibboleth e i Galaaditi
li avrebbero smascherati e uccisi): nella Seconda guerra mondiale, nel Pacifico,
i soldati americani ai posti di blocco intimavano ai soldati che s’avvicinavano
di pronunziare la parola Lollapalooza: i giapponesi faticano a dire il suono
“l”. Così i bambini ricevono i doni di chi parla la loro lingua, e preferiscono
giocare con chi ha la sua stessa madrelingua, se non altro perché è più facile.
E preferiscono chi parla senza inflessione. Le ragioni quindi sono pratiche.
2) Oppure, l’importanza della razza ha
senso per favorire ciò che ci rassomiglia perché è più probabile che abbia più geni
come i nostri, sono più consanguinei.
NON SIAMO RAZZISTI NATI
In età
prescolare non ci si cura della Razza
Nelle Scuole
Miste meno Pregiudizi: Teoria del Contatto
La
Lingua più importante del Colore della Pelle
Due compagni di scuola alle Sidwell, l'istituto quacchero frequentato anche dalle figlie del Presidente Obama. |
Negli anni Settanta, si scopre che,
dinanzi a due immagini di un bambino nero ed uno bianco, alla domanda su chi
fosse quello buono, anche i neri rispondevano quello bianco: fu un esperimento
citato anche nella sentenza del caso Brown
v. Board of Education che pose fine alla segregazione razziale. La psicologa
Frances Aboud ha criticato l’assurdità (ed il bias, cioé l'errore di metodo) dell’esperimento: i bimbi sono posti
dinanzi ad un aut aut e non possono
rispondere che la razza non conta. Tuttavia, in successivi esperimenti, posti
dinanzi a immagini ambigue (un bimbo triste dinanzi ad un’altalena con un bimbo
in piedi a fianco: a volte l’uno era bianco e l’altro nero, e viceversa), sono
gli stessi bambini a tirare fuori l’elemento razza, ma solo quei bambini che
frequentano scuole all white. Non
quelli che frequentano scuole miste. E’ l’ipotesi di contatto: il contatto
sociale riduce il pregiudizio.
La lingua è più importante della razza:
quando ai bambini di 5 anni è chiesto di scegliere come amico un bianco o un
nero, preferiscono il bianco, ma se devono scegliere fra un bianco con accento
e un nero senz’accento, è quest’ultimo che preferiscono.
I bambini di tre anni non scelgono più
bianchi che neri: i pregiudizi s’insinuano in sèguito e solo in certi ambienti.
“Potremmo avere un’inclinazione naturale a favorire alcuni gruppi rispetto ad altri,
ma apparentemente non siamo razzisti nati”.
Due psicologi sociali, Muzafer Sherif (di
origine turca) e Hanri Tajfel, entrambi arrestati per essersi opposti al
nazionalsocialismo, hanno ricercato il fattore minimo necessario per dividere
le persone: il primo invitò nel 1954 due gruppi di bambini del primo anno delle
medie ad un campus estivo in America: dormivano in posti diversi senza sapere
dell’esistenza dell’altra “coalizione”.
Lo scienziato si fingeva custode del campo e organizzò un primo contatto: i due gruppi enfatizzavano le loro usanze, uno divenne sboccato (usando parole come “negri”, anche se erano tutti bianchi!) contro gli altri e l’altro ostentava con orgoglio un linguaggio educato.
Il primo gruppo vinse alcune gare e per ripicca gli avversari rubarono la bandiera e la bruciarono, gli altri si vendicarono distruggendo la capanna dei rivali mentre questi erano a cena e rubarono il premio. Fase due dell’esperimento: come far collaborare i due gruppi. Introducendo una tubatura rotta è una causa comune che li ricongiunge.
Lo scienziato si fingeva custode del campo e organizzò un primo contatto: i due gruppi enfatizzavano le loro usanze, uno divenne sboccato (usando parole come “negri”, anche se erano tutti bianchi!) contro gli altri e l’altro ostentava con orgoglio un linguaggio educato.
Il primo gruppo vinse alcune gare e per ripicca gli avversari rubarono la bandiera e la bruciarono, gli altri si vendicarono distruggendo la capanna dei rivali mentre questi erano a cena e rubarono il premio. Fase due dell’esperimento: come far collaborare i due gruppi. Introducendo una tubatura rotta è una causa comune che li ricongiunge.
Ma possono nascere coalizioni anche senza
tutto questo apparato (bandiere, linguaggio comune, etc)?
Tajfel chiese ad alcuni adulti di
classificare dei dipinti astratti, poi diceva a metà del gruppo che aveva
preferito Klee e all’altra metà che aveva preferito Kandinskij. Quando pii
veniva loro chiesto di distribuire denaro ad altri amanti dell’uno o dell’altro
pittore, davano di più al gruppo cui appartenevano. Il punto è che i bambini in età
prescolare non si curano della razza, e in alcune scuole miste nemmeno i più
grandi (pag. 105): sarà poi l’ambiente e l’esperienza o le leggi a dirci come
fare distinzioni (come le leggi Jim Crow che, emanate fra il 1876 ed il 1965
dai singoli stati, hanno introdotto negli Stati Uniti la segregazione
razziale, cfr. il romanzo di Kathryn Stocket, "The Help", pagg. 208 - 209 dell'edizione italiana economica Mondadori, Milano 2014, prima ediz. 2009).
Ad esempio, se a New York vedo una donna nera con un passeggino con
dentro un neonato bianco indovino che è la babysitter,
mentre non ne sono certo se vedo una signora bianca con nel passeggino un bébé bianco. L’esperienza quotidiana mi
porta a fare quest’intuizione. E’ naturale ed inevitabile che noi umani
usiamo categorie e categorizzazioni, dice Gordon Allport ne “La natura del pregiudizio”.
Spetta poi all’intelligenza della ragione sapere discernere ed evitare di colpevolizzare subito qualcuno per il colore della sua pelle.
Jessica Chastain, Octavia Spencer e Mike Vogel in "The Help". |
Spetta poi all’intelligenza della ragione sapere discernere ed evitare di colpevolizzare subito qualcuno per il colore della sua pelle.
Le persone a cui si chiede quali gruppi
guadagnano o delinquono di più, dan risposte molto precise (Jussim, 2012): mi viene in mente una serie d'interviste Tv agli elettori dell'UKIP su quali fossero gl'immigrati che davano problemi: essi rispondevano che a dare problemi erano per la maggior parte i romeni ed i bulgari. Ma
siamo anche guidati da un princìpio di equità, benché restino controverse leggi
come le quote (affirmative action, forma di discriminazione cosiddetta positiva) e
i blind reviewing (revisione anonima
dei compiti onde evitare pregiudizi sui candidati) se non altro perché sono in
contraddizione fra loro (l’uno si basa sulla razza, e, dovendo sottostare a queste quote di legge, deve preferire un candidato di una razza piuttosto che di un'altra; il secondo metodo, al contrario, la ignora).
Le Razze
sono come grandi Famiglie
E Noi
preferiamo ciò che è Familiare
(cioè chi
condivide i nostri Geni e Valori)
perché è
un Vantaggio Riproduttivo
Bloom scommette che fra cent’anni saremo
ancora qui a parlare dei nostri pregiudizi di gruppo.
Ciò perché:
1)
Noi siamo, secondo la Teoria della Coalizione sopra esposta, orientati
a creare(in fretta) coalizioni: il semplice fatto di pensare qualcuno come
membro di un out-group (per esempio per una guerra) influenza i
nostri sentimenti: nella Seconda guerra mondiale, agli americani sono diventati
odiosi i giapponesi (prima considerati innovatori) e simpatici i cinesi (prima
giudicati scaltri). Nella Guerra Fredda, i russi (giudicati coraggiosi per aver
aiutato l’America contro Hitler) diventarono crudeli. Bloom critica come
semplicistici test come quello che si vede nell’episodio 5 della prima stagione
di Lie to me, mentre sono rivelatori
di un reale disagio ad interagire con una razza diversa la misurazione del
tempo di reazione, la conduttanza cutanea e l’attivazione dell’amigdala. Ciò
perché
2) le
differenze esistono (come
verso gli studenti universitari asiatici che in America hanno più forza di
volontà, disciplina e risultati migliori, come spiega Daniel Goleman in Intelligenza Emotiva). “Si può rendere l’argomento un tabù, ma senza
un lavaggio del cervello non è possibile riprogrammare il cervello delle
persone per cancellare ciò che sanno” (pag. 113).
Bloom cita però
solo i pregiudizi positivi, allora citiamo uno negativo: per esempio l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg ha detto alla comunità afroamericana
che se il NYPD ferma più spesso i cittadini di colore non è per "razzismo" ma
perché, statisticamente, i crimini sono compiuti in maggioranza da
afroamericani.
3)
Perché consideriamo familiari, e li
favoriamo, persone che hanno condividono i nostri geni che li rendono inclini
ad avere caratteristiche distintive:
i gruppi umani sono come grandi famiglie. Famiglie che, naturalmente,
condividono lingua, cibi e alcuni valori comuni. E i vincoli più saldi sono
quelli familiari. I totalitarismi han tentato, invano, di sostituire la
famiglia con lo Stato o la Chiesa. Il senso di appartenenza ci dà felicità, non
vogliamo che la nostra cultura e la nostra lingua si estinguano. Insomma, “i
vantaggi della nostra natura campanilistica superano il prezzo da pagare”.
Il
Disgusto di Base è un Adattamento:
c’impedisce
d’ingerire Cibi Pericolosi
Paul Rozin (Università della Pennsylvania) è uno psicologo e biologo che ha studiato a fondo il disgusto. |
Oltreché di compassione verso chi soffre,
rabbia contro gl’imbroglioni e gratitudine verso chi è gentile, noi nasciamo
anche per sviluppare (non subito) un disgusto fisico verso una serie di cose
(o persone) potenzialmente pericolose/contagiose.
(o persone) potenzialmente pericolose/contagiose.
Ma il disgusto è un caso a sé stante.
Partiamo dal disgusto di base (core disgust)
studiato da Paul Rozin. Il disgusto
fisico.
Com’è noto, i bambini non hanno ancora
disgusto delle loro feci, come spiegava già Freud: Rozin offrì “feci di cane”
(in realtà burro di arachidi e formaggio dall’odore pungente) per vedere la
reazione dei bimbi ed i più le han mangiate.
Solo contestualmente al toilet training, il bambino impara che è pericoloso: è possibile che questo disgusto basilare sia un adattamento per impedirci d’ingerire cibi pericolosi (patogeni e parassiti), emergerebbe spontaneamente ad un certo livello dello sviluppo perché se emergesse troppo precocemente i bambini non riuscirebbero a fare nulla, infastiditi dai propri escrementi. La parola, dal latino, significa “gusto cattivo” e la particolare espressione facciale (yuck face) corrisponde proprio al tentativo di non sentire l’odore e impedire l’accesso in bocca; il senso di nausea che l’accompagna serve per inibirci a mangiare; le donne incinte ne sono particolarmente sensibili proprio nel periodo in cui il feto è sensibile alle sostanze tossiche e la corteccia insulare anteriore (coinvolta nel gusto e nell’olfatto) è attiva quando vediamo immagine disgustose. Ci disgusta l’odore di un estraneo che non si lava perché ci suggerisce malattie contagiose. Darwin descrive il proprio disgusto nel vedere il proprio cibo toccato da un selvaggio nudo “anche se le sue mani non sembravano sporche”. Poi noi siamo tentati di usare la retorica del disgusto nei confronti di chi disprezziamo moralmente (“mi fai schifo”). Chi è più sensibile al disgusto è politicamente più severo verso l’immigrazione.
L'espressione del disgusto fisico (yuck face) in cui storciamo il naso e serriamo la bocca suggerisce che sia nato per impedirci di mangiare cibi pericolosi. |
Solo contestualmente al toilet training, il bambino impara che è pericoloso: è possibile che questo disgusto basilare sia un adattamento per impedirci d’ingerire cibi pericolosi (patogeni e parassiti), emergerebbe spontaneamente ad un certo livello dello sviluppo perché se emergesse troppo precocemente i bambini non riuscirebbero a fare nulla, infastiditi dai propri escrementi. La parola, dal latino, significa “gusto cattivo” e la particolare espressione facciale (yuck face) corrisponde proprio al tentativo di non sentire l’odore e impedire l’accesso in bocca; il senso di nausea che l’accompagna serve per inibirci a mangiare; le donne incinte ne sono particolarmente sensibili proprio nel periodo in cui il feto è sensibile alle sostanze tossiche e la corteccia insulare anteriore (coinvolta nel gusto e nell’olfatto) è attiva quando vediamo immagine disgustose. Ci disgusta l’odore di un estraneo che non si lava perché ci suggerisce malattie contagiose. Darwin descrive il proprio disgusto nel vedere il proprio cibo toccato da un selvaggio nudo “anche se le sue mani non sembravano sporche”. Poi noi siamo tentati di usare la retorica del disgusto nei confronti di chi disprezziamo moralmente (“mi fai schifo”). Chi è più sensibile al disgusto è politicamente più severo verso l’immigrazione.
IL
DISGUSTO OMOFOBICO
Perché
alcune pratiche sessuali ci disgustano? Fu un incidente biologico, una
confusione. La morale non c’entra
(L’Etica riguarda Giustizia e Cooperazione)
Le pratiche sessuali che disapproviamo
sono le stesse che consideriamo (alla sola idea) disgustose.
Per esempio, l’omosessualità è disgustosa
per la maggioranza del mondo e sino alla sentenza del caso Lawrence v. Texas
del 2003 13 stati degli USA avevano leggi antisodomia. Un sondaggio del 2012
segnala che il 42% degli americani la trova immorale. Persino Jefferson (che
abbiamo citato sopra assieme ad Adam Smith per la sua intuizione che abbiamo un
senso morale come un sesto senso) aveva fatto un ddl in Virginia per castrare
gli omosessuali e amputare la cartilagine del naso delle donne lesbiche,
paragonando questo atto allo stupro. “Jefferson era misericordioso per gli
standard dell’epoca. La sua proposta fu rifiutata perché non abbastanza dura”
(pag. 128)! E passò la linea della pena di morte.
Dal punto di vista evolutivo,
l’omosessualità esclusiva non reca danno, a differenza del nostro naturale
disgusto verso l’incesto: ci sono alte probabilità che il bambino erediti due
copie di un allele che (innocuo da solo) in coppia diventa deleterio. Ma siamo
disgustati persino nella situazione immaginata da Jonathan Haidt (vedasi il mio
articolo http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/i-liberali-conservatori-han-piu.html).
Secondo la filosofa del diritto Martha Nussbaum, non possiamo fondare i nostri giudizi sul disgusto fisico come nel caso del disgusto omofobico. |
Secondo Rozin, sebbene il disgusto si sia
originato per difendere il corpo, si è poi evoluto come difesa dello spirito:
ci disgusta ciò che ci pare minacciare la nostra immagine di noi stessi “da
tutto ciò che ci ricorda la nostra natura animale”, come aveva già scritto
anche la filosofa Martha Nussbaum (Hiding
from Humanity, 2004: su questo tema, la negazione della nostra natura
animale, torneremo con un articolo ad hoc sui diritti degli animali). Bloom
discorda: teorie troppo cerebrali (non si è “disgustati” da un cadavere, per
esempio), anche se giustamente i due studiosi hanno ragione quando dicono che
c’entra il desiderio di purezza. I riti di purità sono parte di molte religioni.
Il sesso è disgustoso perché coinvolge i
corpi e i fluidi innescano la nostra reazione di disgusto di base. Associamo
il concetto di pulizia e sporcizia persino alla lingua: un linguaggio è sporco,
le intenzioni pure etc. Ad alcuni soggetti fu chiesto di recitare una scenetta
in cui facevano circolare una voce malevola contro qualcuno usando o la
segreteria telefonica o l’email: i
primi (che avevano usato la bocca), dovendo scegliere un dono, preferivano il
colluttorio; i secondi (che avevano usato le mani) i disinfettanti: l’idea di
pulizia allevia il senso di colpa e vergogna (effetto Macbeth). Si pensi al
concetto di pulizia etnica: si giustifica l’espulsione di un gruppo col
pretesto che contamina la purezza della nazione.
Quelle società che condannano pratiche come
l’omosessualità non sono più forti: questo disgusto non è un
adattamento e queste intuizioni legate al disgusto sono inutili o dannose. Non solo perché, a differenza di altri atti (l’omicidio,
lo stupro) non si riescono a fornire valide ragioni morali ma anche perché, se
guardiamo alla storia di questo genere di disgusto, vediamo il disgusto
antiebraico da parte dei nazisti (che essi animalizzavano chiamandoli ratti o
insetti viscidi) e il disgusto contro i matrimoni interraziali (miscegenation): é la “malattia del
disgusto”, come la chiama Martha Nussbaum, che produce disumanizzazione ed ha
permesso la Shoah, su cui torneremo in prossimi articoli ad hoc.
Come lo spieghiamo, allora, alla luce
dell’Evoluzione, questo difettoso orientamento che ancora molti hanno? Per
Bloom “la nostra reazione alle
trasgressioni sessuali potrebbe essere un incidente biologico, ma non la
sentiamo diversa da altre risposte morali che si sono evolute come forme di
adattamento”, cioè le nostre intuizioni morali, anche perché il caso ha
voluto che le religioni le abbiano santificate.
Non è qualcosa che ha a che fare con la
morale.
La morale, dice lo psicologo di Berkeley Elliott
Turel, concerne la giustizia, i diritti e il benessere.
Jonathan Haidt la definisce (nel suo
libro “Menti Morali” che abbiamo
recensito qui ) come “un insieme interdipendente di valori e istituzioni che
agiscono per tenere a freno o regolare l’interesse personale e rendere
possibili le società cooperative”.
Invece qui respingere i gay come persone
malate o disgustose è immorale ed irrazionale: dobbiamo allora abbandonare
questi istinti antisociali usando la razionalità (pag. 141).
Come s’è detto, la familiarità è
importante. Ed è importante la famiglia. E’ grave, denunzia Bloom, che l’indice
del Moral Psychology Handbook non
abbia una voce per madre, figlio, famiglia: “per capire la natura morale
dell’uomo è necessario comprendere la peculiarità di certe relazioni” (pag.
144).
Non siamo
Consequenzialisti come Bentham (lo sono semmai i Sociopatici): per noi
contano i Princìpii e le Persone
La Nostra Avversione Adattativa
a colpire un Estraneo senza Provocazione
Il Premio Oscar Christian Bale nel thriller "American Psycho". Gli psicopatici, dice Bloom, fanno sempre una brutta fine a causa della loro mancanza di paura dei rischi. |
Oggi i filosofi morali si dividono in due
campi:
1)
consequenzialisti: giudicano le azioni sulla base delle
conseguenze (es. vago: torturare un criminale affinché con la sua confessione
dia dati utili per salvare innocenti), come l’utilitarismo di Bentham e del suo
allievo John Stuart Mill;
2)
i deontologisti: dal greco δέον -οντος (dovere) sostengono la necessità di
rispettare princìpii più ampi (la dignità di ognuno), anche se provocano
conseguenze peggiori (un male ad un maggior numero di persone) come l’imperativo
categorico di Kant: la maggioranza di noi lo è perché c’ispiriamo a dei
princìpii intuitivi.
Un modo di “fare filosofia” è creare dei
problemi di fantasia e sottoporli: i filosofi hanno escogitato dilemmi morali
artificiosi come il carrello ferroviario
impazzito:
1)
La Leva: un carrello di un treno viaggia fuori controllo lungo un
binario e sta per investire 5 persone legate ai binari; io posso azionare una leva che farebbe deviare il carrello su un altro
binario ove c’è…un’altra persona. Il treno, dunque ucciderà comunque
qualcuno: o 5 persone od una. 5 contro 1: cosa scelgo? I più (compresi i
bambini di 3 anni) scelgono di sacrificare una persona e salvarne 5.
2)
Il Ponte: stavolta io sono su un ponte che
s’affaccia sul binario vicino ad un uomo grasso. Se lo spingo giù dal ponte per
farlo finire sui binari (NB: io sono troppo esile per fermare il carrello,
perciò non è prevista l’opzione che sia io a saltar giù). Anche qui 5 contro 1.
Che faccio: spingo l’uomo pingue o non faccio nulla? Per i più, è meglio non
far nulla.
La casa di Norman Bates (che fa da set al thriller "Psycho" del Premio Oscar Alfred Hitchcock) si può vedere durante il Tour al Parco degli Universal Studios Hollywood, in California. |
Non è bizzarro questo contrasto di
risposte? Eppure, a conti fatti, l’esito è quantitativamente identico: salvo 5
persone e ne sacrifico una. Evidentemente, sono le diverse emozioni a fare la
differenza. Ma quale? E’ possibile che “abbiamo sviluppato una specifica
avversione” (che “ha un senso adattativo”) “ad aggredire un altro senza
provocazione” (pag. 165). Anche al di là della morale, è pericoloso e dunque
svantaggioso: potremmo fallire e restare uccisi (nel tentativo di difesa
dell’altro e nella vendetta della famiglia).
Joshua
Greene ha usato le
neuroimmagini e ha scoperto che solo le persone neurologicamente sane (non i
sociopatici) distinguono fra i casi 1 e 2 (come sopra), invece per gli
psicopatici (in quanto privi di emozioni morali) sono equivalenti: lungi
dall’essere un dilemma morale, esso è “come un problema matematico”. Secondo
Koenigs, sia chi ha la corteccia prefrontale ventromediale danneggiata (quindi
simile agli psicopatici) sia gli universitari borderline tende più a scegliere di spingere l’uomo giù dal ponte:
come se fosse meno inibito ad uccidere con le proprie mani. Alcuni studiosi
stuzzicano i consequenzialisti dicendo che ad esserlo risultano gli
psicopatici, non i normali! (Jonathan Haidt, in “Menti morali”, cita anche
l’ipotesi, a posteriori, che avendo pochi amici, Bentham, fondatore
dell’utilitarismo, fosse affetto da sindrome di Asperger: http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/i-liberali-conservatori-han-piu.html).
Greene ha poi scoperto che se invece di spingerlo giù dal ponte, le
persone normali potessero azionare una leva che apre una botola sotto i suoi
piedi, la gente sarebbe più propensa a sacrificare l’uomo: ad ucciderlo.
Ecco allora evidente che è l’idea di toccare
l’uomo che suscita (io direi) la nostra inibizione naturale ad uccidere.
Ne scopriamo delle belle quando
introduciamo il fattore “razza”: è giusto sacrificare un individuo con un nome
afroamericano per salvare 100 membri della New York Philarmonic? E’ giusto
salvare uno con un nome bianco per salvare 100 membri della Harlem Jazz
Orchestra? “I conservatori si dimostrano imparziali, i liberals invece no: sono più inclini a uccidere una persona bianca
per salvarne cento nere piuttosto che il contrario” (pag. 152).
Secondo Bloom sono decisioni astratte,
queste cui sono sottoposti i soggetti sperimentali di simili test: essendo
astratta (basata su persone sconosciute) ci sono dunque scarse emozioni come
quando, nel mondo reale, noi non biasimiamo mica chi non fa l’elemosina.
Bloom mette in guardia dal fare
confusione fra le due discipline: filosofia e psicologia. La filosofia ci dice
come dovremmo diventare per migliorare come umanità. La psicologia fa una
storia naturale dell’evoluzione che incomincia con piccoli gruppi non con la
globalizzazione! I nostri istinti sociali si sono evoluti per interagire con
persone che vediamo frequentemente, “non con estranei anonimi” (pag. 154): “la
logica della selezione naturale impone che i nostri impulsi altruistici debbano
essere discriminatori: esiste un forte
vantaggio riproduttivo nell’essere inclini a favorire gli amici e la famiglia rispetto
agli estranei” (pag. 155), i buoni si sono riprodotti di più.
Ma come, di preciso? E’ oggetto di
dibattito: la nostra natura punitiva si è evoluta perché quei gruppi che hanno
membri che puniscono gl’imbroglioni stanno meglio oppure perché chi punisce è
più attraente e più incline a sopravvivere e riprodursi? Quel che è certo è che
“tutti i vantaggi evolutivi delle origini della morale sottolineano
l’importanza della comunità, dell’amicizia e soprattutto della consanguineità”
(pag. 155).
A livello individuale, la nostra vita
morale si sviluppa contestualmente ai legami particolarmente forti che
sbocciano fra genitori e figli: noi umani abbiamo l’infanzia più lunga ove
siamo particolarmente vulnerabili.
PSICOECONOMIA. Paul Zak è un neuroeconomista americano autore di "The Moral Molecule". |
Prodotta dalla Madre, origina i Sentimenti
di Amicizia e Generosità del Figlio
Che alcuni aspetti del nostro senso
morale (dei quali alcuni, si è detto sopra, sono innati) si sviluppino nel
contesto della relazione madre-figlio, lo suggeriscono gli effetti di un
ormone: l’ossitocina. Prodotta anzitutto per facilitare le contrazioni
durante il travaglio e stimolare i capezzoli per indurre la produzione del
latte, ha altri effetti psicologici: in circolo nel nostro corpo, ci rende
rilassati, sereni ed amichevoli; nei giuochi di psicoeconomia (vedi sopra)
siamo più generosi, ma (annusando uno spray all’ossiticina si è scoperto che)
siamo più gentili col nostro gruppo e desiderosi di screditare i membri degli
altri.
Jonathan Haidt, intuizionista come Bloom:
abbiamo 6 Princìpii Morali/Politici
Bloom: tutto OK ma io parto dalle Persone e dalle
Famiglie
L’antropologo Richard Shweder ha ideati
la teoria secondo cui esistono tre tipi di etiche:
- L’etica
dell’autonomia (kantiana, direi), dominante in Occidente, che si concentra sui
Diritti
- L’etica
della Comunità (direi di Destra) che si concentra sul Dovere
- L’etica
della divinità (tipica delle società come India e mondo islamico).
Lo psicologo Jonathan Haidt ha approfondito questa triade e (come ho illustrato
nella mia recensione dedicata al suo libro “Menti tribali” http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/i-liberali-conservatori-han-piu.html) sostiene che siamo dotati di sei coppie
d’intuizioni morali: protezione/danno, correttezza/inganno,
lealtà/tradimento, autorità/sovversione, sacralità/degradazione,
libertà/oppressione. I liberali conservatori “tendono a concentrarsi su tutte
le coppie allo stesso modo” (pag. 158).
La
Famiglia è la Forma Originaria della Morale, poi viene la Comunità (come
Adattamento). E gli Estranei? Non esiste
alcuna
Forza Morale Naturale verso di loro
LEGAMI VISCERALI. La famiglia è la cellula della morale. La gentilezza verso i familiari, secondo Bloom, emerge direttamente attraverso la selezione naturale. |
Bloom si dice “favorevole a quest’approccio”
che però ha il limite di non spiegare adeguatamente la famiglia e gli amici.
- Bloom invece parte proprio da qui, dai
legami degl’individui e ribadisce ancora una volta: “Innanzitutto ci sono i
familiari. La gentilezza nei confronti dei familiari è la forma originaria
della morale ed emerge direttamente
attraverso la selezione naturale. Dal momento che condividono i nostri
geni, è, in fin dei conti una gentilezza verso noi stessi” (pag. 158). E a differenza degli altri animali, biasimiamo
chi non onora il padre e la madre e i genitori snaturati.
- Solo in un secondo momento vengono i
sentimenti verso i membri del nostro in-group
(tribù o comunità) che “si sono evoluti
come forme di adattamento in virtù del vantaggio per tutti della cooperazione."
- “La
forza che guida la morale nei confronti degli estranei è…inesistente. Non
possediamo né un altruismo naturale nei loro confronti né un desiderio innato
di essere gentili con loro” (pag. 160): ecco perché i più distolgono lo sguardo
da chi fa l’elemosina o si trova sdraiato per strada. Non fanno parte del mio in-group (famiglia, amici, colleghi,
compagni di giuoco).
Né devono scandalizzare quei politici che
vogliono i respingimenti degl’immigrati clandestini africani anziché
l’accoglienza. Chi invece (come i criminali nazisti) ha giustificato il
genocidio hanno tentato di persuadère i membri della propria nazione che
quegl’individui (come gli Ebrei, che erano parte integrante del loro in-group) sono in realtà degli estranei:
“gli Ebrei non sono veri Tedeschi”. Quando vogliamo rafforzare i legami di un
gruppo, creiamo delle famiglie fittizie, come i gay senzatetto di New York
descritti dalla scrittrice Rachel Aviv (nel suo articolo “Netherland”, pubblicato sul New
Yorker, 10 dicembre 2012, pag. 64).
LE
INTUIZIONI dei GRECI
Il gran Viaggiatore Erodoto:
l’Abitudine è Regina
E Aristotele: il Virtuoso fa il bene per Abitudine
Siamo Noi o Dio a guidare l’Evoluzione?
Non tutti i nostri atti sono però interessati (come certe forme di carità che sono persino un modo per attrarre partner sessuali, come osserva il sociologo Thorstein Veblen, quello che ha teorizzato l’effetto Veblen): e allora come si spiegano i gesti di altruismo?
Bloom è estremamente onesto e corretto
quando ricorda che il co-scopritore (con Darwin) della selezione naturale, Alfred Russel Wallace, nell’osservare
le facoltà morali superiori degli animali umani, concluse che dovesse esserci
un’intelligenza superiore che plasma lo sviluppo della nostra specie (come
ricorda anche Padre Matthew Fox nel suo libro sugli angeli, che recensiremo in
questo Blog). Ma Bloom non ci crede
perché pensa che la mente si riduca al cervello.
I gesti di altruismo senza scopo
riproduttivo (cioè non adattative) sono coerenti con l’evoluzione biologica
perché la selezione naturale risponde a contingenze momentanee, come ad esempio
il desiderio sessuale che non ci porta mica sempre a procreare, ma a godere
delle gioie del sesso anche senza un fine procreativo.
Lo stupore di Wallace è come la
meraviglia per le lenti: “il perfezionamento della nostra morale è il prodotto
dell’interazione e dell’ingegno umano: creiamo degli ambienti che possono
trasformare un bambino dotato di una morale limitata in un adulto moralmente
maturo” (pag. 170). Come aveva già osservato Aristotele nell’Etica
Nicomachea, gli uomini virtuosi hanno trasformato l’impegno a comportarsi
bene in un’abitudine automatica sicché fanno sempre la cosa giusta senza
doverci pensare (perché è il risultato di una meditazione precedente). Conta
molto la cultura, le abitudini culturali, le usanze. Di nuovo torna
un’intuizione di un greco antico, Erodoto:
“L’usanza è sovrana di tutte le cose”. “la maggior parte di quello che
impariamo è inconscio”.
Libri, Sit-Com e il Contatto (a scuola e al
lavoro)
espandono il Cerchio morale (es. verso gay e neri):
amiamo le Storie dove vincono i Personaggi Buoni
amiamo le Storie dove vincono i Personaggi Buoni
Ma anche la Ragione ha un ruolo nel Progresso
Per la filosofa e giurista americana Martha Nussbaum i buoni libri sviluppano la nostra immaginazione narrativa. |
Noi possiamo, come dice il filosofo Peter
Singer, “espandere il nostro cerchio morale” o “cerchio di simpatia” (l’insieme
degl’individui di cui c’importa) anche se non ci dà vantaggio materiale: con
quali forze?
1) Il
contatto (la Teoria del
Contatto citata sopra che riduce i pregiudizi razziali): ad esempio poliziotti
bianchi affiancati a partner neri, scuole miste.
2) L’immaginazione
narrativa di cui parla
la filosofa Martha Nussbaum (l’immaginazione morale di cui parla Mary Richards,
citata da Matthew Fox in “Compassione”,
pag. 41). Per esempio Bloom non aveva mai pensato ai detenuti in isolamento e
solo dopo averne letto in un articolo ha mutato punto di vista. Oliver Twist di Dickens ha
sensibilizzato sullo sfruttamento dei bambini nell’Ottocento; La capanna dello zio Tom ha offerto ai bianchi
la prospettiva dei neri; la televisione ha offerto personaggi gay e neri
simpatici, in serial come i Robinson. Vorrei aggiornare quest'intuizione della Nussbaum con un nuovo dato apparso recentemente su Science: lo psicologo Emanuele Castano (della New School for Social Research di New York) ha dimostrato che chi legge dei buoni libri (con raffinate descrizioni psicologiche) affina la propria intelligenza emotiva: risulta più bravo ad intuire i pensieri dell'interlocutore anche solo guardandolo negli occhi.
Anche la buona televisione amplia il nostro cerchio morale: “La sit-com è la forza maggiore che
soggiace al cambiamento morale avvenuto negli ultimi trent’anni negli Stati
Uniti” (pag. 178), come ho spiegato nell'analisi del mio blog http://lelejandon.blogspot.it/2013/04/la-nobile-gara-fra-francia-inghilterra.html.
Ricordo
che la stessa Nussbaum in un suo libro aveva citato il caso del giurista Richard Posner il
quale mutò idea intorno all’amore gay leggendo da adulto il Simposio di Platone. Ma lo stesso Posner
fa notare che anche i dittatori erano grandi lettori; ma resta che le persone
con più intelligenza sociale leggono più romanzi di chi legge saggi. Chi ha un
lieve autismo, legge meno narrativa dei normali. Ma Nussbaum ribatte che i
nazisti non leggevano i libri giusti (di qui la polemica di chi vede in questa
prospettiva una forma di moderna censura contro certi classici).
“Le teorie sul
cambiamento morale devono poter spiegare perché le storie che narrano
un’apertura agli altri abbiano più fortuna di quelle crudeli, e perché siamo più motivati a creare
innanzitutto personaggi buoni” (pag. 178).
Veniamo al ruolo della religione: è un
incentivo o no alla morale? Secondo il giurista neozelandese Jeremy Waldron,
l’espansione del nostro cerchio morale ha origine negl’insegnamenti della
Bibbia ebraica: nei precetti della Torah,
nei sermoni dei profeti e nella poesia dei salmisti. Infatti, le istituzioni
benefiche e il movimento dei diritti civili americani sono stati fondati sulla
fede e sostenuti da leader religiosi. A quegli atei militanti,
come Christopher Hitchens (1949 – 2011), che sostengono come la religione sia
violenta e intollerante, Bloom risponde che questa è una domanda cui non si può rispondere
perché la maggioranza delle persone sono credenti e ciò rende difficile
separare l’influenza della religione dagli altri aspetti che concorrono alla nostra visione morale (pag. 180). Possiamo
però rispondere alla domanda se i credenti siano più morali dei non credenti e
la risposta è che sono più generosi nelle opere di carità (anche verso le
associazioni benefiche non religiose), come hanno mostrato Robert Putnam e
David Campbell, già citati da Jonathan Haidt http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/i-liberali-conservatori-han-piu.html).
Quel che conta è che frequenti una
Comunità religiosa e vi partecipi: un ateo coinvolto nella vita sociale della
congregazione (ad es. attraverso il coniuge) tende a fare più volontariato di
uno che prega da solo (Putnam e Campell, American
Grace: How Religion Divides and Unites Us, Simon & Schuster, New York
2010, pagg. 467 e 473).
LA COMUNITA' RENDE GENEROSI. Chi frequenta una Comunità religiosa (anche se ateo, per esempio attraverso il marito o la moglie) è più generoso. |
Ma attenzione: è possibile, come pensa
Robert Wright (L’evoluzione di Dio)
che la fede rifletta una morale, non la determini: dipende dalla situazione
culturale esterna che può restringere (come in caso di guerra) od espandere il
cerchio morale. Può essere che la fede comunque rafforzi la credenza di una
società incline ad odiare un certo gruppo, ma resta il fatto che gli atei non
possono non riconoscere che anche chi è orientato alla compassione può trovare
sostegno nelle Scritture. (Qui è quello che Haidt chiama “pensiero
confermativo”: cercare conferme a quello che è già un nostro orientamento). Come
ricorda anche Vito Mancuso, la regola aurea c’è in tutte le religioni: “fa agli
altri ciò che vorresti fosse fatto a te” (l’ebreo Gesù), “ciò che non è buono
per te non lo fare al tuo prossimo, questa è tutta la Torah, il resto è
commento” (riassume il rabbino Hillel), “Ciò che non vuoi che sia fatto a te,
non farlo agli altri” (Confucio). Secondo il filosofo Peter Singer, questa
logica dell’imparzialità (delle religioni come del filosofo Adam Smith che
teorizza uno spettatore imparziale), che è alla base dei sistemi legali e
giudiziari, nasce dal bisogno di render ragione (Platone direbbe: logon didonai) delle proprie azioni ad
altri esseri razionali, e cita il liberale David Hume (il quale fu fra l'altro grande amico fraterno di Adam Smith, ndr) secondo cui chi vuol dare
una giustificazione valida deve “abbandonare la propria situazione personale e
scegliere il punto di vista comune con gli altri”: in altre parole, se mi è
concesso spiegare meglio di Bloom, la morale deve essere universalizzabile
(come direbbe Kant). Per esempio, se io colpisco qualcuno, non è giustificabile
se dico “perché mi andava di farlo”, è moralmente accettabile se spiego che
“lui mi ha colpito per primo”.
RIVALUTAZIONI
Kohlberg
sottovalutò la Morale dei Bimbi
Gli
psicologi odierni sottavalutano gli Adulti!
I bambini son meno egoisti di come li descrisse
lui nei suoi stadi. Noi meno irrazionali di come ci dipinge la
psicologia oggi
Il bambino piccolo non ha ancora maturato
quest’imparzialità razionale, ci vuole tempo, come mostra la teoria degli stadi
di sviluppo morale di Lawrence Kohlberg di Harvard che però sottovaluta le
capacità morali dei bambini. Prima i bambini pensano sia morale ciò che è nel
loro interesse personale (“è buono ciò che mi piace”), poi ciò l’Ipse dixit dei genitori (“è buono perché
l’ha detto papà”), ed infine raggiungono lo stadio in cui formulano princìpi universali. Quindi se da una parte Kohlberg è stato superato dagli
esperimenti della psicologia contemporanea, dall’altra ha ragione laddove
invece gli psicologi contemporanei sono limitati: il ruolo della ragione (e della libertà) nelle nostre
decisioni razionali di adulti.
L’imparzialità e l’empatia spesso si
rafforzano a vicenda: gl’incoraggiamenti empatici che i genitori fanno ai figli
(facendo loro immaginare il punto di vista degli altri a cui han fatto o stanno
per fare un torto) vogliono trasmettere proprio questo senso d’imparzialità, il
non far sentire il bambino moralmente privilegiato, al di sopra degli altri.
Attenzione: non sempre magari espandere
il nostro cerchio di simpatia è socialmente utile.
Occorre la ragione che “ha
guidato il progresso morale nel corso della storia” anche se, purtroppo “la
tendenza attuale in psicologia e nelle neuroscienze è minimizzare le decisioni
razionali in favore di sentimenti istintivi e motivazioni inconsce” (pag. 185). Ma attenzione, dice Bloom: ciò non
significa che la ragione sia irrilevante. Anzi, l’idea che siamo “schiavi”
delle passioni “è confutata dall’esperienza di ogni giorno, dalla storia e
dalla psicologia evolutiva” che mostra persino i bambini capaci di fare dei
primi ragionamenti morali ed arrivare a concepire princìpii d’imparzialità.
Nella maggioranza delle azioni, le
persone sanno dare una giustificazione razionale del perché un atto sia giusto
o sbagliato. “Le decisioni morali” dice Bloom (egli vuol dire: razionali e
libere) sono tante ma trascurate dagli psicologi a causa del fatto che è
scontato, non sarebbero lette nelle riviste che contano. Ciò che spesso viene
pubblicato sulle riviste scientifiche e sulla stampa generalista non è come
funziona la nostra mente: pensarlo “equivarrebbe a guardare le notizie del
telegiornale e concludere che lo stupro, il furto e l’omicidio fanno parte
della vita quotidiana di ciascuno di noi, dimenticando che non riportano la grande
maggioranza dei casi in cui non accade niente del genere” (pag. 188).
Il libro ha il pregio di svolgere una critica ragionata dei vari errori metodologici di troppi esperimenti e riaffermare il giusto ruolo della razionalità dinanzi ad un attuale trend, quello delle neuroscienze, che pare quasi negare l'esistenza della libertà e della ragione nelle scelte umane.
Infatti conclude così (pag. 194): “Una parte fondamentale della nostra morale-quasi tutto ciò che ci rende umani- emerge nel corso della storia dell’uomo e dello sviluppo individuale. E’ il risultato della compassione, dell’immaginazione” (morale) “e della nostra straordinaria capacità di ragionare”. Per chi cerca certezze, sappia che il volumetto è pieno di “o
forse”, “ma forse”, “presumibilmente”, “potrebbe”, “questo spiegherebbe”,
“alcuni studiosi credono…altri sostengono…”: siamo dinanzi a teorie
falsificabili della psicologia evoluzionistica. Questa meraviglia della Natura, questi
dati sperimentali che suggeriscono che già nasciamo intelligenti e orientati al
bene dovrebbe rallegrare sia i credenti sia i non credenti, dopodiché ciascuno
deve sentirsi libero di credere ciò che vuole: non c’interessano le polemiche
fra chi crede che questa bontà sia frutto dell’Evoluzione o (anche) della guida
di un disegno divino intelligente. Sono entrambe opinioni legittime. Infatti, ricordiamo ancora una volta che quella di Bloom è
un’opinione: come ci sono scienziati non credenti come lui, ci sono non meno
autorevoli scienziati come il da lui citato Collins che credono nell’Intelligent design.
Infine, qualche rilievo all’edizione italiana: a parte la banale
copertina italiana (col diavoletto e l’angioletto), mi tocca segnalare un
errore di traduzione: liberals tradotto
con “liberali” (pag. 152 e 158), in realtà sono i progressisti (orientati al
Partito Democratico americano). Confesso che trovo gli esperimenti basati sui
dilemmi artificiosi ed improbabili (da proiezione-prova di un film horror più che da test rigorosamente
scientifico) e sono estremamente scettico sulla loro utilità perché mi paiono
fuori dalla realtà che è fatta di relazioni vis-à-vis.
Il volumetto, a livello di ricerche, non
presenta molte novità (eccettuati gli esperimenti dello stesso Bloom) e (tradendo
il titolo italiano per cui pare un libro incentrato sui bambini) dedica una
parte centrale davvero sproporzionata alla teoria dei giuochi (degli adulti):
ben 48 pagine, contro le 24 pagg. dedicate alla vita morale dei bambini e alle
altrettante 24 dedicata alla compassione. Un tema, quest’ultimo, su cui torneremo
in maniera approfondita con una recensione del nuovo libro di Matthew Fox, “Compassione": vista stavolta dal punto di vista di un teologo.
LELE JANDON
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