di LELE JANDON
Stavolta i colpevoli della nuova, orribile Strage degl’Innocenti
dello scorso 14 giugno nella zona Ovest di Londra (ove son morte arse vive almeno 87 persone accertate,
figuriamoci quelle in subaffitto e non dichiarate, e ne sono rimaste ferite
settanta) non sono stupidi terroristi,
bensì stupidi criminali sociopatici.
Stupidi perché, credendosi
furbi, ritengono di farla franca e sfuggire alla giustizia, ma i loro
comportamenti vengono sempre, prima o poi, smascherati.
I sociopatici (o
psicopatici, come si diceva un tempo: ai tempi di “Psycho”) sono quelli che offrono i mutui subprime, sono quelli che inquinano come quell’italiano che è
appena stato arrestato per il “dieselgate”,
sono quelli che commercializzano prodotti che nuocciono alla salute, che coi
loro intrighi causano solo zizzania e distruzione. Si
tratta d’individui privi di umanità, extraterrestri che sanno mimetizzarsi fra
di noi: privi di scrupoli morali, di senso etico, rimorsi, sensi di colpa,
pentimento, carattere.
Non sono mica come i matti innocui che finivano
ingiustamente nei manicomi: sono pazzi pericolosi da legare che girano
impunemente a piede libero. Non necessariamente commettono omicidi, ma in vari
modi causano comunque molto male. Possono essere bellissimi, eppure sono mostri
di amoralità. Possono non essere mai stati denunziati avendo avuto
l’accortezza di non violare platealmente le leggi, ma meriterebbero
l’ergastolo, l’esclusione dal consorzio umano, in teoria.
Benché non sempre
(per timore della legge) commettano veri e propri crimini, la loro forma mentis resta inguaribilmente
criminale: probabilmente, i traumi psichici subìti nelle loro famiglie
disfunzionali (genitori a loro volta sociopatici) si traducono in traumi fisici
cerebrali che erodono l’empatia nel loro cervello rovinato.
Il loro soddisfacimento fisico (accumulo di
danaro, divertimento anche sadico, dispetti al prossimo, Schadenfreude) è l’unico movente delle loro esistenze. Sono
incapaci di fare un ragionamento morale, di porsi un dilemma morale. Non hanno
mai paura di parlare in pubblico ma odiano chiacchierare e stare alle feste, e
come copertura possono anche strumentalizzare la propria religiosità (come dice
l’autrice di “Confessioni di una
sociopatica”, che vi ho raccontato nel mio Blog: http://lelejandon.blogspot.it/2014/02/senza-rimorso-colpa-o-pieta-come.html).
I sociopatici non sono (solo) camorristi e mafiosi o le infermierine serial killer, così come i narcisisti
non sono quelli vanesi che curano il look
anziché i propri figli, ma son quelli incapaci di chiedere scusa e che
s’offendono a morte se osi fargli qualunque critica anche non di tipo
personale. Per esempio: sono convinto che dietro alle decisioni choc (contrarie al senso comune, che
altro non è che quel senso etico comune che ci tiene uniti come società civile)
firmate da certi giudici di rilasciare pericolosi individui che sono probabili
colpevoli, sentenze che sono irrispettose del dolore e del giusto sentimento di
giustizia da parte delle vittime e delle loro famiglie, ci sia proprio la
sociopatia dei giudici stessi: infatti, il grande psichiatra dell’Università di
Cambridge, in Gran Bretagna, Simon Baron-Cohen, nel suo grandioso libro “La Scienza del Male” (che tanto abbiamo
citato nei nostri cinetalk), propone proprio di sottoporre a test preventivo
del Q.E. (quoziente di empatia) i candidati alla magistratura. (I sociopatici
hanno un q.e. zero negativo).
Chiunque di noi è per
loro un mero oggetto, una pedina: un recente caso palesatosi è quello del
medico della clinica Santa Rita che, come paventa il dottor Sergio Harari, se
ci saranno riduzioni di pena, “potrebbe addirittura tornare ad esercitare”
giacché l’ordine dei medici non ha nemmeno in programma di radiarlo (altra
decisione sociopatica).
I sociopatici sono
incapaci di sentirsi parte di una comunità e il DSM definisce questo “disturbo
antisociale della personalità” come caratterizzato dal costante “disprezzo e violazione dei diritti degli
altri”. Ma
attenzione: un sociopatico può benissimo essere anche un candidato che conceda
dei nuovi diritti.
Chiari esempi sono i mafiosi (ragion
per cui non dobbiamo fare alcuno sconto, perché non saranno mai “pentiti”), o i
terroristi che non si fanno scrupoli di far saltare in aria un giudice e la sua
scorta, o centinaia di persone in un qualunque luogo pubblico. Ma ce ne sono anche nel cosiddetto mondo dello spettacolo,
senz’arte né parte, che infatti sono disposti ad andare a letto con cani e
porci pur di fare la propria scalata al potere, per arrivare ad avere privilegi
materiali. Alcuni si fanno preti, altri giudici, e arrivano ai massimi livelli.
Insomma, possono essere dappertutto.
E trovo errato, quando sento in TV anche inquirenti
che tentano di spiegare con categorie umane i moventi di omicidi da parte di
palesi sociopatici, dire che essi avrebbero percepito una certa cosa come
un’ingiustizia: ma è una contraddizione logica, una razionalizzazione, i
sociopatici non hanno alcun senso della giustizia, per quanti perverso possa
essere! I sociopatici sono invece mossi dall’invidia maligna, per beni materiali di
cui altri godono, non dal voler fare a modo loro “giustizia”! Sono mossi dal
divertimento di fare del male.
Come emerge dalle
testimonianze dei sopravvissuti dei Lager,
quei sadici che non solo lasciavano morire od uccidevano gli ebrei, li
irridevano, li costringevano a còmpiti umilianti o ad assistere ad umiliazioni
e torture, erano dei sociopatici in quanto prendevano anche iniziative
spontanee e lo facevano volentieri. Soltanto chi non ha capito assolutamente
niente della Shoah può anche solo menzionare a pappagallo la stupida tesi
(antisemita) della “banalità del male” (ben contestata anche dal recente saggio
di Abram de Swaan, “Reparto assassini”),
non a caso fu formulata per “stupire” da una che aveva già rivelato la propria
stupida e patetica superficialità perdendo la testa per un nazista, Heidegger.
Di loro non si parla mai, eppure hanno una grande
rilevanza quando parliamo di diritti sociali e umani. Io ne ho trattato in
quest’articolo (http://lelejandon.blogspot.it/2014/02/senza-rimorso-colpa-o-pieta-come.html), ci ho dedicato un
cinetalk, e tornerò a parlarne. Siccome i nostri rapporti nella vita frenetica
sono superficiali e siccome i giornali non ne parlano mai (contribuendo inoltre
a diffondere idee antiscientifiche e popolari, dai “raptus” ai “blackout casuali”
delle madri dimentiche dei figlioletti
neonati, sino alla bufala del blue whale),
non sappiamo riconoscerli: possono essere anche quei vicini di casa schivi che
dicono sempre buongiorno-e-buonasera con un sorriso falso. “Vanno isolati”, dice la psichiatra Karin Franklin, che li ha
studiati bene.
Ebbene, quello che m’interessa spiegare in
quest’analisi è che quella che sta dietro all’eccidio di Londra è una logica
sociopatica: la tipica maniera di ragionare dei sociopatici.
Se la loro logica s’impone, un intero governo, un
intero Partito, un’intera associazione, un’intera multinazionale possono
diventare un sistema sociopatico. Se noi non seguiamo le nostre intuizioni
morali, se siamo deboli di carattere, il sociopatico di turno può addirittura
convincerci che una certa logica è l’unica praticabile.
Dobbiamo imparare ad andare oltre le apparenze perché
sono, per l’appunto, sociopatici coloro i quali avevano, a vari livelli, il
dovere di verificare che la Grenfell Tower di Ladbroke Grove fosse a norma, con
porte ignifughe ed estintori e materiali mangiafuoco, dimodoché, in caso
d’incendio, le persone si sarebbero comunque in gran parte salvate guadagnando
le uscite d’emergenza. E’ successo l’esatto contrario, e la torre è diventata
una trappola mortale, un “inferno”,
come si dice anche in lingua inglese corrente, a partire dall’orribile
immaginario medievale che immagina così le pene divine nell’aldilà.
Sappiamo già che è
stato fatto un giuoco al risparmio: la ristrutturazione è costata alla società
pubblica cioè allo Stato britannico dieci milioni di sterline, quindi poco,
eppure la spending review, avendo usato materiali “cheap”, economici e più
facilmente infiammabili, di soli diecimila sterline (due sterline a metro
quadro).
Esattamente come in un vecchio film del 1974 (a
dimostrazione che ci sono delle costanti nell’umanità e nella disumanità), “L’inferno
di Cristallo”, ove l’eroe Paul
Newman (l’architetto che ha ideato il grattacielo di 124 piani per la grandeur del vanitoso proprietario) dice
al costruttore ignorante: “Se volevi risparmiare, dovevi farlo sul numero di
piani, non sul materiale”. E dopo l’elencazione della serie di cose che non
sono state fatte seguendo il suo progetto (dietro c’è la corruzione), dice
sempre l’attore Premio Oscar: “Come ti chiamano quando ammazzi il prossimo?”.
Chi ha la responsabilità di prevenire la morte degli altri, e non svolge questo
dovere, è, di fatto, un assassino. Un omicida. E si comporta come un
sociopatico. Anche le battute finali di
quel film spettacolare sono di scottante attualità: l’eroico Capitàno dei fire fighters (Steve McQueen) commenta,
una volta spento ingegnosamente l’incendio: “Siamo stati fortunati: ne sono
morti meno di duecento. Un giorno o
l’altro ne moriranno dieci mila in una di queste trappole infernali, e io
continuerò a mangiare fumo e ad estrarre corpi.
Sinché non chiederanno a noi” (vigili del fuoco, ndr) “come farli”.
(Ricordo che
nell’inferno delle Torri Gemelle l’Undici Settembre sono rimasti uccise tremila
persone: i sadici ideatori di simili stragi si nutrono anche di questi film). Fosse per me, non li farei proprio
costruire, i grattacieli: non mi piacciono, infatti amo le città all’antica, ma
ormai anche in Europa questo narcisismo architettonico, in cui spuntano
grattacieli isolati in mezzo ad edifici ben più bassi, si va diffondendo ahinoi.
Quei quattro soldi
risparmiati dai costruttori della Grenfell Tower sono una cifra scandalosa che
contrasta con lo stipendio dei quattro managers
di questa società, che gestisce altri palazzi simili a Londra: centocinquanta
mila sterline, centottanta mila euro l’anno! Ed è scandaloso non perché “lo
dice anche Papa Francesco”, come va di moda dire oggi, che anche da noi esiste
questa sproporzione, ma perché il nostro cervello umano ha un certo senso dell’equità,
come hanno evidenziato le neuroscienze, che appartiene alla nostra natura
umana.
Mi pare evidente (ma non sono un tecnico) che i fire fighters londinesi non siano
arrivati coi mezzi adeguati (per esempio dei gonfiabili cosicché chi si
gettava dalle finestre non si fracassasse al suolo come un suicida) e al contempo al telefono abbiano
raccomandato ai residenti di restare chiusi dentro i propri appartamenti in
attesa di venire estratti, proprio
perché non s’era mai visto (a nostra memoria) un edificio di una grande, civile
città europea incendiarsi con una tale celerità. In sèguito si è scoperto
che due terzi dei tubi del gas di ciascun appartamento, che andavano rivestiti
da materiali ignifughi, erano spogli sicché sono esplosi subito (una mancanza
analoga c’è proprio all’origine dell’incendio del film suddetto). Quando se
n’erano accorti, alcuni residenti avevano preteso una risposta dal consiglio di
zona se il loro palazzo fosse sicuro, “entro stasera, prima che andiamo a dormire”. Poi, è successo che quella notte si
è incendiato un frigorifero o un freezer di una marca della Whirpool (ritirato
poi dal mercato perché difettoso). Infatti, un sopravvissuto ricorda di aver
udito tante esplosioni varie e gas blu.
La Strage di Notting
Hill, in un primo momento, ci ha fatto automaticamente pensare, oltre che al
bellissimo film hollywoodiano sopra citato, ad un altro evento cui abbiamo
assistito in diretta: al claustrofobico Undici Settembre (ove pure le persone si
trovavano intrappolate dal fuoco che si era sviluppato proprio a metà dei due
grattacieli senza poter scendere e dove si lanciavano per non morir bruciati
vivi). Ben presto, ci hanno informato che non c’è stato dolo. Ma non per questo è meno
colpevole chi aveva il dovere professionale di verificare che un eventuale
incendio, che è nell’ordine normale delle cose possibili, fosse subito spento.
Analogamente, è
colpevole di omicidio chi, consapevole che finirà per ubriacarsi, si mette alla
guida per andare in un posto ove sa che dovrà tornare di nuovo alla guida per
tornare a casa, e sa che esiste il rischio di finire fuori strada o uccidere
sulle strisce dei passanti. C’è stata una sentenza molto chiara, di recente:
Aristotele avrebbe pienamente sottoscritto il ragionamento di quel bravo magistrato.
I criminali
sociopatici che dunque sapevano che quel rivestimento poteva far bruciare
l’intiero palazzo giocavano sul fatto che un tale azzardo oggigiorno è
inimmaginabile e pertanto insospettabile dalla gente comune. Ma alcuni residenti non ingenui avevano
osservato i lavori e avevano denunciato i loro sospetti: questo documento,
pubblicato sul quotidiano “Independent”,
rivela che un blogger attivista che aveva denunziato queste mancate misure di
sicurezza ha ricevuto come risposta questa letterina minacciosa di azioni
legali per “molestie” per le sue accuse “infamanti” (http://www.independent.co.uk/news/uk/home-news/grenfell-tower-fire-blogger-threatened-legal-action-kensington-and-chelsea-council-health-safety-a7792346.html): queste carte ci
sono utili per comprendere il modus
operandi tipico del sociopatico (ma vale anche per il narcisista perverso,
cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2015/04/linvidia-maligna-del-perverso.html)
il quale, forte della sua posizione sociale potente, quando viene giustamente accusato,
contro-accusa minaccioso di adire le vie legali (per mezzo di avvocati squali
del foro, a loro volta sociopatici). In questo caso, quell’assassino aveva
giuoco facile giacché i residenti erano persone che, non essendo benestanti,
non potevano permettersi un avvocato chissà che eccellente a rappresentarne le
rimostranze.
E sono così diffusi i
sociopatici che, dopo l’incendio della Grenfell Tower si sono testati simili
edifici di edilizia popolare. Il risultato di quest’inchiesta-lampo? Ventisette torri, sparse nel Regno Unito,
da Londra all’orribile Manchester, sono risultate a rischio facile
incendiabilità! (Evidentemente, l’edilizia attira i sociopatici per i tanti
soldi che si fanno.) Quattromila persone ricollocate. A Camden, quartiere londinese, si è decisa l’evacuazione di quattro
torri di Chalcots Estate: seicentocinquanta
appartamenti sgomberati. Solo che, a differenza dell’Italia, lì lo Stato è
una presenza seria, reale, e gli sfollati sono tutti finiti in veri
appartamenti persino in palazzi deluxe,
non garage simili a roulotte come i nostri terremotati. Ma è
anche stato fatto l’errore da parte della burocrazia senz’anima di prelevare
comunque in automatico il solito affitto mensile, come da prima dell’incendio,
dai conti degli ex residenti della Grenfell: è partito di default, come si dice! Simili mostruosità, che aggiungono trauma a
trauma, succedono perché non c’è nessuno, in quegli uffici, che pensi
umanamente agli altri, che abbia un pensiero per le vite del suo prossimo,
qualcuno pensante che dica: “Ma se son rimasti senza casa dunque non dovremo fargli
partire l’affitto!”.
Proprio a Camden Lock Market, quartiere di shopping di abiti di seconda mano,
banchetti di street food e locali
notturni, l’altrieri, a meno di un mese
dalla Grenfell Tower, sempre di notte, sempre a Londra, ingenti danni ha fatto
un incendio per fortuna senza feriti: nove anni fa ci fu un altro incendio
che distrusse questa zona del mercato che è la quarta attrazione più visitata
della capitale britannica (ventotto milioni di persone all’anno).
***
I sociopatici sono
criminali: mentalmente o di fatto.
“E’ criminale
avvolgere un palazzo in plastica infiammabile”, ha scritto questa signora che
vedete sul proprio cartello in una delle manifestazioni di protesta.
“Criminale” e “diabolico” definisce questo
sistema la copertina del tabloid
filo-laburista “Daily Mirror”.
Massimo Bardazza,
ingegnere fra i massimi esperti in fatto d’incendi in Italia e consulente delle
Procure, definisce “delinquente”
“chi ha costruito quel palazzo in quel modo”:
Insomma, criminale,
delinquente: noi useremo la parola “sociopatico” per definire questa logica di
disprezzo dei diritti degli altri, in primis il diritto a vivere sicuri.
Ma dice un’altra cosa,
l’ingegnere italiano: “da noi non sarebbe mai potuto accadere, un edificio così
è inconcepibile. I vigili del fuoco non l’avrebbero mai autorizzato”.
Sarà, ma a noi pare
che in generale quest’imperizia in fatto di cultura della sicurezza sia propria
dei Paesi mediterranei: da noi, ad ogni sisma ci tocca assistere a case e
scuole sbriciolate in quanto non a norma!
Infatti, sono stati colti impreparati anche i vigili del fuoco portoghesi,
che non avevano i mezzi per raggiungere quelle sessanta persone rimaste
bruciate nell’incendio del bosco che si è propagato anch’esso, come l’incendio
di Londra, con gran velocità, a causa sia degli alberi di eucalipto (facili a
bruciarsi) sia del forte vento che spingeva le fiamme per centinaia di metri.
Ed un simile incendio boschivo
è scoppiato anche in Spagna e in Sicilia in questa torrida estate.
I mass media raccontano la favoletta del gran caldo come causa
degl’incendi boschivi. Ma l’autocombustione non esiste!
In realtà, o si tratta
di fulmini (caso raro) oppure di piromani, come ha detto al “Corriere” Bruno Frattasi, capo dei
vigili del fuoco: “Ci sono interessi criminali”, cioè della criminalità
organizzata. Camorristi o mafiosi che non si fanno alcuno scrupolo a bruciare
gli alberi, che dovrebbero invece essere venerati in quanto polmoni di tutti
noi, per fare terra bruciata e portare in questo deserto le speculazioni
edilizie. Anche Fiorello, siciliano, ha condiviso il suo sospetto su Twitter:
il novanta per cento degl’incendi sono dolosi, ipotizza. E dobbiamo aumentare
le pene per chi appicca questi fuochi che possono persino avvicinarsi alle
case, come stiamo vedendo attorno al Vesuvio, ove i pompieri hanno appena
trovato gl’inneschi: otto carcasse di gatti. I poveri mici vengono cosparsi di
benzina cosicché, nella corsa disperata verso la salvezza, appiccano tanti
piccoli fuochi in meno di trenta secondi: quanti ne bastano per bruciarli a
morte.
Già un anno fa, dopo i
roghi in Sicilia propagatisi quasi sino a Palermo, il capo della Polizia,
Franco Gabrielli, accusò la legge Madia (l’accorpamento Forestale-Carabinieri)
che ha tolto uomini deputati alla sicurezza dei nostri boschi. Una legge fatta
in base ad una logica di spending review
sprezzante verso il diritto alla sicurezza.
Il Conapo, un
sindacato dei pompieri, denuncia al “Corriere”
che “lo straordinario rischio incendi non può essere affrontato con
l’improvvisazione con mezzi e uomini ordinari” dato che “c’è una carenza di almeno
tremila vigili del fuoco”. E quest’estate ci sono stati cinquemiladuecento
incendi in più rispetto all’anno scorso in appena venti giorni: un record per
Puglia, Sicilia, Lazio e Campania.
Oltre al problema incendi, l’Italia stessa, come
l’Inghilterra, ha un problema con gli edifici, però dal punto di vista della
resistenza ai terremoti (mentre in Gran Bretagna il problema non si pone perché
non è zona sismica): moltissimi non sono antisismici proprio nelle regioni ad
alto rischio sismico. Le prime prescrizioni antisismiche sono solo del 1975!
Inoltre, negli ultimi
anni abbiamo visto tutti come l’Italia stia letteralmente cadendo a pezzi.
Ci tocca vedere ponti,
ponticelli e cavalcavia che cascano e gente che muore schiacciata mentre passa
con la propria automobile: ricordate il recente caso vicino Lecco? Sono crollate persino le case nuove in
Abruzzo, nelle Marche, in Umbria, regioni i cui terremotati ancora vivono in
alberghi e container e dove i turisti
han timore di andare in visita proprio perché crollano pure gli hotel?
Confartigianato ed
Istat hanno reso noto che oltre due milioni di edifici residenziali in
Italia sono in stato di conservazione mediocre o cattivo: a rischio. Il record sono la
Sicilia e la Calabria, non a caso le regioni ove sono nate la Mafia e la
Camorra, organizzazioni criminali capeggiate da sociopatici DOC.
L’ingegner Gianpaolo
Rosati, professore di tecnica delle costruzioni al Politecnico (l’ateneo più
prestigioso di Milano), ha detto a “Repubblica”,
all’indomani del crollo della palazzina a Torre Annunziata (Napoli) ove fra gli otto morti c’è, ironia della sorte,
anche un architetto dirigente del servizio di edilizia privata del Comune che
avrebbe dovuto garantire la sicurezza dell’edificio, troppo vicino alla
ferrovia in quanto costruito prima degli anni Cinquanta: “Eseguo verifiche sui fabbricati, e purtroppo in
moltissimi casi è sparita totalmente la documentazione. Spesso anche
certificati fondamentali quali il collaudo non sono reali, sono stati all’epoca
aggiustati e perciò anche i materiali per le costruzioni non corrispondono a
quelli dichiarati. Ci sono casi in cui non si riesce a recuperare il fascicolo
di edifici importanti progettati da grandi architetti o di costruzioni
pubbliche. In Italia il deposito della documentazione è stato sentito” (visto
che non si sente, nella sensibilità pubblica, il senso del bene comune) “non
come una garanzia per evitare incidenti, ma come un atto di burocrazia
inutile”. “Dobbiamo cambiare mentalità e capire che anche l’edificio perfetto,
costruito a norma, ha bisogno di manutenzione e dopo cinquant’anni esaurisce la
sua vita utile”.
Proprio tre mesi fa,
come ha ricordato il giornalista d’inchiesta Sergio Rizzo sullo stesso
quotidiano, il
governo ha bocciato un emendamento che avrebbe introdotto, come auspica il
professore del Politecnico, il “fascicolo di fabbricato”, e l’associazione che
riunisce i ricchi e potenti proprietari immobiliari ha
cantato vittoria: “Ancora una volta Confedilizia ha evitato un obbligo inutile a carico dei
proprietari di casa”. Non è vero che è inutile, anche se sappiamo già che in
gran parte del Sud la legge non sarebbe rispettata da tutti.
C’è voluta questa
strage di Torre Annunziata perché il ministro delle Infrastrutture, Graziano
Delrio, che pure parla di “problema culturale”, si decidesse a comunicare che
“dovrebbe” entrare nella legge di stabilità 2018 il sistema preso dalla Gran
Bretagna: un contratto d’affitto sarà valido solo se è inclusa la clausola di certificazione statica (oltre a quella
energetica, già introdotta) che ci farà sapere cosa succede alla statica se si
fanno determinati lavori di ristrutturazione che non di rado sono la causa dei
problemi.
Per non parlare della
mancanza di defibrillatori nelle nostre scuole, che possono essere salvifici (a
Piacenza un’associazione, Progetto Vita, ha appena lanciato un progetto in tal
senso per condominii e case), o dell’ignoranza con cui le sindache di Genova e
Torino han gestito l’una l’emergenza inondazioni e l’altra la proiezione della
partita in Piazza.
Ciò che vi voglio dire
in questo mio intervento che parte da un caso concreto che ci ha toccato è che dovete sempre diffidare di chi non ha a
cuore la pubblica sicurezza e che dice che dobbiamo risparmiare su quest’àmbito:
non è assolutamente normale, è una logica da malati mentali del tipo pericoloso.
E’ da sociopatici.
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Non saremo esperti
della bontà dei materiali più sicuri, ma quel che dobbiamo condividere, come
sapienza collettiva, è la qualità della fibra delle nostre relazioni sociali,
della nostra intelligenza sociale: dobbiamo imparare a fare Comunità, parola
che nel suo suggestivo etimo latino (cummunio)
significa “costruire insieme”. Si ha una vera comunità laddove tutti concorrono
alla costruzione del bene comune.
Innanzitutto,
conoscere le norme di comportamento in caso d’incendio è uno dei doveri di
tutti noi cittadini: “Il Cinema e i Diritti” Vi proporrà prossimamente un
cinetalk ad hoc per illustrare il da farsi in simili situazioni, in un Paese
dove, non essendoci radicata l’idea del bene comune, non si prendono sul serio
le esercitazioni di uscita in caso di fuoco.
Oltre a queste
conoscenze tecniche noi dobbiamo, grazie alla nostra immaginazione morale,
saper intuire che, come esistono le ferite invisibili su di noi ad opera
degl’intrighi dei sociopatici, così dopo queste tragedie non restano solo le
ferite sul fisico: dopo un inferno come la Grenfell Tower resteranno delle
“ustioni psichiche”, come le ha chiamate lo psichiatra e psicanalista junghiano
Vittorio Lingiardi. Così come, analogamente, non ci sono solo i cocci rotti
dopo la barbarie di Torino, ma i traumi psichici che non si vedono: attacchi di
panico, incubi, paura di tornare in luoghi affollati.
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Il politico laburista David Lammy, ancora scosso dal
lutto perché nella strage ha perso un’amica artista, la ventiquattrenne Khadija
Saye le cui ultime parole su Facebook
sono state “non riesco ad uscire, il fumo mi soffoca”, ha citato il grande
classico “Racconto di Due Città”
(1859) dello scrittore vittoriano Charles Dickens (talmente popolare che ne
esistono sei versioni cinematografiche). Ed ha aggiunto che il Welfare
State (che, ricordiamo, è nato dal partito liberale proprio in Gran
Bretagna) non è solo “scuole ed ospedali” bensì anche un housing decente.
Per esempio, la
Fondazione della Banca italiana Cariplo, ha appena presentato (prima volta)
all’UE un proprio progetto di housing
(cioè di alloggi) sociale: appartamenti da cinquecento euro al mese (classico
affitto di uno studente a Milano per una stanza singola in quartiere popolare)
ove si mescolino varie persone (agées,
studenti, di origine straniera, coppie). Peccato, però, che chieda soldi dal Piano
Juncker, e non lo faccia di propria iniziativa. Che tristezza quest’Italia cattolica
finto generosa, pseudo filantropica che chiede solo soldi allo Stato cioè a
tutti noi!
Il filosofo greco
Platone nella “Politéia” (un grande
classico che si pone il problema del bene comune) scrisse: “Guai alla Città con
dentro due città!”. Ed ecco, dopo “Londonistan”, la banlieu che ha sfornato così tanti terroristi stragisti e kamikaze, appunto rivelarsi i vari volti
della vera Londra: un palazzo all’apparenza moderno, interclassista e sicuro e
che invece è una trappola mortale che col maquillage
viene ringiovanita e cela situazioni di degrado sulla pelle delle persone meno
abbienti.
La torre era un’apparenza di benessere: essendo alta, un ingenuotto pensa
sia, secondo prossemica, abitata dai ricchi, mentre era abitata perlopiù da
persone povere della working class,
la classe lavoratrice, giovani ai loro primissimi lavoretti, perlopiù musulmani
di origine extraeuropea, che al mattino si sveglia presto e piglia i mezzi
pubblici per andare al lavoro. Basta sentire gli accenti delle registrazioni
audio in TV per riconoscervi le classi più popolari. Essendo così centrale, la
Torre sembrava protetta e sicura. Invece era un fiammifero.
Addirittura, la
ragione per cui è stata apportata una ristrutturazione è solo estetica: il
cemento risultata troppo brutto. Estetica senz’etica.
Perciò, trovo estremamente suggestivo e di enorme
valore simbolico (cosa che nessuno dei nostri “analisti” ha notato) che a
crepare nell’inferno di fuoco siano stati proprio due giovani architetti: Gloria e Marco. Due
fra i tanti giovani, tutti in gamba (checché ne dica quel ministro
dell’economia la cui frase famosa, appunto, è da sociopatico incurante dei
diritti dei lavoratori) che hanno lasciato il proprio Paese perché non avevano
scelta: dal 2008 al 2016 cinquecentomila nostri connazionali si son cancellati
dall’anagrafe per andare perlopiù in Germania, Francia, e, appunto, la Gran
Bretagna ove oggi sono seicentomila gl’italiani.
Coetanei, 27enni, laureati
entrambi in architettura, lei con dei begli occhi allungati quasi orientali,
lui coi baffetti da moschettiere ed i capelli elegantemente scapigliati, i loro
visi che sempre si sfiorano nelle foto sorridenti insieme, sono stati costretti
al brain drain, cioè alla fuga dei
cervelli, dall’Italia matrigna, li avremmo avuti qui, se solo questo
disgraziato Paese così malgovernato avesse governanti che onorassero il
principio costituzionale delle pari chances:
avrebbero potuto ideare nuovi volti
delle nostre orribili periferie, a cominciare da Milano, ove finalmente
sono stati stanziati tanti soldi (96 milioni di euro fra Comune, Regione
Lombardia e UE) per ricostruire e risanare strade, biblioteca, mercato ed aree
verdi nel Giambellino. Ridisegnare l’architettura delle parti meno centrali
delle nostre metropoli è un’emergenza perché i ragazzini che crescono in
scuolacce brutte, senza parchi giuochi, riterranno di essere la feccia della
società, e di non meritare di più. Le nostre aree periferiche sono davvero
delle bombe esplosive, e non mi riferisco agl’incendi, ma ai futuri kamizake e al malcontento sociale. In teoria, col loro CV, avrebbero dovuto
formare, in un Paese normale, la classe dirigente, ma come hanno raccontato
i genitori di Gloria, la ragazza “aveva cercato lavoro anche qua, ma al massimo
le proponevano contratti da 3-400 euro al mese”, mentre nella capitale
britannica aveva trovato un lavoro da 1800 sterline al mese: “Che Paese è
quello che allontana i suoi ragazzi e dopo anni di studio offre solo
elemosina?”. La loro storia continua a
commuovermi sino alle lacrime tanto più perché, come me e come Valeria Soresin
(fra gl’innocenti uccisi al Bataclan a Parigi), erano Veneti. Provenivano cioè
dalla Regione più laboriosa d’Italia, che continua a conservare il valore
dell’operosità essendo quella che in
questi anni è cresciuta di più.
****
Quella torre (non si
può dire grattacielo perché i grattacieli sono tecnicamente oltre il
venticinquesimo piano) si trovava nello
stesso quartiere dove risiede David Cameron.
L’ex Primo Ministro, fra i vari meriti che non possono
certo essere dimenticati dall’esito di un referendum
(che, in quanto democratico, va sempre rispettato se siamo sinceramente
democratici), aveva fatto formare
migliaia di community organizers
in funzione della sua filosofia politica della Big Society (cfr. http://lelejandon.blogspot.it/2014/04/i-conservatori-britannici-riaffermano.html
http://lelejandon.blogspot.it/2014/01/i-liberali-conservatori-han-piu.html
http://lelejandon.blogspot.it/2014/04/). Il community
organizing (metodo creato da Saul Alinsky, un criminologo ebreo laico, in
un ghetto di Chicago e di lì diffuso negli Stati Uniti, soprattutto dalle
chiese delle varie denominazioni) permette proprio ai cittadini di unire le
forze, auto-organizzarsi e farsi valere: far valere le proprie rivendicazioni e
alzare la voce nelle sedi opportune. In
Italia questa figura professionale risulta ignota, e lo vediamo nei servizi televisivi
sulle periferie di Roma e Milano, ove i prepotenti spadroneggiano contro le
persone oneste. Per questo sarà uno dei temi di uno
dei prossimi cinetalk. Oggi, poi, i mezzi di comunicazione dei social ci consentono, se usati con sapienza, di amplificare le
notizie e fare pressing su chi di
dovere per sostenere le nostre cause.
Ma intanto, io dico
che abbiamo il dovere morale di essere
ciascuno promotore, nelle nostre metropoli, del senso di buon vicinato. (Proprio
giorni fa, su “Repubblica” si
raccoglieva la storia di Alessandro, 38enne in carrozzina che vive con la madre
64enne al quinto piano di un condominio popolare della periferia nord-ovest di
Milano: quando l’ascensore, vecchio di trent’anni, s’è guastato, “Padana
Ascensori” ha risposto che i pezzi di ricambio arriveranno dopo un mese. Sicché
Alessandro per due settimane non ha potuto andare al lavoro e fare le sue
pedalate nella bicicletta speciale che s’attacca alla carrozzina. Ma ecco che
sono intervenuti i loro vicini, ed ora sono loro ospiti: ecco un esempio del
valore del buon vicinato. Mi chiedo, però: se dovesse scoppiare un incendio in
un palazzo con l’ascensore rotto, cosa fa una persona con disabilità che si
trova in sedia a rotelle?).
Dobbiamo essere proactive,
e alzare la voce quando sentiamo di non essere sicuri: ciò vale anche per il
nostro quartiere, quando è malfamato. Per fare gruppo, dobbiamo incominciare ad
essere più vicini ai nostri vicini, chiedere loro se sia tutto ok. Magari han
bisogno di un lavoretto facile, ma non osano chiederci di fargli un piccolo
favore, credendo di disturbarci: ecco quanto lontano ci porta la perversione
del concetto di “privacy”!
Ho tenuto una
conferenza nella piccola città di San Donato ove ho scoperto che non esistono le feste dei vicini! Eppure, è così semplice. Questi
ritrovi sono la base per costruire i nostri rapporti
di collaborazione: prima o poi, è nell’interesse di tutti noi collaborare coi nostri vicini
di casa. Proprio ora che è anche la stagione tradizionale per
la festa del vicinato (quando
vogliamo, la possiamo organizzare con grande semplicità: nel proprio cortile o
nel giardino comune: http://lelejandon.blogspot.it/2014/10/ri-creare-un-senso-di-comunita-e-una.html, http://lelejandon.blogspot.it/2015/12/assistenti-familiari-il-galateo-della.html). Un’altra forma di convivenza creativa del futuro è il cohousing (in Danimarca, il Paese più
felice del mondo, sono seicento), cioè edifici che hanno spazi comuni, come le
lavanderie, i giuochi per i bambini, la biblioteca: s’impara, così, ad usare
cose di tutti, ed è un’ottima palestra per la convivenza sociale.
Invece è stata, con le sue visitine mordi-e-fuggi, bene alla larga dalla folla troppo
“plebea” per lei, la Premier Theresa
May, la quale confermato in maniera prossemica la propria distanza dalle
persone e la propria mancanza di scrupoli che avevamo già intuito con la sua “dementia tax”, la proposta di far pagare
ai vecchi pensionati benestanti i costi del Welfare
per chi convive con Alzheimer e demenze senili sicché in tanti sarebbero
stati costretti a vendere la casa, privando così i figli dell’eredità.
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Il contrario dei sociopatici (e dei terroristi) e
della loro disumanità sono gli Eroi, con la loro umanità.
Se i sociopatici disprezzano le vite degli altri, gli
eroi sono coloro i quali, pur di salvare gli altri, mettono a rischio la
propria, di vita.
Come la caratteristica dei sociopatici è l’odio (che, ci
rammenta la Bibbia ebraica, è durezza del cuore, e dunque anche solo mancanza
di compassione), così la caratteristica degli Eroi è il loro amore per la vita
del prossimo.
Ebbene, lo stesso Marco Gottardi, il compagno di
Gloria, è stato eroico: la madre della ragazza racconta che all’inizio Marco
ha tenuto la voce ferma. E’ chiaro che ha voluto rassicurare Gloria col suo
atteggiamento calmo, come conferma il padre di Marco a “Repubblica”: “Pur di
proteggere lei e non preoccupare noi è stato di una serenità incredibile sino
all’ultimo secondo, sembrava che non stesse accadendo nulla”.
Sinché sono arrivate le fiamme ed è stato
chiaro la fine che avrebbero fatto, e Gloria, altrettanto lucidamente, ha detto
il suo addio ai suoi genitori: “Non è giusto, non voglio morire. Vi ringrazio
per tutto quello che avete fatto per me”…Purtroppo, come ha raccontato un
pompiere al London Evening Standard (prima che venisse dato
lo strano ordine a tutti i pompieri di non dare più dichiarazioni ai media) è successo che il suo collega che
stava andando a recuperarli al ventitreesimo piano, si è imbattuto nel
frattempo al diciannovesimo in un’altra coppia ancora viva che tentava di
fuggire…I due erano accecati dal fumo, procedevano a tentoni come i personaggi
del romanzo “Cecità” e del film “Blindness”: quel pompiere si è dunque
trovato dinanzi al dilemma morale se recare in salvo queste due persone oppure
proseguire, ma chissà se avrebbe avuto aria sufficiente.
E allora ha deciso per salvare il salvabile, ed ha accompagnato giù loro due. Purtroppo è andata così, succede così in questi casi.
E allora ha deciso per salvare il salvabile, ed ha accompagnato giù loro due. Purtroppo è andata così, succede così in questi casi.
Gloria è stata
riconosciuta solo giorni dopo, grazie alle impronte dentarie, Marco altri
giorni dopo di lei, attraverso l’analisi del DNA da parte dei coroner. Ora possono essere sepolti
insieme.
E mentre un passante
dai riflessi pronti ha afferrato al volo, “come una palla da rugby”, la bimba
di quattr’anni lanciata dal quinto piano, Shekeb
Neda, neolaureato di origine afghana, s’è messo la madre Flora, immobilizzata
da una malattia muscolare, sulle spalle, come fece Enea con l’anziano padre
Anchise, ed ha fatto l’unica cosa giusta da fare in questi casi: ha
guadagnato le uscite ed ha sceso ventiquattro piani.
"Enea fugge da Troja in fiamme", dipinto di Pompeo Girolamo Batoni (1708 - 1787) |
La misantropia di
sociopatici e terroristi e nichilisti è esattamente l’estremo opposto di queste dimostrazioni di umanità che in un
periodo così cupo, di attacchi stragisti ogni due settimane ormai, ci
restituiscono quella necessaria fiducia nella natura umana, come quella di Anne
Frank che nel suo diario, riferendosi agli eroi come gli amici di famiglia che
l’avevano nascosta e nutrita regolarmente, scriveva: “Nonostante tutto,
continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo”. Questo vale ancora, purché
prendiamo atto che esistono al mondo individui che sono sociopatici e non
partecipano dell’umanità, non si pentono e non saranno mai buoni, mai pentiti.
E poiché il nostro
subconscio è anche una cineteca, una gallery
di film come l’indimenticabile Undici Settembre, questo crimine (non tragedia:
crimine!) sarà parte integrante della nostra immaginazione e queste storie di
uccisi innocenti ispireranno la nostra lotta per la giustizia sociale a partire
da una casa sicura per tutti.
Lele Jandon
© Il Cinema e i
Diritti